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L’Isis mitraglia Mosca

Meno impegnato a insanguinare Kabul, e non per un efficiente controllo talebano del territorio bensì per l’uscita dell’Afghanistan dall’attenzione mediatica per la voglia di guerra occidentale trasferita su nuovi fronti, l’Isis si riaffaccia nella Russia putiniana.

 Lo fa alla sua maniera: massacrando innocenti. In questo caso spettatori di un concerto previsto nella Crocus City Hall di Krasnogorsk, periferia nord della capitale. Un commando di cinque miliziani, filmato e fotografato da telecamere interne, ha aperto il tiro al bersaglio sulla folla nell’ingresso e nella sala, freddando e finendo a terra anche molti feriti. Centoquarantatre morti. Una strage rituale, simile ad altre conosciute in Europa: davanti e dentro la redazione del parigino Charlie Hebdo e al Bataclan, sebbene il terrore era stato diffuso usando come armi camion o auto lanciate sulla folla a Nizza, Barcellona, Berlino. Nell’elenco dei massacri firmati dallo Stato Islamico fuori dal territorio siro-iracheno che dal 2015 aveva denominato Daesh, l’ultimo capitolo s’era consumato a inizio anno a Kerman, Iran meridionale. Novantacinque vittime maciullate con l’esplosivo di due kamikaze durante il quarto anniversario dell’assassinio del generale Soleimani, in un Paese che s’apprestava a un discusso voto. Quest’altro attacco arriva dopo un’altra scadenza elettorale, dibattuta e discutibile, che ha portato alla conferma plebiscitaria di Vladimir Putin, con oltre l’87% dei consensi e una corposa partecipazione al voto, 77%. Dati contestati dagli oppositori politici e non, e comunque acquisiti a livello internazionale. Le ipotesi di un’operazione orchestrata dai Servizi del nemico ucraino con lo zampino anglo-americano vengono meno non solo per la negazione degli indiziati, ma per l’ufficiale e orgogliosa rivendicazione dell’Isis che attraverso i suoi canali ribadisce la propria paternità, come già fatto in altre occasioni. Ancor meno accreditabile un’azione di oppositori interni, viste la spietatezza assassina e la complessa realizzazione di uccisioni, incendio del Centro e successiva fuga del commando, addestratissimo e motivatissimo. Lo smacco che può constatare il Cremlino e la sua Federál'naja služba bezopásnosti Rossijskoj Federácii, è la mancata previsione del possibile attentato, nonostante i suggerimenti offerti dalla Cia, svelati in queste ore dal portavoce della Casa Bianca Kirby.

Ulteriore falla è la mancata sorveglianza armata della struttura dove accorrevano migliaia di persone. Seppure il reale terrore che simili agguati introducono nell’ordinaria vita delle popolazioni, ovunque nel mondo, sono i mille e mille luoghi affollatissimi che possono diventare potenziali obiettivi. Se alcune piazze sono state colpite e ora dimenticate, la gamma di possibili bersagli che questo network che ha da tempo soppiantato Al Qaeda nella sanguinaria scalata del terrore, possono risultare i più vari. L’organizzazione risponde a proprie logiche: impedire la gestione di territori e sistemi di vita all’imperialismo globale, che merceologicamente parlando ha centri di potere a New York e Londra, come a Mosca e Pechino, pur con bandiere, nazionalismi e ideologie contrapposte. Contro di loro innalza la sua bandiera che recita “La ilàha illa Allàh", ossia "non c'è dio se non Allah” un credo teologico in un mondo che è prossimo solo nell’affarismo mercantil-finanziario, ma risulta eternamente diviso in lobbies di potere condite da nazionalismi, ideologie di ritorno, confessionalismi d’ogni genere. Se i miliziani islamici esprimono un antistorico fondamentalismo non sono da meno ciò che esprimono leader di nazioni che praticano un uso della religione (hindu, ebraica, ortodossa, evangelica) con finalità oppressive, suprematiste, razziste. Così mentre la geopolitica occidentale marchia a suo uso e consumo come terrorista Paesi e movimenti a lei sgraditi (Iran, Hamas, Houthi) pur praticando un terrorismo di Stato (come continua a fare Israele con stragi ben peggiori dell’assalto al Crocus City Hall) il terrorismo targato ieri Qaeda oggi Isis continua a prosperare e far proseliti. Pescando nelle contraddizioni delle minoranze etniche cui non si vuol riconoscere autodeterminazione da cui si reclutano miliziani o per sentimento o pagandoli profumatamente. Del resto mentre si discute su eserciti internazionali, gli uomini della guerra sono solo militari di professione o mercenari. Si mesta nel torbido? Sicuramente. In questo sporco mondo ognuno fa il suo sporco gioco: perché il Kosovo è diventato una nazione e non possono esserlo l’Ossezia e il Nagorno-Karabakh? Perché da oltre settant’anni i palestinesi non hanno un proprio Stato?

Enrico Campofreda

 

 

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