L’attentato, la puttana: le strane storie su Fini che Belpietro chiama giornalismo
Una delle regole che cerco di seguire quando scrivo un articolo o un post è “più inversomile uguale più verifiche“. Non sempre ci riesco, e per questo mi è successo di dovermi scusare con i lettori per imprecisioni o panzane belle e buone spacciate per notizie. Ma, per naturale differenza di ruoli, non ho mai avuto per le mani ciò che sostiene di avere per le mani il direttore di Libero, Maurizio Belpietro. Che afferma, nell’editoriale di oggi, di essere venuto a conoscenza di un progetto di attentato e della frequentazione di una escort per il presidente della Camera, Gianfranco Fini.
Rivelazioni incredibili. Da un lato ci sarebbero 200 mila euro come contropartita per un «manovale della criminalità locale» di Andria, in Puglia, per uno «scherzetto» («Non so se sia giusto parlare di attentato») a Fini. Dall’altro ci sarebbero le rivelazioni di una «signora che esercita il mestiere più vecchio del mondo», di Modena, che avrebbe eseguito una prestazione per 1000 euro in contanti a «un tizio uguale in tutto e per tutto a Gianfranco Fini». Titolo: «Su Gianfranco iniziano a girare strane storie…».
Illazioni meritevoli, oltre che di una denuncia alle autorità competenti, di verifiche scrupolosissime. Perché una volta messe in pagina, e Belpietro lo sa bene, le voci tendono ad assomigliare ai fatti, a confondersi con essi e alimentare altre, e ancora meno attendibili, voci. Ma queste verifiche sono state fatte? Il direttore si limita ad assicurare i lettori dicendo che delle proprie fonti ha «accertato identità e professionalità». Non resta che fidarsi. Anche se è lo stesso Belpietro ad affermare, delle storie riportate, «non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni o, peggio, siano una trappola». Aggiungendo, rispetto alla seconda, delle domande sull’affidabilità della escort modenese: «Mitomane? Ricattatrice? Altro? Boh!». Ma come, e gli accertamenti che aveva appena sbandierato? Chissà.
Del resto Belpietro si contraddice anche quando afferma che di chi gli ha sussurrato all’orecchio non svelerà il nome, solo per poi, poche righe più sotto, affrettarsi a precisare che riferirà quel che sa ai magistrati, se necessario. E in quella circostanza l’interesse di proteggere una fonte sarebbe maggiore rispetto a fare completa chiarezza su un progetto di attentato, per giunta ritenuto attendibile, alla terza carica dello Stato?
Appare evidente, insomma, che il contenuto delle notizie, sempre che siano tali, non abbia ricevuto una dose sufficiente di verifiche prima di essere messo in pagina. Che Belpietro lo sapesse benissimo. E che, ciononostante, abbia deciso di pubblicarle. Il che crea un fastidioso precedente: e se altri giornali adottassero questo metodo, magari contro lo stesso Belpietro? Di che finiremmo per parlare se non delle dicerie dei tanti soggetti strampalati che abitano il paese? Ma è questo il mestiere del giornalista? Questo il senso dell’informazione?
Stupisce da ultimo come a basare un editoriale su dicerie e spifferate, per quanto ritenute affidabili, sia proprio il direttore di un quotidiano che ha fatto la guerra a Wikileaks e a ciò che rappresenta, abbassando la sua funzione a quella di ripetitore di gossip di bassa lega. Il sospetto, tuttavia, è che non ci sia stato nessun cambio di linea editoriale. Che non distingue da tempo gossip e notizia («Fini e la Tulliani separati in spiaggia» come titolo di prima pagina dovrebbe bastare, come esempio). E che resta: colpisci l’avversario politico, delegittimalo. Anche a prezzo dell’ennesimo, cosciente asservimento del giornalismo al nulla.
Update: Ci mancava solo il granchio di Repubblica.it.
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