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 Home page > Tribuna Libera > L’iraconda Biancofiore e le dimissioni non respinte

L’iraconda Biancofiore e le dimissioni non respinte

Due righe due vanno dedicate all’esilarante caso dell'aquila delle Alpi, Michaela Biancofiore, capo fin qui incontrastato del PDL altoatesino.

L’irruenta e bionda valchiria bolzanina aveva presentato al capo del governo Letta le sue dimissioni, sull’onda delle sdegno barricadero con cui tutti i rappresentanti del partito di Berlusconi presenti al governo, qualsiasi fosse la loro carica, intendevano reagire alla “ignobile aggressione politica" al loro caro Leader.

Naturalmente, come ormai sanno anche i sassi, si è trattato molto più semplicemente della presa d’atto, da parte della addetta commissione del Senato, della sentenza di Cassazione con cui il Caro Leader è stato condannato in via definitiva per evasione fiscale aggravata e continuata (così almeno pare, anche se non so se è la definizione giuridicamente corretta). Evasione fiscale di proporzioni sicuramente enormi, anche tenendo conto del fatto che la condanna riguardava solo la punta dell’iceberg sfuggita, per puro miracolo, alle grinfie dell’arcigno Ghedini e alle leggi ad personam sparate a raffica dal suo entourage. Tutto il macroscopico resto dell’evasione era già finito nel dimenticatoio della prescrizione: milioni su milioni di euro.

La giunta per le immunità del Senato non ha fatto altro che approvare a maggioranza di proporre all'assemblea dei senatori di deliberare la decadenza di Berlusconi dalla carica, in applicazione della legge Severino che gli stessi scandalizzati berluscones (e berlusconettes) avevano approvato e sottoscritto con baldanza solo pochi mesi fa. Ma vabbé, ci hanno abituato a tutto.

O meglio, a quasi tutto. Perché l’affaire Biancofiore ci riserva ancora una sorpresa.

La madama infatti, non contenta di aver dato le dimissioni per sdegno istituzionale, se le è viste - udite, udite - non respinte dal premier; ergo è rimasta, unica fra tutti, metaforicamente in mutande. Ha fatto cioè la figura della fessacchiotta con il cerino in mano; quella alle cui spalle tutti, amici e nemici, non hanno potuto fare a meno di ridacchiare. Ma che furba, si saranno detti, dandosi di gomito, non ha capito che si scherzava?!

Apriti cielo. Infuriata come la Regina della Notte ha cominciato a lanciare strali a destra e a manca. Per quale motivo, si è chiesta, Letta non ha respinto a me le dimissioni, come le ha respinte ad altri, se non per mobbing?

Non vale, ai suoi occhi balenanti fulmini e saette, la banale spiegazione che gli altri le avevano ritirate (essendo stata, quella delle dimissioni di massa, sostanzialmente una banale recita per gonzi) e lei no. Lei ha presentato delle dimissioni che, pensava, dovevano essere rifiutate a prescindere. Essendo lei troppo cool per essere “dimissionata”.

Forse alla signora sfuggirà del tutto l’aspetto comico della vicenda, è comprensibile. Ma sembra evidente che nella Casa delle Libertà ci sono i ganzi e ci sono i gonzi, ci sono le volpi e ci sono i polli (o le polle, senza offesa). Si rassegni.

Conoscendola anche meglio di quanto non la si conosca pubblicamente, con tutte le sue travolgenti arroganze televisive, Letta, che sarà pure un democristiano, ma che stupido non è, si è guardato bene dal respingere le dimissioni e se ne è liberato con, presumibilmente, un profondo sospiro di sollievo. Lasciandola in mutande. Scornata e un tantino sbeffeggiata. Becca e bastonata. Peggio, ridicolizzata.

Conoscete la favola dei pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati? Ecco, ogni tanto questo imbelle mondo politico una soddisfazione ce la dà.

Game over, Michaela.

 

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