• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > L’uomo al volante: un animale in gabbia

L’uomo al volante: un animale in gabbia

Una volta girata la chiave sul cruscotto, non importa se sei leone o gazzella: è meglio che cominci a correre. Una pedata sull’acceleratore e via, andare.

Nel corso dei millenni, per far fronte e agire contro le aggressioni di ambienti naturali ostili e sfavorevoli alla sopravvivenza, oltre che alla variabilità genetica, l’uomo, per la propria permanenza in vita, ha dovuto far ricorso inevitabilmente anche alla variabilità culturale.

Un esempio vale tanto: le misure di previdenza applicate al concetto e natura della forza d’attrazione gravitazionale. Ed ecco qua spuntare, ovunque, dalla mattina alla sera, le mensole. Tante consolle, ripiani e scaffali a governare il nostro piccolo universo quotidiano fatto di cose da non lasciare cadere a terra.

Trascorsi i secoli all'ombra delle crociate, della caccia alle streghe, dell'oscurantismo, si è così giunti a una situazione più matura. Il secolo della rivoluzione industriale, del riscatto dall'oppressione, della disfatta delle arretratezze mentali. Le idee geniali hanno contribuito da sempre a cambiare il mondo che ci circonda. Premere l’indice della mano sulla tempia scaglia un’immagine netta dentro la testa: una lampadina accesa a indicare che finalmente hai trovato la soluzione che cercavi. Scaltro come nessun altro, all’automobilista evoluto, inc... come una bestia, le lampadine non mancano di certo.

Le quattro frecce hanno risolto tutti i suoi problemi. Un animale in pena, ingabbiato dentro una scatola di lamiera a imprecare divinità insospettabili, seppure con l’aria condizionata. Una volta girata la chiave sul cruscotto, non importa se sei leone o gazzella: è meglio che cominci a correre. Una pedata sull’acceleratore e via, andare. Alle Poste ci metti un minuto, tanto lasci le frecce accese.

Non essere sciocco, mica ci vuole un anno per il caffè al bar?! Aspetta in macchina ché ci ho le frecce messe. In seconda fila non ci parcheggio mai. Piuttosto, la lascio in mezzo alla strada; tanto a quest’ora non passa nessuno. Scusa, non vedi le luci: se viene qualcuno, digli di non rompere. Torno subito!

Basta un pugno di lampadine intermittenti e qualsiasi comportamento inopportuno si legittima magicamente. A volte, però, il pugno se lo tirano sul muso, durante i diverbi simulati ad arte, nei teatrini inscenati lungo la via. Risolvere contrasti di opinioni su un immaginario codice della strada, redatto all’impronta, a seconda delle esigenze personali.

Fino a che non arriva, provvidenziale, quel qualcuno da lontano, che sa tutto di tutto, a infiammare gli animi, per il gran finale della scena madre. Risalita furibonda in macchina. La portiera da sbattere, non prima di aver invitato i commedianti ad andare, in fila tutti e di corsa, a quel paese. Fuori dal finestrino, il braccio teso con il palmo della mano a indicare lassù e l’altro di forza in controsterzo, lasciando sull’asfalto quattro dita di sgommata puzzolente. Giusto così, per far sentire l’aria che tira.

Facciamo finta di non aver capito come stanno veramente le cose. Facciamo finta che non tutti si comportano allo stesso modo. Facciamo finta che noi invece certe cose non le facciamo mai. Facciamo finta di non esserci resi conto di quanto sia poco ingegnoso affidarsi a banali espedienti luminosi pur di calpestare liberamente i diritti degli altri. E infine, facciamo finta pure di non esserci accorti che quelle benedette quattro frecce di posizione sono, in realtà, sei. E adesso, a quei furbacchioni al volante, chi glielo dice che non sanno nemmeno contare?

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares