L’Aquila, provincia di Baghdad. L’emergenza continua
Pattugliamenti, posti di blocco, sorveglianza aerea notturna, zone rosse e “green zone” ultraprotetta del polo amministrativo militare di Coppito. Un’emergenza affrontata come una guerra
di Pietro Orsatti da L’Aquila (su left-Avvenimenti)
La partita che si gioca in Abruzzo in questi giorni è difficilissima. Da un lato si stanno modificando a colpi di decreto e di gestione dell’emergenza l’insieme di regole che tengono insieme lo Stato, dall’altro si ridisegna probabilmente l’equilibrio che tiene in piedi il Pdl e il governo Berlusconi. A L’Aquila forse non ci si gioca tutto, ma molto sì: sulla questione dei risarcimenti, su come sono stati esautorati enti e amministrazioni locali, sulla necessità di imporre a un pacifico territorio una muscolare Protezione civile, che di civile - vista la militarizzazione del territorio - ha molto poco.
Sistema Baghdad. Ci sono le zone rosse, c’è la “green zone” ultra protetta del polo amministrativo militare di Coppito, pattugliamenti, posti di blocco ovunque e sorveglianza aerea notturna. Si sta affrontando questa emergenza causata da una catastrofe naturale come se si fosse in guerra, anzi come se si gestisse un’occupazione militare.
«Disinformazione, esautorazione delle comunità, arroganza nel trattare con gli amministratori locali da parte del sottosegretario Bertolaso, lasciato comunque solo, unico interlocutore, a trattare con gli abruzzesi. Bertolaso che, costretto all’angolo promette, prende impegni, che poi puntualmente il Consiglio dei ministri ribalta. Spero che non sia un gioco delle parti». A parlare è Alvaro Jovannitti, ex parlamentare ed ex segretario regionale del Pci negli anni Settanta, una delle memorie storiche di questo territorio. Lui pensava di godersi la pensione, di occuparsi di storia del movimento operaio in Abruzzo, abbandonando la politica attiva. Ma la scossa del 6 aprile lo ha riproiettato sulla scena come animatore di assemblee e incontri soprattutto fra gli sfollati della costa, che paradossalmente oggi sono quelli che vivono difficoltà ancora più gravi di quelli rimasti nelle tendopoli ma sul loro territorio. «Da un lato il governo, rendendosi conto che i costi per mantenere migliaia persone in case private o alberghi sono molto più alti che averli nei campi, ha individuato il termine del 30 maggio. C’è un’ipotesi di proroga sul tavolo, ma i soldi stanziati sono meno di un terzo della soglia minima richiesta da albergatori e proprietari di case». E quindi fra poco meno di 15 giorni potrebbe verificarsi il rientro di chi ha preferito abbandonare temporaneamente le proprie comunità di origine in tendopoli già ora sature e con il caldo al limite della tenuta sia sul piano igienico sanitario che psicologico.
Un altro dato che pesa e peserà sempre di più a Roma è che, dopo la gestione immediata dell’emergenza, non sta accadendo nulla. Nessun cantiere, nessuna opera sostanziale di consolidamento e soprattutto nessuna casetta, baracca, azione anche provvisoria di ricostruzione. I centri storici sono deserti, circondati da militari, e dentro non sta avvenendo nulla. E intanto è iniziato un vero e proprio braccio di ferro fra Protezione civile e autorità locali (a esclusione della Regione del tutto assente in questa fase) sull’individuazione delle aree dove ricostruire. Già si è verificato una impasse a dir poco imbarazzante. I Comuni hanno indicato delle aree, la Protezione civile altre. E ciascuno immobilizza la scelta del soggetto “rivale”. Anche perché la Protezione civile agisce d’imperio, senza nessun contatto con gli uffici tecnici e le amministrazioni, mentre respinge, si sospetta di routine, ogni proposta alternativa. Un esempio di quello che sta accadendo è si è verificato a Paganica, frazione de L’Aquila. La provincia di Trento ha stanziato il denaro necessario e bandito una gara per la costruzione di 170 case costruite con i principi di bioarchitettura da destinare a questo paese alle porte della valle dell’Aterno. Consegna prevista, circa 20 giorni fa. La Protezione civile ha individuato, in totale solitudine, un’area e ha perfino iniziato a far preparare le piattaforme per la messa in opera degli edifici. Poi il Comune si è ribellato e ha indicato una zona totalmente differente ma che aveva l’obiettivo di mantenere unita la comunità attorno al centro storico. Risultato? Le 170 case andranno in altri comuni della valle e a Paganica tutto è bloccato. Addirittura le piattaforme sono state ricoperte. Questo tipo di “incidenti” sta avvenendo ovunque, e ovunque si ritarda ogni opera, ispezione, perizia. Bertolaso non cede, le comunità locali neppure. E si attende il G8.
Perché è sul G8 che si gioca la partita vera. «Dopo il G8 si capirà se i soldi ci sono sul serio, se hanno individuato chi costruirà e come e dove» spiega Jovannitti. «Per il resto terranno tutto fermo sperando che la situazione non degeneri». Ma la rete stesa su questo territorio dall’esecutivo non sta tenendo, perché l’affrettato e ambiguo decreto del governo sta allarmando non poco gli sfollati. Anche la sua versione emendata non rassicura, perché non sono stati fatti degli emendamenti “sostitutivi” ma modifiche “aggiuntive”. È stata infatti inserita la dicitura “rimborso totale” per le prime case di proprietà e residenza senza togliere la soglia dei 150mila euro per lo stesso obiettivo. Come se il governo avesse deciso che il totale è al massimo 150mila e basta. E non solo. Non è stata modificata la ripartizione di queste somme, di cui solo 50mila euro a fondo perduto da parte dello Stato e il resto a mutui agevolati e detassazioni. «Trucchi contabili», è la definizione del decreto più diffusa fra le tende. E la rabbia cresce. «Tremonti è stato molto abile - prosegue Jovannitti - si è tenuto lontano dai riflettori, non si è associato alle roboanti promesse di Berlusconi e dei suoi ministri. Una presa di distanza? Forse. O soltanto la necessità di sopravvivere quando la situazione precipiterà».
Ma c’è qualcun altro che le distanze inizia a prenderle. Si tratta di molti dei politici locali del centrodestra, addirittura di alcuni eletti nelle liste di Forza Italia, che, mesi sotto pressione da parte dei propri elettori, si stanno sempre più numerosi associando al coro di protesta contro il decreto e la militarizzazione del territorio guidato in questa fase dalla presidente della Provincia Pezzopane e, in seconda battuta, dal sindaco de L’Aquila Cialente. E in particolare il disagio verso la propria maggioranza di governo sembra montare tra le fila degli eletti di An. Reggerà questo castello di carte fino al G8? Sì, se la militarizzazione tiene (e segnali contrari arrivano anche dall’interno delle forze dell’ordine e dei Vigili del fuoco). Sì, se i “ribelli” del Pdl si riallineeranno dopo una bella ramanzina da parte del partito “d’azienda, di governo e di lotta” nato dalla fusione di An e Forza Italia. Sì, se non si verificherà qualche incidente nelle tendopoli facendo franare l’ordine pubblico. Perché è evidente, oggi, che basterà una piccola scintilla a far esplodere la rivolta nei campi che, non essendoci più un quadro di riferimento politico, non avrà altra via di sfogo che la rabbia.
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