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Italia-India, quando impazza il made in Italy

Sempre più vocata al mestiere delle armi l’economia nazionale, ammantandosi di geopolitica, cerca partnership con soggetti interessati all’acquisto di materiale bellico. 

E’ quasi tutto qui il succo del viaggio indiano della premier Meloni con l’aggiunta di “entrare” nell’Indo-Pacific Oceans Initiative, la maschera economica lanciata un anno fa da presidente statunitense Biden contro la supremazia asiatica di Pechino. E se quel cartello - che ha ricevuto l’adesione di India, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Australia, Nuova Zelanda, Filippine più la manciata insulare di Fiji e Brunei - ha una funzione prevalentemente politica, l’adesione meloniana assume contorni di uno zelante iper atlantismo in acque oceaniche. Rapportarsi a Delhi dopo anni di freddezza e ostilità per la vicenda dei marò sparatori e assassini di pescatori indiani (la vicenda è del 2012) e d’imbarazzo per lo scandalo tangentizio degli elicotteri AugustaWestland, che è ancora più antico e risale al 2006, sebbene venne alla luce nel 2013, da parte di Palazzo Chigi è un bel cimento. Utile alla politica interna, visto che l’inquilina sta applicando nel merito il “Cencelli del premierato mondiale” che consiste nel puntare su questioni internazionali per far dimenticare i mali interni. Ma delle antiche magagne italiane non può portare lei il fardello, e ad accoglierla trova un omologo estraneo anch’egli a quelle vicende che riguardavano un Congress Parti in progressiva caduta libera di consensi. Certo, il nazionalista Modi potrebbe sentirsi ancora offeso per il sangue dei connazionali fatti bersaglio di proiettili dai due fucilieri della Marina Italiana, pubblici ufficiali che difendevano interessi privatissimi della petroliera ‘Lexie’ grazie a una legge perorata da un ministro allora della Difesa, oggi seconda carica dello Stato, politicamente allora come ora assai vicino a Giorgia Meloni. Ma i politici dimenticano e poi nel ruolo di statisti pensano a questioni più cogenti per il Paese che non le misere esistenze dei lavoratori, in quel caso del mare per giunta.

Insomma Italia e India hanno sotterrato rancori e s’incontrano con tanto di benvenuto anche per prossimità ideologica fra “patrioti”. Sicuramente la cristianissima Giorgia non parlerà di religione con l’hinduissimo Narendra, rischierebbe incidenti diplomatici peggiori della faccenda marò, visto il fondamentalismo vigente nel Paesone-continente asiatico. I due discuteranno di affari, stilando una corposa lista di mercanzia. La punta di diamante del made in Italy è riassunto in due aziende: Fincantieri e Leonardo, che avevano già ripreso a offrire allo Stato indiano le proprie esperienza e maestrìa nell’approntare la prima portaerei realizzata in India. Indigenous Aircraft Carrier 1 Vikrant, questo il nome, deve tuttora terminare la fase costruttiva, alla quale Fincantieri ha offerto progettazione e altre nazioni, fra cui Stati Uniti e Russia (sì, Delhi conserva aperture a tuttotondo) concedevano rispettivamente spunti per l’impianto propulsivo e quelli per le attrezzature aeronautiche. Ma al di là della Vikrant, il governo indiano è interessato a equipaggiamenti di protezione dagli aerei senza pilota e sistemi di sorveglianza. Qui Leonardo presenta il suo gioiello: Rat 31 DL, radar di sorveglianza 3D in banda L, così recita l’infomarketing dell’azienda, che ha una portata superiore ai 500 chilometri. Il ministro della Difesa dell’attuale governo, Guido Crosetto che in questo caso non è volato a New Delhi, a lungo investito del ruolo di sottosegretario e imprenditore nel settore, oltreché presidente della Federazione Aziende Italiane dell’Aerospazio e Difesa (una sorta di Confindustria della produzione bellica nazionale) e ancora presidente della Orizzonti sistemi navali, società controllata sempre da Fincantieri e Leonardo, per tacere del ruolo di imprenditore nel settore assieme a consorte e figliolo, avrà sicuramente decantato le qualità di tali prodotti nei vari ruoli rivestiti negli anni. Politico, imprenditore, lobbista, legislatore, rappresentante delle istituzioni. E’ il mix privatistico e affaristico che caratterizza il ruolo di un bel pezzo dell’odierno ceto politico nazionale. 

Enrico Campofreda

Questo articolo è stato pubblicato qui

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