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L’ingegneria istituzionale

L’aggravarsi della crisi interna della maggioranza uscita dalle ultime consultazioni elettorali ha avuto l’effetto di allontanare l’interesse dai problemi semplici e diretti del Paese e di spostarlo verso il problema della sua forma istituzionale. Ciò a riprova del fatto che una delle caratteristiche fondamentali del nostro Paese è l’avere un quadro istituzionale non ancora saldo e consolidato. Anzi, a pensarci bene, è questo il nostro vero “tallone d’Achille”.

Nel suo recente discorso alla convention di Futuro e Libertà il protagonista della crisi Gianfranco Fini ha mostrato di avere le stesse idee del maggiore partito d’opposizione, e precisamente:

  1.  “Senato delle Regioni” da attuare a coronamento del federalismo fiscale;
  2. Sistema elettorale delle cosiddette “liste bloccate” da abolire perché non democratico.

Sul primo punto è difficile capire cosa si vuol intendere per “Senato delle Regioni” per il semplice motivo che nessuno dice in cosa debba consistere. E’ diventato sempre più una sorta di “moto dell’anima”, di vaga utopia. E’ indubbio che è un controsenso pensare per le Regioni, rese autonome in specifici campi sia nelle competenze sia nella fiscalità, un soggetto gerarchicamente superiore necessario per il loro buon funzionamento. Piuttosto il Senato potrebbe essere concepito e definito sempre all’interno di un sistema bicamerale con propria identità, diversa da quella della Camera dei Deputati, per perseguire particolari obiettivi di affidamento democratico, di tutela del potere legislativo dagli altri poteri dello Stato e così via. Forse è il momento che i promotori del “Senato delle Regioni”, compreso il Presidente della Camera, ci dicano come propongono che esso sia e con quali finalità.

Sul secondo punto appare limitativo considerare l’attuale sistema delle “liste bloccate” solamente come democraticamente inadeguato, senza considerare l’alterazione che esso comporta nell’equilibrio dei poteri dello Stato, necessario secondo il pensiero di Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu.

L’Italia del dopoguerra e della Costituzione repubblicana si mostrò subito come uno Stato in cui il potere esecutivo era inadeguatamente contrapposto al potere legislativo e, da allora, la classe politica si è arrovellata su questo punto senza riuscire ancor oggi a trovare un nuovo assetto valido ed efficace.

Il primo a provarci fu Alcide De Gasperi, ma la sua riforma della legge elettorale fallì miseramente sotto la stessa denominazione di “legge-truffa” che gli diedero i partiti minori e dell’opposizione. Il secondo tentativo di spessore fu quello del referendum del 9 giugno 1991, che ridusse le preferenze nelle votazioni per la Camera dei deputati da tre ad una sola. Quindi venne introdotto alla Camera un sistema elettorale misto, ossia in parte maggioritario ed in parte proporzionale, ed il referendum del 18 aprile 1993 introdusse il sistema maggioritario al Senato. Il 18 aprile 1999 non raggiunse il quorum un referendum per l’abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei deputati.

A questo punto l’intervento del governo Berlusconi per l’attuale sistema elettorale con le liste bloccate che rovescia la situazione in maniera eclatante a favore dell’esecutivo. Con esso e grazie ad esso, la sua mancata vittoria elettorale per una manciata di voti. Il governo Prodi che gli succede dura solo un paio d’anni e siamo così giunti all’attuale esecutivo, nato sempre da un sistema elettorale che vede le Camere praticamente esautorate dal ruolo di guida politica del Paese. Un sistema elettorale che si mostra apertamente in contraddizione della Carta Costituzionale, sia in ordine alla prescritta assenza di vincoli sul mandato parlamentare (art. 67) ; sia in ordine alla ripartizione dei seggi fra le varie circoscrizioni (art. 56), la quale viene meno se la scelta dei parlamentari è di fatto staccata dal territorio, che essi sono chiamati a rappresentare ; sia, soprattutto, in ordine alla lesione della sovranità popolare (art. 1).

Che in questa situazione vi siano stati e continuino ad esservi gravi crisi di contrapposizione fra i tre poteri dello Stato, e massimamente fra quello giudiziario e quello esecutivo, non può stupire più di tanto.

Questo quadro non induce all’ottimismo. Siamo costretti ad affrontare una congiuntura economica internazione particolarmente negativa con:

  1. l’Erario sottoposto al fardello di un enorme debito pubblico;
  2. un sistema istituzionale incapace di rappresentanza democratica e di equilibrio fra i vari poteri dello Stato.

Affrontare in queste condizioni le gravi emergenze del Paese, e prima fra tutte quella del lavoro, è pura follia. Piuttosto avremmo proprio bisogno di esperti di ingegneria istituzionale (per il debito pubblico il ministro Tremonti appare sufficientemente agguerrito).

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