Italiani, popolo di mendicanti
“Se si escludono gli istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la miglior approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.” Da "La chiave a stella" di Primo Levi.
Levi parlava di privilegio nel svolgere un lavoro che amiamo. Ora il nostro privilegio - e l’aspirazione di tutti - è avere ancora un lavoro, ma non solo.
Si legge su Wikipedia alla voce mobbing: “Il mobbing, nell'accezione più comune del termine, identifica un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di uno o più individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.
Due facce di una stessa medaglia, l’una in contrapposizione con l’altra: la prima diventata quasi utopia pura, la seconda una condizione sempre più diffusa e troppo spesso non riconosciuta.
Sembra scontato e banale che il primo articolo della costituzione parli proprio di lavoro.
“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Eppure pensiamoci…
Lavorare riempie gli spazi, occupa il tempo, stimola la mente, ci fa sentire utili e necessari. Ci alziamo ogni mattina con uno scopo, ci integra in un tessuto sociale, genera ricchezza e ci permette di dare dignità e senso alla vita.
Sul lavoro si basa la nostra progettualità: una casa, una famiglia, coltivare i propri interessi e i propri hobby.
Nel lavoro ci formiamo, ci forgiamo, impariamo, cresciamo e coltiviamo relazioni.
Con il lavoro speriamo di trovare la nostra soddisfazione e la nostra gratificazione, per il riconoscimento dei nostri meriti e degli studi intrapresi.
Eppure la realtà è ben diversa. Sia per chi un lavoro non ce l’ha che per chi ce l’ha.
Senza lavoro ovviamente decade ogni cosa e si entra nel circolo complesso di trovarne uno al più presto. All’inizio si risponde solo alle inserzioni che possono essere adeguate al proprio profilo e alle proprie aspirazioni. Ma passa il tempo e spesso non accade nulla. A volte neanche un colloquio.
Quindi si inizia ad abbassare il tiro, e si prendono in considerazione anche lavori non attinenti e non adeguati. Ma spesso ancora nulla. Ed ecco allora che la ricerca si allarga sempre di più e i cv vengono mandati a tutti e per qualsiasi posizione. La frustrazioni inizia a salire. Ci si sente inadeguati, esclusi dal mondo perché non si ha un posto “riconosciuto” socialmente. Ci si interroga sulle scelte fatte, su cosa c’è in noi stessi di sbagliato, perdendo fiducia in quello che si è. E anche se forse razionalmente si capisce che c’è crisi, una situazione difficile e circostanze non dipendenti dalla nostra volontà, non si riesce a trovare una soluzione e la ricerca del lavoro – o meglio la sua mancanza – diventa un’ossessione. Soprattutto perché non sempre – anzi forse quasi mai – si hanno le spalle coperte e le difficoltà economiche diventano insormontabili tanto da portare un individuo a porre fine alla sua esistenza.
E quando si lavora? Bisogna ritenersi fortunati, e questo è certo. Anche se si svolge un lavoro che non piace, anche se si è bistrattati dai colleghi, non considerati dai capi, lasciati spesso a tirar fino a sera perché le attività languono. Però c’è lo stipendio e senza quello non si va avanti. Poco importa se hai un profilo di studio alto, esperienze di lavoro alle spalle, voglia di fare e di metterti in discussione. Hai il dovere di venire cmq al lavoro ogni giorno, passare lì le 8 ore delle tue giornate e coltivare la tua impotenza. Potresti sempre pensare di cambiare e cercare un altro lavoro. Certo. A cercare cerchi. Ma trovarlo è un’altra storia, molto simile ad una favola.
Ormai siamo diventati un popolo di mendicanti… mendichiamo lavoro, ovvero un diritto. Il primo scritto nero su bianco sulla nostra Costituzione.
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