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L’impresa "umanitaria" in Siria e l’imperialismo italiano in Medio Oriente

È poco noto alla maggior parte degli italiani che il fascismo aveva manifestato sempre un forte interesse per il Vicino e Medio Oriente: Mussolini aveva finanziato uomini politici libanesi, siriani e iracheni, e aveva fatto perfino pubblicare opuscoli che rivendicavano un mandato della Società delle Nazioni per l’Italia in Palestina, sostenendo che casa Savoia aveva tra i suoi antenati anche un re crociato di Gerusalemme. Tali tentativi erano risultati infruttuosi per le ripercussioni negative della feroce repressione della resistenza libica di Omar al Mukhtar e poi dell’invasione dell’Etiopia. Casomai era stata la Germania nazista a raccogliere – per poco - qualche frutto appoggiando la resistenza antibritannica in Iraq… Anche su queste vicende storiche rinvio a un mio libro sul sito, Tempeste sull’Iraq

 

In ogni caso la diplomazia italiana, anche in epoca repubblicana, ha sempre guardato con molta attenzione a quell’area, utilizzando ogni pretesto per metterci il naso. Non a caso nel 1982 una delle prime imprese “umanitarie” della nuova fase di proiezione internazionale dell’imperialismo italiano fu nel Libano, col pretesto di proteggere i palestinesi. In realtà non lo fece, perché dopo aver assicurato l’evacuazione delle forze militari dell’OLP il contingente multinazionale si ritirò subito prima del massacro di Sabra e Chatila, e quando tornò apparve chiaro che il suo obiettivo era puntellare il potere della destra falangista dei Gemayel in collaborazione con Israele. Su quell’episodio, rinvio al mio libro Libano e dintorni, sul sito.

Ora il ministro degli Esteri Terzi, forte dei legami stabiliti a Washington e Tel Aviv, si affretta a caldeggiare un rafforzamento della presenza ONU in Siria. Per ora si parla di poche centinaia di militari, ma non dimentichiamo che anche la presenza USA nel Vietnam cominciò con pochi “consiglieri” e poi aumentò a livelli esponenziali per “proteggerli” dalle ovvie reazioni dei vietnamiti… è una tecnica sperimentata. Il tutto in un contesto allarmante, che può infiammarsi per due fattori, tutt’altro che controllabili da un piccolo contingente dell’ONU. Da un lato l’esasperazione e lo sciopero della fame a oltranza delle migliaia di palestinesi detenuti a tempo indeterminato senza uno straccio di processo da quello che viene sempre etichettato dalla nostra ignobile stampa “indipendente” come “l’unico Stato democratico del Medio Oriente”, dall’altro i preparativi israeliani per un’aggressione all’Iran (vedi Israele pronto per la guerra).

Il pretesto è l’assoluta impotenza dell’attuale contingente di osservatori dell’ONU, che di fronte a un moltiplicarsi di attentati terroristici contro la popolazione, si è limitato a dire che non sono accettabili, senza entrare nel merito. Eppure in un paese dotato di una poderosa polizia segreta attentati come questi sarebbero facilmente attribuibili al potere, appaiono fatti secondo un copione ben sperimentato. Ci sono infiniti precedenti: anche senza pensare alla strategia del terrore in Italia, con i servizi segreti impegnatissimi a depistare per proteggere gli esecutori fascisti, e a come Gheddafi tirava in ballo Al Qaeda per giustificare i suoi bombardamenti, basta ricordare come lo sbirro Putin è arrivato alla presidenza con attentati a ignari civili. Va detto che Assad l’ha fatta così grossa che perfino Putin, finora protettore del regime di Assad, ora ha chiesto un maggiore intervento dell’ONU.

In ogni caso a noi spetta rifiutare anche la minima partecipazione a un’impresa sicuramente ambigua, che può per giunta trasformarsi un una nuova miccia che faccia deflagrare un incendio incontrollabile. Tanto più se in un contesto di crisi economica e sociale generalizzata una delle soluzioni a cui pensano settori importanti del capitalismo è la guerra (così in effetti si uscì dalla crisi del 1929-1939). E in questo contesto dobbiamo rifiutare anche la partecipazione alle manovre apparentemente di routine in Giordania, di cui parla l’articolo di Antonio Mazzeo. Se servono anche a partecipare alla “fiera dei piazzisti d’armi”, è un aggravante. Basta non solo con l’acquisto di armi, basta anche alla loro produzione. La riconversione delle industrie militari a fini civili non è tecnicamente impossibile, è solo questione di volontà politica: basterebbe smettere di riversare miliardi sulla produzione bellica, e investirli invece per costruire mezzi di trasporto civile come traghetti, pullman, ambulanze, elicotteri antincendio…

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