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L’Italia come nel film "Girlfriend in a coma"

L’unica cosa poco azzeccata del film “Girlfriend in a coma” è la parola girlfriend, che sa di ragazza giovane, delicata, una fidanzata in fiore appunto. È una ragazza in fiore quella che si vede nel video di una canzone di Edoardo Bennato, Ok Italia del 1987, che così recita:

“…le calze con la riga nera, al tempo stesso sexy ed austera, la tua bandiera ondeggia e ti ricopre appena”.

Nel video della canzone ci sono uomini con le maschere dei politici di allora (vi si riconoscono Fanfani, Spadolini, Andreotti) che se la rubano l’un l’altro per ballare, finché “Italia” fugge. Così è stato, da ancora prima del 1987, un paese depredato, rubato a pezzetti da chi ha potuto e voluto, perché bisogna pure essere capaci, averlo nel dna, di saper rubare, sapersi aggiustare i propri affari, prendersi il posto in un parcheggio precedendo qualcun altro, si chiami il parcheggio anche parlamento, amministrazione pubblica, società “partecipata”.

Bisogna essere italiani medi, e “io, modestamente, lo nacqui”. L’ometto che abbiamo avuto protagonista nella stampa o nella vita pubblica, nel nostro pollaio insomma, gli ultimi vent’anni – ma ancora prima, bastava informarsi (non dalla tv) o vivere a Milano – non era altro che un ometto che compendiava bene le caratteristiche in cui tanti italiani medi si riconoscono, uno dei nostri.

L’“Ahi serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello” di Dante – i versi della Divina Commedia accompagnano tutto il documentario – non può non far pensare a quanti servi è facile trovare nel nostro Paese, gente che vuole far parte della corte, basta pagarli, deputati o figuranti ai comizi, e a come sempre abbiamo avuto bisogno di avventurieri che ci promettessero mari e monti: “Dolce e perversa fai un’altra promessa, tu!”, queste invece sono parole di Bennato. 

Ora quella fidanzata in fiore non esiste più, è una signora a cui non si addice il “ti muovi lenta e ti lasci guardare, dondoli i fianchi come solamente tu sai fare” (Bennato), non è per niente sexy ed austera, ha cellulite sparsa da debellare e le fattezze abbondanti ma comunque ancora rotondeggianti di una signora Garnero, un simbolo che sembra rappresentarne tante, quella che non si donava (metaforicamente) allo sceicco di turno perché costui vedeva le donne “solo in posizione orizzontale”, finché non ebbe un sottosegretariato e pubblicità abbondante per la sua agenzia Visibilia.
 
È così che personcine di questa statura hanno giocato a fare gli statisti. Così tanti giovani ma anche c.d. uomini d’affari hanno potuto pensare che c’era una scorciatoia, perché affannarsi, bastano le amicizie giuste, le relazioni interessate, perché studiare e impegnarsi? Eccola, l’élite italiana degli ultimi 20 anni
 
La pellicola ha il pregio tra l’altro di essere tratta dal libro di Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, “Good Italy Bad Italy”; così il testo è scevro da ideologie e da riverenze domestiche, spregiudicato ritratto di un paese visto da fuori, asettico per quanto possibile. Preoccupante il grafico degli alti e bassi della civiltà italiana, i crolli del tracciato dopo l’impero romano, dopo il Rinascimento, dopo la prima guerra mondiale e l’ultimo crollo, da vent’anni a questa parte, che ci ha fatto finire sommersi, con zattere di fortuna piene di bambini piangenti. Pensiamo ai giovani senza futuro (“tradire i nostri stessi figli”), un milione di giovani laureati fuggiti all’estero negli ultimi 10 anni, nei cento anni dal 1870 ne emigrarono 29 milioni, ma erano italiani poveri.
 
“Sei un rapido che è sempre in ritardo, un grande sogno da accarezzare, di giorno forse hai qualche problema, sì, ma la notte ti trasformerà in una stella che brilla sopra ogni città”: sono ancora parole di Bennato. C’è nel film "la good Italy": gli uomini buoni che donano la propria vita agli altri, piccole cose funzionanti, ma in una distesa di sterpaglie anche un piccolo fiore fa sperare.
 
C’è la "bad Italy": il “potenziale incredibile sprecato” di cui parla Emmott: 164° nel mondo come “virtuosità” del debito pubblico, 170° quanto a Giustizia, 180° nella crescita del Pil, 70° nella libertà di stampa, 64° in corruzione, costi delle istituzioni in Italia superiori a quelli dati dal totale di Germania Francia e Gran Bretagna, solo il 14% della nostra economia è dato dalla manifattura industriale mentre il 10% è prodotto dal crimine organizzato. Viene facile accostare il crimine organizzato, quello che si fa i bunker o ville superprotette dalla rubinetteria in oro, che avvelena i territori l’economia e la finanza, con i politici arruffoni, italiani medi che si sono “sistemati”, dopo di noi venga pure il diluvio.
 
La regista Annalisa Piras ci fa grazia: sopra il "the end" aggiunge le parole: “Questa non è the end, possiamo cambiarla”. Speriamo.

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