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L’Albania di nuovo nel caos come nel 1997: tre morti

La situazione è improvvisamente precipitata ieri durante una manifestazione dell’opposizione socialista. L’ Europa in allarme: in vista nuovi arrivi in massa di albanesi

Mentre la sponda sud del Mediterraneo è in fiamme ed ancora la situazione in Tunisia come in Algeria ed in Egitto non è ben chiara e continua a balenare il sospetto che la lunga mano del fondamentalismo islamico non stia ad aspettare altro che il momento propizio per prendere il potere a Tunisi come al Cairo o ad Algeri, all’improvviso pure la sponda balcanica dell’Adriatico torna ad incendiarsi. Di nuovo l’Albania, il secondo paese più povero del continente europeo, balza agli onori della cronaca a causa della sua epidemica incapacità di dotarsi di un sistema democratico e civile per lo svolgimento della vita pubblica. Ieri a Tirana, mentre erano in corso imponenti manifestazioni di protesta contro il Premier Berisha di fronte alla Presidenza del Consiglio, all’improvviso la Polizia ha caricato i manifestanti che hanno risposto prima con una fitta sassaiola, poi con l’assalto al palazzo. Nell’indescrivibile caos che ne è derivato qualcuno, come comunemente avviene nel “Paese delle Aquile” durante le manifestazioni politiche, ha iniziato a sparare con pistole di piccolo calibro e tre persone sono rimaste uccise mentre altre cinquantotto sono state ricoverate, per ferite di varia origine, negli ospedali della capitale. Per alcuni di essi, i più gravi, le autorità sanitarie hanno richiesto il trasferimento nei nosocomi pugliesi.

In Albania quasi ogni famiglia detiene illegalmente armi e dal giugno del 2009, cioè da quando l’attuale Premier Sali Berisha ha vinto le elezioni politiche generali, la vita parlamentare a Tirana è praticamente paralizzata ed a nulla sono valsi i tentativi dell’Unione europea di ricomporre la crisi. Il principale leader dell’opposizione, e cioè il socialista Edi Rama sindaco della capitale, antagonista di Berisha alle elezioni di due anni fa accusa il padre-padrone del povero paese d’oltre- Adriatico d’aver vinto grazie ai brogli ed alle intimidazioni. Ieri è stato il diretto intervento di Rama in piazza ad impedire che la situazione peggiorasse ulteriormente ma l’impressione generale è che la nostra ex-colonia stia per rivivere i terribili giorni del 1997 quando, era ancora Berisha al potere, lo scandalo delle finanziarie piramidali portò lo Stato al completo collasso e causò la fuga clandestina dal Paese di un terzo della popolazione, la più giovane d’Europa con tassi di prolificità paragonabili a quelli del Maghreb. L’Europa è terrorizzata dall’ennesima crisi albanese: si paventano nuovi esodi di massa soprattutto verso Grecia ed Italia. La rivolta di ieri dimostra come, nonostante una ben oliata campagna propagandistica, la situazione in Albania sia sempre desolante: la povertà non accenna a diminuire e quasi la metà della popolazione vive sotto al soglia di povertà. La disoccupazione reale poi sfiora il 30% della popolazione attiva, nonostante i dati ufficiali di fonte governativa la inchiodino al dodici per cento. Gli albanesi sognano l’ingresso nell’Unione europea al fine di poter abbandonare in massa la disperazione che aleggia in ogni parte del Paese.

L’Unione europea, per bocca del suo Alto Commissario per la politica estera, la britannica Catherine Ashton, e del Commissario all’allargamento Stefan Fule si appella al senso di responsabilità degli albanesi ma già a Tirana è iniziato lo scambio di reciproche accuse tra il Pdl al potere ed i socialisti all’opposizione. Berisha, che ha un ingombrante passato di oligarca comunista durante la dittatura di Enver Hoxha, ha accusato la sinistra di aver pagato dei delinquenti che sparassero sulla folla, giacché le pallottole con cui sono state uccise le tre vittime non sono di quelle in dotazione alle forze dell’ordine. Il socialista Rama riversa invece le stesse imputazioni in campo avverso. Bruxelles, intanto, guarda all’Italia, da sempre mentore di Tirana al fine di favorire la pacificazione tra le parti. Roma è chiamata alle sue responsabilità: è stato il governo italiano, pochi mesi fa, a promuovere in sede comunitaria l’abolizione dei visti d’ingresso per gli albanesi nell’Unione europea; è stata sempre l’Italia a perorare l’ingresso dell’Albania nella Nato e ad indicare ai propri imprenditori la Nazione adriatica come la nuova Eldorado. Tantissime aziende italiane hanno abbandonato Timisoara o la Slovacchia per impiantarsi nel triangolo Valona, Durazzo, Tirana nonostante i continui taglieggiamenti da parte della potente mafia del “ Paese delle Aquile”. Ora quegli stessi imprenditori hanno paura e, con mano, constatano il fallimento del falso sviluppo senza legalità di cui Tirana è stata protagonista da tre anni a questa parte. Pochi giorni fa il Vice- premier albanese Ilir Meta che alle elezioni si era presentato insieme ad Edi Rama ma poi fu convinto da Berisha, che senza di lui non avrebbe avuto la maggioranza in Parlamento, a rompere con il Sindaco di Tirana è stato colto con le mani nel sacco mentre riscuoteva una cospicua tangente per favorire un’impresa italiana in un appalto. E’ stato costretto alle dimissioni. I politici italiani, siano essi di destra come di sinistra, da sempre hanno considerato l’Albania come il proprio “ cortile di casa” imponendo ora questo ora quel politico agli autoctoni. Sempre, però, si è trattato di vecchi arnesi del passato comunista fortemente implicati in affari con la criminalità organizzata. Ciò è accaduto sia con D’Alema, sia con Amato, sia con Berlusconi, sia, da ultimo, in chiave più modesta con il governatore pugliese Niki Vendola. Ora all’Italia l’Unione europea chiede di togliergli le castagne dal fuoco.

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