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Monti e la monotonia del posto fisso: così si ridicolizzano le rivendicazioni dei giovani

 

Tv e grande stampa vogliono convincerci che rinunciare alle conquiste sociali serve al nostro progresso. Perché?

Il Governo studia le modalità di rilancio e sviluppo dell'economia, ma l’unica cosa su cui tutti i gruppi politici sembrano essere d’accordo è l’affermazione di Monti: "I giovani devono abbandonare l’idea del posto fisso perché è impossibile e perché, comunque, è noioso". E’ spiacevole dirlo, ma il prof. Monti, Supermario, è riuscito, in una frase sola, a dire due sciocchezze, tanto più gravi perché dette da chi ha passato molta parte della vita formando i giovani. La prima riguarda quella impossibilità. Infatti non è scritto che la pizzeria all’angolo, l’officina che si trova al di là dalla strada, l’ufficio del geometra al piano di sopra o il corriere con quattro furgoni non debbano vivere per i prossimi quaranta anni o che non debbano proseguire con gli eredi degli attuali proprietari o un nuovo socio. Nessuno dice in base a quale ineluttabile principio economico oggi si afferma che la IBM, Facebook, Rancilio, Carrefour o la Banca Popolare di Vattelapesca debbono morire in pochi anni o lustri e non capisco per quale legge economica Monti ci dice che entro qualche anno i nostri figli non soddisferanno più i loro datori di lavoro. 

Detto ciò su questa capziosa storia circa l'impossibilità di lavorare sempre nella stessa azienda e sulla convenienza di quest'ultima a non usufruire di personale formato e cresciuto in essa, vorrei lanciare un “j’accuse” sulla monotonia del posto fisso, affermazione, se possibile, ancora più sciocca della storia della sua impossibilità. Oggi i giovani, visto il ribasso delle case, i licenziamenti dei genitori, l’incertezza dei bot, la difficoltà ad arrivare a fine mese hanno voglia di lavorare. E lavorano. Come possono e dove possono: call center, apprendistato, a progetto, in nero.

Ed ecco il “dalli ai giovani”, colpevoli di volere un po’ di sicurezza. Sicurezza che i genitori, i nonni, credevano di avere. Sicurezza che sembrava eterna e che, invece, dopo soli trent’anni, è scomparsa, o almeno si dice lo sia. Ora si critica il sano, normale desiderio di stabilità dei giovani d’oggi, quel desiderio che abbiamo sempre avuto tutti. Noi veniamo da una vita che credevamo sicura e potevamo azzardare qualcosa, a loro si dice che tutte quelle certezze non esistono più e, se vogliono evitare quello che gli raccontano essere capitato ai padri, hanno ragione. Mille e mille ragioni.

Io ho vissuto, da piccolissimo, la guerra mondiale, sono andato a dormire per molti mesi con l’unica certezza che l’allarme aereo ci avrebbe poi cacciati in cantina ad ascoltare le esplosioni delle bombe e, ci si creda o no, nel 1972, per una sirena fuori orario, mi trovai a guardare il cielo alla ricerca degli aerei in arrivo.


Ed è questo che, con la storia di questa crisi, in larga misura voluta e programmata, stanno facendo il prof. Monti e gli altri ai giovani italiani.

Inoltre il prof. Monti dovrebbe capire che nella vita di un conducente di autobus, di un commesso, di un meccanico, ma anche di un archivista o di un magazziniere c’è poco di monotono: in essa c’è l’assunzione, l’acquisto della casa, l’incidente d’auto, la nascita di un figlio, l’auto nuova, la morte dei genitori e, soprattutto, la lotta per cucire uno stipendio all’altro, per le spese straordinarie di condominio, per dare ai figli un’esistenza migliore e per adeguarsi alle nuove tecniche di lavoro, alle nuove esigenze aziendali, alle novità della vita lavorativa.

E, infine, nella frase di Monti c’è molto più di una critica ingiusta: c’è il lavoro visto solo come mezzo di sopravvivenza, un modo per riuscire a vivere. In essa manca il sogno, manca la nobiltà di essere utili, di “essere folli e affamati”.

C’è il peccato originale del liberismo: il lavoro e la vita come mezzi di successo e di ricchezza. E basta. Il lavoro come fattore della produzione da comprare al prezzo di mercato più basso.
Manca il rispetto per quei milioni, miliardi di esseri umani che lottano, vivono, si sacrificano in lavori duri e senza prospettiva, mal pagati e pericolosi per dare una vita migliore e più nobile a chi verrà dopo, cioè quello che hanno fatto i “ladri di biciclette” venuti prima di noi e che a noi saccenti e pontificanti hanno dato la possibilità di vivere in un mondo con 1.000 morti annui sul lavoro, invece di decine di migliaia, con 38 ore lavorative contro sessanta, con la pensione a sostenere i giovani contro una vita a loro carico, con l’immigrazione invece dell’emigrazione.

Penso proprio che Monti e tutti quelli che condannano o ridicolizzano le rivendicazioni dei giovani lo facciano per interesse. Per il loro interesse, s’intende.

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