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L’Aquila: il padanismo da carnevale suscita un meridionalismo autarchico corporativo


Dopo aver all’incirca sostenuto: “Questa parte del Paese non cambia mai, l'Abruzzo è un peso morto per noi come tutto il Sud ”, alla fine della prima decade del mese corrente, all'agenzia AdnKronos, il leghista Borghezio precisò: «Non mi sognerei mai di dire che l'Abruzzo e i terremotati abruzzesi sono un peso morto per il Paese. Il mio disappunto è, semmai, per l'ennesima conferma dell'atteggiamento che le amministrazioni, più ancora che le popolazioni, del meridione, mettono in campo di fronte ai problemi, alle emergenze ed alle catastrofi: quello cioè di far prevalere le tradizionali, eterne aspettative nei confronti dello Stato centrale, anziché rimboccarsi le maniche come hanno dimostrato di saper e voler fare, ad esempio, le popolazioni venete, anche di recente».

Immediatamente, il sindaco Massimo Cialente così replicò: «Borghezio all'interno del suo partito ha la licenza di spararle sempre più grosse e a volte disgustose. Inevitabilmente lo scopo è elettoralistico».

Poi, il Fatto Quotidiano.it ed Agoravox.it pubblicarono le reazioni di due cittadine aquilane. Bellissime “Lettere ad un bambino mal nato”. In quanto scaturite da persone molto dignitose ma troppo pesantemente coinvolte nella tragedia abruzzese. Giacché, una soluzione “autonoma” della “questione aquilana”, non sarà data se concepita come parte di quella “meridionale” e non paradigma della “nazionale”. Anche per non suscitare quel coro di reazioni meramente campanilistiche riscontrabile in una parte consistente dei trecentocinquanta commenti al primo testo.

Dopo pochi giorni, battendo “qualunquemente” sullo stesso chiodo delle prerogative etniche padane, presunte ed irrazionali, a La7 (Ottoemezzo), intervenne Castelli ing. Roberto (sottosegretario alle Infrastrutture dell’attuale governo). Meritandosi l’autorevole risposta del Presidente dell’Ordine degli Ingegneri de L’Aquila che proclamò: “Facciamo un bel cartello che tenga fuori dalla ricostruzione gli industrialotti del Nord”. Inoltre, affinché il collega leghista capisse bene l’antifona, tralasciando il politichese, De Santi ing. Paolo precisò: “Facciamo un movimento che bandisca dal nostro territorio l’utilizzo di materiali prodotti dal Nord e non facciamo lavorare nessuna impresa del Nord. Ed estendiamo il provvedimento anche a qualsiasi altro prodotto, alimentare, vestiario, etc. Vediamo poi cosa ne pensano gli industrialotti “polentoni” del Nord di un bel cartello per l’acquisto dei materiali prodotti nel Centro Italia, nel Sud ed anche all’estero”.

Così, dall’autarchia affettiva versus Borghezio si perviene all’autarchia volontaria vs. Castelli. Dall’invocazione di un’autonomia di pensiero alla proposizione di un’autosufficienza nel consumo delle merci. Entrambe, contrapposte all’autarchia degli aborigeni “padani” che amano privarsi dei diversi da loro, se non necessari al gioco del calcio, alla badanza degli anziani ed all’intrattenimento circense-televisivo.

Sicuramente, ognuno rammenterà che, per via delle sanzioni inflitte all’Italia dalla Società delle nazioni per l'aggressione all'Etiopia (1935), lo sforzo autarchico si fondava sulla necessità di far funzionare un paese con le risorse nazionali, quindi senza l'importazione di merci da paesi stranieri. Quindi, può essere addirittura pleonastico rammentare che vennero prodotte biciclette in legno, auto con propulsione a gasogeno e, da Breda, FIAT ed OM, automotrici disel, dette “littorine”. E certamente, l’ingegnere avrà a mente l’invenzione del bamboo-béton, ottenuto infilando nelle strutture in calcestruzzo anziché barre di ferro, dei culmi di bambù (ché ha il medesimo coefficiente di dilatazione del conglomerato di cemento e buona aderenza al béton).

Pertanto, oggigiorno, giacché la quasi totalità del ferro e della rete elettrosaldata per il cemento armato viene prodotta a Brescia (cuore della Padania), mentre il calcestruzzo viene fatto anche a Coppito, presso L’Aquila, si potrà ancora utilizzare il béton-armé con del puro steel inglese, ovvero, nuovamente, con del bambù rigorosamente prodotto nel Meridione. Per bastare a sé stessi, occorre fare tutto autonomamente?

Peccato non averci pensato già al momento della realizzazione delle 185 ciclopiche piastre antisismiche nei 19 C.A.S.E., progettate e realizzate da Gian Michele Calvi: magari chiedendogli di fare a meno di tutto quel ferro fornito dalla Veneta Reti s.r.l., per 19 milioni d’euro. Già parte dei lavori curati dall’ingegnere “pavese” non furono assegnati a ditte nordiche. Ad esempio, l’eugubina Colabeton Spa fornì tutto il calcestruzzo, per soli 33milioni d’euro. E per compensare quanto assegnato a trattativa negoziata od appaltato a quelle del Nord si pensò bene di fare eseguire tutte le opere di urbanizzazione alle ditte locali. E così via, per il verde. Così, alla cerimonia inaugurale non venne offerto del panatun meneghino, ma vennero distribuite mille confezioni di torrone e mille di cantuccio (Sorelle Nunzia sas), nonché mille confezioni di dolciumi (Aveja srl).

Poi, alla “fine della fiera” (che non poteva essere del tartufo, della casseula, del bàrolo o di qualsiasi altro prodotto tipico, di circoscritta produzione), già costata complessivamente più di 800milioni d’euro, si dovette pure provvedere alla redazione personalizzata dei regolamenti condominiali e delle tabelle millesimali per 4.449 alloggi dei 185 edifici realizzati per 17.000 persone (ma, ora, occupati solo da 14.019 sfollati). E questo lavoretto da 360mila euro fu suddiviso equamente tra sei studi locali. Perché, non sempre era opportuno avvalersi di prestazioni nordiche esclusive (v. la fornitura d’isolatori ad attrito con superficie sferica: F.P.S.) già collaudate presso l’Eucentre di Pavia. 

Forse, bastava questa storia, non ancora passata in cavalleria, per far riflettere chiunque sulla praticabilità d’un movimento per bandire dall’Abruzzo prodotti e produttori nordici. Giacché, si corre il rischio di richiamare alla mente, con l’autarchia, il corporativismo. Quando, nella terra del terremoto, un nuovo fuoco s’attizza per rivendicare agli Ingegneri la facoltà di redazione dei Piani di Ricostruzione che il Governatore Chiodi aveva ritenuto di far redigere alle Università. I dettagli, alla prossima puntata.

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