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L’Argentina ad un anno dal voto. Quali prospettive dopo il ciclo kirchnerista?

Il 25 ottobre 2015 si terranno nel paese sudamericano le elezioni presidenziali e quelle legislative. I candidati verranno scelti nel mese di agosto, con le “P.a.s.o.”, le primarie “aperte, simultanee ed obbligatorie” che dal 2009 definiscono la liste elettorali dei partiti che ottengono almeno il 1,5% dei voti validi espressi nel collegio elettorale di pertinenza.

La presidenta Cristina Fernandez de Kirchner è entrata nell’ultimo anno del suo secondo mandato, e non potrà quindi ripresentarsi alle elezioni politiche del prossimo anno. Quasi sicuramente sarà candidata invece per le “europee” argentine, cioè il debutto del “Parlasur”, il parlamento del Mercosur i cui integranti verranno probabilmente scelti da elezioni associate a quelle per il presidente e il parlamento nazionale.

Attualmente l’Argentina dovrebbe eleggere “merco-deputati” per un totale di 26 seggi, che diventerebbero 43 dal 2020, con l’ampliazione delle rappresentanze di Brasile, Venezuela e Bolivia. La legge che definirà le modalità del primo voto per il parlamento sudamericano dovrebbe essere approvata durante le vacanze di natale, ed è l’occasione per un durissimo scontro politico dal forte sapore di campagna elettorale. Da una parte la maggioranza kirchnerista sta cercando di usare queste ulteriori consultazioni come volano per le elezioni presidenziali e legislative, mostrando una presidenta ancora saldamente in sella e facendo circolare voci su una sua candidatura al Parlasur. Dall’altra parte l’opposizione polemizza con le immunità parlamentari associate al ruolo di “merco-deputato” che la maggioranza vorrebbe approvare (e che vengono direttamente ricondotte ai guai legali che sta vivendo una impresa della presidenta, la Hotesur) e minaccia di opporre alla candidatura presidenziale una lista unica dell’opposizione.

L’opposizione

Progetto tutt’altro che semplice, date le divisioni interne che ancora dominano l’opposizione all’oficialismo kirchnerista e che caratterizzeranno la elezioni politiche nazionali. Due sono i nomi più importanti del composito universo politico del centro-destra, il deputato bonaerense Sergio Massa e il sindaco di Buenos Aires, Mauricio Macri. Quest’ultimo, fondatore del PRO (che sta per “propuestas”), il partito neoliberale di destra con cui dal 2007 governa Buenos Aires, è il candidato del complesso mediatico conservatore. Nel 2011 aveva rifiutato di correre per le elezioni presidenziali, preferendo la rielezione a sindaco ed ora tenta il grande salto, come annunciato da diversi mesi. Ma la sua candidatura è nel frattempo sbiadita, e di fronte a sondaggi deludenti i media hanno deciso di scommettere sul peronista di destra Sergio Massa, avvocato e fondatore del “Frente Renovador”. Massa è stato deputato della Provincia di Buenos Aires e vice primo ministro con Nestor Kirchner, prima di essere eletto per due volte (2007 e 2011) sindaco del municipio di Tigre, vicino alla capitale. Da questa posizione di visibilità ha mosso verso la presidenza, rompendo con il kirchnerismo e fondando il suo partito personale in vista delle presidenziali del 2015.

Il Kirchnerismo

Già chiamarlo kirchnerismo è fuorviante. Si tratta infatti di una lunga lista di personalità politiche che, con molte e stridenti differenze tra di loro, hanno condiviso la traiettoria politica della coppia Nestor-Cristina Kirchner e le politiche della decade iniziata nel 2003, un gruppo tutt’altro che compatto al suo interno. Le speculazioni giornalistiche imperversano, rafforzate dal fatto che la leadership kirchnerista e la stessa presidenta non hanno ancora designato nessun candidato ufficiale. Vi è comunque una lista di pre-candidati alle P.a.s.o del “Frente para la victoria” la coalizione di governo, tra i cui nomi spiccano quelli di Daniel Scioli e Florencio Randazzo.

Il primo, ex vicepresidente della repubblica e attuale governatore della Provincia di Buenos Aires (dal 2007, rieletto nel 2011), è ritenuto un peronista di destra, decisamente sgradito alla componente progressista del Frente, uno dei motivi principali per cui la sua spasmodica ricerca di un endorsement ufficiale non ha ancora prodotto alcun risultato. La sua carriera politica inizia nel 1997, quando viene eletto deputato del governo della città di Buenos Aires dopo aver vinto le elezioni interne al Partito Justicialista in alleanza con Carlos Menem. Nel 2003 passa con Nestor Kirchner, accettando di far parte del “ticket” presidenziale che lo porta a ricoprire il ruolo di vice-presidente.

La sua parabola politica ambivalente all’interno del peronismo e la sua insistenza sui temi della sicurezza lo rendono un candidato sostanzialmente di destra in seno al kirchnerismo.

Una debole candidatura opporrà invece a Daniel Scioli la diretta continuità della presidenza di Cristina Kirchner e il proseguimento della sua agenda politica, quella di Randazzo. Si tratta dell’attuale ministro dei trasporti (dal 2007, primo governo di Cristina Kirchner), proveniente dal Partito Justicialista ed ex numero due della Provincia di Buenos Aires durante il governo di Felipe Solà (peronista menemista, ora all’opposizione), candidatosi alle interne con l’idea di essere il successore della Kirchner. Nonostante la presenza mediatica e i collegamenti politici con i municipi del Gran Buenos Aires che gli garantisce il suo ruolo di ministro dei trasporti la sua è una candidatura di testimonianza.

Il kirchnerismo si ritrova quindi ad un anno dalle elezioni senza un candidato forte e definito, correndo il pericolo di un’implosione che smembri il vasto patrimonio di deputati e senatori e l’imponente capitale politico accumulato in questi 12 anni di governo.

La soluzione ci sarebbe anche. C’è infatti un possibile candidato della cui fede al progetto kirchnerista e visibilità mediatica nessuno potrebbe dubitare: Massimo Kirchner. Il figlio della presidenta è infatti uscito allo scoperto per la prima volta il 13 settembre scorso, quando ha parlato dal palco allestito allo stadio dell’Argentinos Juniors, durante una manifestazione de “La Campora”, la corrente politica che ha fondato nel 2006. Dopo anni di lavoro nelle retroguardie per organizzare e diffondere nel paese la sua creatura politica, neanche a dirlo ultra-kirchnerista, Massimo è “sceso in campo”. Lo ha fatto per rilanciare l’immagine della presidenta, offuscata dai ricorrenti ricoveri in ospedale e indebolita dall’aprirsi della fase conclusiva della sua presidenza.

Kirchner Jr ha promesso che La Campora, che può contare su decine di deputati e senatori nazionali, oltre che su di un numero incalcolabile di politici provinciali e municipali, continuerà a servire il progetto del kirchnerismo anche dopo l’uscita di scena della madre. Difficile che questa intenzione si traduca in una sua candidatura per il 2015 tuttavia, scelta che alimenterebbe sì il mito progressista iniziato da Nestor nel 2003 ma che, mentre imperversano le accuse di nepotismo e leaderismo, rischierebbe facilmente di trasformarsi in un boomerang politico.

Oltre le urne: due paradigmi analitici

Se è presto per azzardare qualsiasi previsione sui risultati che usciranno dalle urne, complice la debolezza di tutti gli schieramenti in campo, la maggior parte dei commentatori concorda nel ritenere il passaggio elettorale del prossimo ottobre “epocale”: segnerà la fine di un ciclo, quello kirchnerista, e chiunque vinca sarà chiamato a guidare una trasformazione più o meno profonda della agenda di governo che ha caratterizzato l’ultima decade.

Continuità- Il peronismo è un araba fenice e la “derechizacion” della società

Un primo paradigma interpretativo del momento politico-sociale-economico che sta vivendo l’Argentina è quello proposto dalla accademica argentina Mariastella Svampa, una sorta di “trasformazione dentro la continuità”. Qui la “decada ganada” è vista come uno straordinario esempio della capacità di adattamento del peronismo, passato indenne attraverso i ’90 neoliberali e il collasso dello spettro politico antecedente alla crisi del 2001. Frammentato in diverse sigle, lo storico Partido Justicialista è sopravvissuto come movimento politico in senso lato ed ha saputo interpretare lo “spirito dei tempi” degli anni 2000: il rifiuto dell’agenda neoliberale e una politica progressista di orientamento continentale. Il tutto sarebbe stato possibile grazie al “consenso delle commodities”, un periodo di crescita economica e diminuzione della disoccupazione trainato dal rialzo dei beni primari prodotti dal paese sudamericano, soia in primis. Invece che promuovere una transizione verso l’uscita dal modello economico “estrattivista” il governo avrebbe ampliato la dipendenza economica da queste esportazioni (“riprimarizzazione dell’economia”) grazie anche alla “ley de semillas” che rinforza il controllo delle multinazionali sulle patenti delle colture.

Oltre che negli aspetti economici (recessione economica, alta inflazione) la Svampa vede la fine del ciclo in quelli sociali e politici. Di fronte all’aumento delle proteste sociali sta infatti venendo meno quella tolleranza da parte delle istituzioni che aveva caratterizzato fortemente i primi anni del ciclo kirchnerista, che stanno anzi riprendendo un discorso punitivo e un approccio repressivo della conflittualità sociale.

Infine la decade si chiude con una estremizzazione del modello presidenzialista e numerosi scandali di corruzione e arricchimento illecito che hanno riguardato il governo. La Svampa non si aspetta niente di buono dalle prossime elezioni: repressione e sviluppo economico insostenibile sono destinati ad aumentare, mentre la tendenza alla concentrazione del potere difficilmente verrà invertita. La criticità verso le politiche intraprese in questi dieci anni e il pessimismo verso il futuro derivano dal riconoscimento dell’assenza di uno spazio politico di centro-sinistra con reale vocazione di trasformazione sociale, mancanza resa più grave dalla trasformazione avuta nella società argentina dal 2001. Poco rimane dello spirito solidaristico sprigionato dalla crisi, sostituito da un discorso politico intollerante e punitivo che si manifesta in casi di xenofobia, saccheggi e linciaggi, una tendenza di generale “derechizacion” dell’opinione pubblica che non fa ben sperare.

Il Pendolo

L’antropologo Alejandro Grimson (1) utilizza invece una immagine altamente suggestiva per dar conto della situazione attuale del paese in una prospettiva storica. E’ quella del pendolo che, dopo periodi politici di più o meno pronunciato avanzamento progressista, riporta tutto alla posizione di partenza, cancellando le conquiste e “impedendo di consolidare uno sviluppo organico e sostenibile nel tempo”. Questa metafora affonda prepotentemente le radici della storia argentina: il pendolo oscilla furiosamente tra dittature e governi progressisti, riforme e crisi economiche indotte. Nel 2014 il pendolo potrebbe ancora essere la chiave di lettura della politica argentina, riconducendo il paese al “dolce denaro” e all'indebitamento sfrenato. Che questo pendolo si diriga senza freni verso “l’abisso” della ritirata dello Stato dalla società o che lo faccia più morbidamente, “contenendosi”, svuotando pian piano i programmi sociali di efficacia e negoziando la sua azione con la conflittualità sociale organizzata è tutto da vedere. Non a caso però Grimson tifa per la definitiva uscita di scena del pendolo come ricorso storico, parlando di “continuità riflessiva”.

Di fronte al rischio della “inversione a U” della politica argentina, la salvezza risiederebbe in una prospettiva incrementale, in una analisi serena dei risultati ottenuti o no (o perfino dei fattori peggiorati) nell’ultima decade. La povertà rimane un problema enorme, il lavoro nero anche, la crescita economica è debole, l’autosufficienza energetica drammaticamente peggiorata, ma: “Non è lo stesso affrontare il problema energetico avendo recuperato la maggioranza delle azioni di YPF (la petrolifera nazionale, ndr) che non averlo fatto. Non è lo stesso poter contare su una compagnia aerea di bandiera sotto controllo statale o la situazione anteriore”. E ancora “Il problema del debito presenta enormi sfide, ma non si può comparare con la situazione precedente alle rinegoziazioni del 2005 e 2010.” Per Grimson l’unica possibilità in una economia periferica come quella argentina è, una volta rinunciato a sperare nell’impresariato nazionale, quella di un redivivo interventismo statale. Di uno Stato riformato e trasparente, che sappia anche, onde evitare il pericolo di una “continuità senza autocritica” fare i conti con gli errori commessi in questa decade. Come il ritardo con cui si è completata la riacquisizione di YPF, la revisione dei sussidi statali, la troppa disponibilità a ripagare il debito odioso accumulato negli anni ’90, le mancate politiche industriali per rompere quei monopoli che sono parte della causa della attuale altissima inflazione.

Grimson non è pero particolarmente ottimista, prevede anzi che la cultura politica dicotomica vinca un’altra volta, e torni il pendolo della diminuzione della presenza dello Stato nella società, regressione che nemmeno più il kirchnersimo, in constante perdita di capitale politico, sembra più poter arrestare.

 

(1) “Cuatro escenarios y un pronostico para 201”, Alejandro Grimson, LeMonde Diplomatique ed Cono Sur, Dicembre

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