• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > L’editto kazako di Renzi

L’editto kazako di Renzi

Nell’abbaglio e nel sogno di un repubblica presidenziale Renzi, dopo l’editto bulgaro, ci regala l’editto kazako: "Non ho preso il 41 per cento per lasciare il futuro del paese nelle mani di Mineo“.

 

Gli fa eco il suo amico Lotti, che ci rammenta che 14 senatori non possono vanificare la volontà di 12 milioni di elettoriCerto il popolo degli elettori vuole oggi le riforme, così come ieri non voleva le grandi intese.

Ma il popolo conta, o non conta, a seconda delle convenienze. E la convenienza, in questo momento, è blindare la Commissione Affari Costituzionali, per fare le riforma Berlusconi/Renzi. E se per fare ciò è necessario estromettere Mineo e Chiti, che disturbano il manovratore, si estromettono Mineo e Chiti, anche contro l’art. 67 della Costituzione.

Basta la parola, o meglio l'editto, quello di Renzi.

E’ ancora fresco il sapore e il ricordo di certe frasi di Renzi, quando affermava che il PD non è un partito che espelle i dissenzienti e le minoranze. Certo non li espelle dal partito, ma li espelle dalle commissioni parlamentari. Eppure Mineo e Chiti non hanno fatto critica distruttiva, ma hanno presentato un progetto per la riforma del Senato alternativo a quello del governo, che ha raccolto in Parlamento vasti consensi e, comunque, l’adesione necessaria per liberare il Pd dall’abbraccio mortale di Berlusconi. C’era e c’è dunque spazio per sottrarre la questione “riforme” dalla dimensione privatistica di un colloquio a due o a tre e aprire nel partito e nel Parlamento un dialogo costruttivo e una trattativa risolutiva.

Ma a Renzi non interessano le riforme, ma le riforme concordate con Berlusconi, il dialogo nel Parlamento e nel partito, ma la trattativa privata, non interessa il rispetto del dissenso ma la sua repressione. Sono le riforme che realizzano un esecutivo forte e un Parlamento debole, un partito autoritario e una minoranza silenziosa che non disturba il manovratore, i veri obiettivi del sindaco di Firenze.

E questa linea non è figlia della necessità, delle contingenze e delle opportunità politiche, ma di una cultura, di un modo di pensare che preferisce le decisioni del capo alla decisioni collettive, l’esecutivo forte al Parlamento, la repressione al dialogo, il bluff alla realtà delle cose, che investe non solo l’area renziana, ma tutto il partito. Ma questo succede a un partito che è diventato un comitato elettorale quando ha lasciato l’ideologia, e con essa, come scrive Cecilia Alessandrini, “il sogno di cambiare il mondo per costruirne uno nuovo, con nuove logiche e nuovi rapporti di forza”, quando ha abbracciato il pragmatismo senz’anima, in cui importante è l’azione e non la sua qualità, il cammino e non il suo traguardo. In questo partito, scrive ancora la Alessandrini, non c’è spazio per ”nessuna idea di rottura, nessun coraggio, nessuna capacità di prospettiva, nessuna volontà di buttare il cuore oltre l’ostacolo, solo un dimenarsi infinito tra le idee preconfezionate e imposte, attraverso i grandi media dall’establishment italiano".

 

Foto: Wikimedia

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità




Ultimi commenti