L’addio alla Cina della guerriera gentile
“La guerriera gentile” è la meravigliosa autobiografia di una candidata al Premio Nobel per Pace: Rebiya Kadeer. Questo libro molto avventuroso è stato scritto insieme alla giornalista tedesca Alexandra Cavelius (www.corbaccio.it, 2009).
La dissidente Rebiya Kadeer è originaria del Turkestan orientale, che dal 1949 è una regione della Cina che viene sfruttata per le sue materie prime dalle industrie cinesi che stanno inquinando senza rispettare nessuna regola ((lo Xinjiang cinese è grande cinque volte l’Italia). Questa regione è popolata da una delle popolazioni turche più antiche del mondo: gli uiguri. Rebiya Kadeer appartiene a questo popolo e in certe regioni del mondo “chi appartiene al popolo non indossa collane d’oro bensì manette ai piedi e alle mani” (p. 8). Rebiya dice di lei: “Ho sempre pensato che avrei liberato la mia terra dall’invasore. Non ci sono riuscita… però ho indicato al popolo la via, come un maestro” (p. 9). E allora incrociamo le dita: la società, a differenza della natura, da spesso una seconda possibilità. Ma anche tutti noi dovremmo iniziare a dare meno importanza all’oro, ai diamanti e ai potenti, per concentrarci meglio sulle reali esigenze della gente comune, così da riuscire a realizzare un’esistenza dignitosa per tutte le categorie di cittadini. Anche perché “la cultura di un popolo si preserva soltanto se si dispone di tre mezzi: tempo (libero), pace e denaro” (p. 44). Del resto bastano poche persone con la volontà e la forza di dare il buon esempio, per mostrare a tutti i cittadini dei modelli positivi da seguire. E per tutti gli esseri umani “Tutto passa… Dobbiamo dimenticare il presente e guardare al futuro” (Zunun Kadeer, scrittore uiguro).
Quindi Rebiya Kadeer sta combattendo una lotta pacifica con le armi della parola e dell’esempio. Una “guerra” dichiarata con molto sangue freddo e ammirevole lealtà durante una riunione del Congresso nazionale del popolo cinese (l’equivalente del nostro Parlamento). Ora vive negli Stati Uniti col marito e sei dei suoi figli. Di sua madre le è rimasta impressa questa frase: “Le leggi dei comunisti non mirano solo a far sì che gli uiguri dimentichino la propria storia e le tradizioni. Puntano anche a fare in modo che ci dimentichiamo di noi stessi. La popolazione ormai dovrebbe occuparsi solo della propria vita (di stenti), così non ha più il tempo di pensare alla morale” (p. 69).
Bisogna però considerare che il nazionalismo può diventare una nuova forma di integralismo e totalitarismo e l’ONU dovrebbe intervenire più attivamente per imporre ai diversi Stati del mondo una versione più federale che tenga conto delle autonomie regionali delle diverse popolazioni, per realizzare forme di autogoverno veramente affidate a persone originarie della regione (come succede ad esempio per le Regioni e le Provincie Autonome italiane). Perciò mi sembra impensabile la secessione del Turkestan orientale dalla Cina: scatenerebbe una serie di richieste simili in tutta la nazione e in tutto il mondo, col rischio di scatenare una terza guerra mondiale. Purtroppo quel che è stato è stato e bisogna cercare di essere più diplomatici e realisti.
Ma il problema principale che sorge nei paesi dove non c’è una proprietà privata (o una di tipo locale come nei villaggi africani) è questo: i comunisti non hanno alcun riguardo per la natura e, poiché non possiedono niente, non hanno il minimo senso di responsabilità per le terre in cui vivono (p.131). Comunque i governanti occidentali e quelli cinesi avranno tanti difetti ma hanno capito una cosa fondamentale: i grandi problemi dovuti alla crescita incontrollata della popolazione che impediscono una convivenza dignitosa e pacifica. Ma quasi tutte le popolazioni del mondo non riescono a comprendere la cosa. Forse Rebiya Kadeer ha compreso questo problema quando ha affermato che prima dell’occupazione cinese il territorio di Altay non era molto popolato e chiunque vi viveva senza problemi (però facendo parte di una minoranza lei si è sentita in dovere di fare molti figli).
Infine, per capire meglio la profonda intelligenza di Rebiya e il suo radicato senso della giustizia, riporto ancora una volta le sue parole: “Voglio essere la madre degli uiguri, il rimedio alle loro sofferenze, il fazzoletto che asciuga le loro lacrime, il mantello che li protegge dalla pioggia... Prima di me nessun uiguro ha osservato la propria terra da così tanti punti di vista: figlia di profughi, moglie povera, multimilionaria, deputato al Congresso nazionale del popolo e prigioniera politica di lunga data” (p. 16-18). Così questa eccezionale autobiografia è il primo grande segno che in molti paesi del mondo le donne hanno in grembo il nuovo futuro pacifico dell’umanità.
P.S. Il motto preferito dal governo cinese è ancora il seguente: “L’ignoranza porta obbedienza” (proseguono infatti le varie forme di censura su Internet). Invece quello preferito da Rebiya Kadeer è questo: “Fuorché la morte, tutto è piacevole” (è un proverbio uiguro).
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