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L’ONU accusa il Libano di praticare la tortura

Il Comitato contro la Tortura dell'ONU ha pubblicato un rapporto che mette pesantemente sotto accusa il Libano. Nei centri di detenzione del paese sono stati riscontrati gravi casi di tortura e trattamenti disumani.

Come riportato da lorientlejour.com, una parte consistente del rapporto annuale dell'agenzia, reso pubblico martedì scorso, è dedicato al paese dei Cedri e svela i risultati dell'inchiesta confidenziale condotta in Libano tra il maggio 2012 e il novembre del 2013. L'indagine non è stata pubblicata integralmente, in effetti, ma sono state rese disponibili le conclusioni e le raccomandazioni del Comitato.

La missione di inchiesta ha raccolto le informazioni necessarie interfacciandosi con le autorità, che hanno ammesso in alcuni casi le pratiche di tortura, con diversi soggetti della società civile e con le vittime disponibili a parlare. Ne è emerso un quadro estremamente cupo. Come avviene spesso in situazioni analoghe, su ogni latitudine, anche in Libano le torture ed i maltrattamenti avvengono principalmente al momento dell'arresto e durante gli interrogatori, condotti nei luoghi di polizia o all'interno di spazi di detenzione provvisoria gestiti dall'intelligence delle FSI (Forze di Sicurezza Nazionale) o dai servizi segreti militari.

Le persone maggiormente esposte al rischio di tortura, secondo quanto rilevato dalla missione, sono quelle tratte in arresto con l'accusa di aver preso parte ad attività terroristiche o di spionaggio. Persone, dunque, dalle quali le autorità intendono trarre informazioni. Ma non solo: anche gli espatriati siriani e palestinesi, le persone arrestate per reati minori ma senza i mezzi finanziari per la difesa legale, i tossicodipendenti, le prostitute e gli omosessuali rischiano costantemente di subire tortura da parte degli agenti dei servizi e delle brigate di salvaguardia dei costumi morali.

Un altro aspetto inquietante riguarda gli atti di tortura e di trattamento disumano posti in essere da parte di soggetti non statali, come le milizie di Amal e Hezbollah, che spesso infieriscono sui prigionieri prima di consegnarli alle autorità e ai servizi di sicurezza libanesi.

I metodi e le modalità di interrogatorio si dispongono su diversi livelli di brutalità. Si va dal semplice pestaggio a tecniche più dure ed elaborate, tristemente note a chi opera per eliminarne l'applicazione. Le più usate sono il cosiddetto ballanco, nel quale la vittima viene appesa per i pugni legati dietro la schiena e il farrouj, anche detto “pollo arrosto”, con il prigioniero appeso a testa in giù su una sbarra metallica che gli passa dietro le ginocchia, con i polsi legati alle caviglie.

Gli omosessuali, arrestati in base all'articolo 534 del codice penale, sono spesso sottoposti a ispezioni anali forzate.

Molto spesso le torture sono state inflitte (e vengono tutt'ora inflitte) all'interno delle camere di sicurezza dei tribunali delle più importanti città, a partire da Tripoli e da Beirut, la capitale. Secondo le testimonianze raccolte, gli agenti dei servizi di sicurezza militari usano regolarmente la tortura per estorcere confessioni prima dell'inizio delle udienze.

Alcune delle vittime hanno riferito di aver denunciato i trattamenti subiti all'autorità giudiziaria, rinnegando le confessioni rilasciate sotto tortura, ma nessuna indagine o iniziativa è stata avviata per verificare i contenuti di queste disperate segnalazioni. Tutto il sistema statale, dunque, sembra essere complice e consapevole delle vessazioni.

In nessuno dei casi analizzati il detenuto ha potuto giovare della presenza di un avvocato durante gli interrogatori. Quelli che hanno ottenuto una difesa, hanno incontrato il loro difensore solo nel momento del trasferimento in tribunale. Nessuno dei detenuti è stato inoltre messo a conoscenza del diritto di richiedere un esame medico.

Un altro capitolo drammatico riguarda le violenze sessuali, perpetrate principalmente ai danni delle prigioniere. Il personale medico del carecere femminile di Baabda ha rivelato alla missione che, in molti casi, sui corpi delle detenute sono state riscontrate lesioni compatibili con pratiche di tortura e violenza sessuale. Scoperte rilevanti sono arrivate anche dalla prigione centrale di Roumieh, a Beirut, dove quasi la metà dei membri del gruppo islamista Fateh el-Islam, arrestati dopo gli scontri con l'esercito del 2007, ha dichiarato di aver subito gravi forme di tortura per mano degli agenti del FSI o dei servizi militari. Le prove mediche raccolte sul posto sembrano confermare queste denunce.

Altri riscontri sono arrivati con la visita al quartier generale del FSI, dove la missione ha riscontrato la presenza di camere di tortura, attrezzate con sedie fissate al suolo, supporti metallici al muro, cassette elettriche e fori nel pavimento, così come descritto da testimoni precedentemente incontrati che avevano dichiarato di essere stati torturati in quegli stessi luoghi.

Durante la visita al quartier generale, i membri della missione hanno avuto l'impressione che il registro medico, fornito loro dai responsabili della struttura e relativo alle condizioni fisiche dei detenuti e degli interrogati, fosse stato manipolato o preparato appositamente per la visita del Comitato, così da cancellare ogni traccia di maltrattamento.

In altri casi i registri non sono stati forniti affatto, come durante la visita ai locali di detenzione dei servizi di sicurezza militari a Saïda, dove il capo della struttura si è rifiutato di consegnarli. Ciononostante, la missione ha scoperto l'esistenza, nell'edificio, di cinque celle sotterranee che le autorità avevano tentato di nascondere.

Durante la visita alla sede del Ministero della Difesa nella città di Yarzé, il capo dei servizi di indagine ha riconosciuto l'esistenza di denunce agli atti relative a casi di tortura e trattamenti disumani e degradanti. Secondo il medico legale della missione, però, il registro msanitario fornito non era stato adeguatamente tenuto e compilato, sollevando nuovamente dei dubbi sull'affidabilità della documentazione fornita dalle autorità statali.

Non solo tortura. Sono stati molti gli elementi critici rilevati dalla missione e riportati nel rapporto, a partire dalle condizioni materiali di detenzione nelle prigioni civili in relazione all'igiene, all'alimentazione, allo stato dei locali e all'accesso alle cure mediche. Le condizioni di detenzione in queste strutture sono state descritte come spaventose. Le zone di detenzione risultano totalmente insalubri, le cure mediche specialistiche e non solo sono quasi inaccessibili, non esiste separazione tra detenuti in attesa di giudizio e condannati in via definitiva. Spesso, nelle prigioni civili, la convivenza dei detenuti è in regime di auto-gestione, con conseguenti problemi di violenza intra-carceraria.

In seguito alle ispezioni e alle testimonianze raccolte, il Comitato ha inserito nel rapporto una serie di raccomandazioni alle quali lo stato libanese dovrebbe dare seguito, per dare prova del proprio impegno sulla strada di un maggiore rispetto dei diritti dell'uomo. Si attende la realizzazione di un contro-rapporto, da parte libanese, entro il 22 novembre.

In considerazione delle gravi rilevazioni portate a conoscenza dell'opinione pubblica, grazie al lavoro del Comitato, ogni ottimismo su un rapido cambio di tendenza nel paese dei Cedri sembra però fuori luogo.

 

Foto: shankar s., Flickr

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