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Israele: la sorpresa nelle urne

E così è andata un po’ diversamente da come tutti si aspettavano.

Il Grande Trionfo di una destra ultraconservatrice, ultrareligiosa, ultranazionalista e ultrabellicosa alla fine non c’è stato. Mai come in questa occasione tutti, ma proprio tutti i leader politici si sentono autorizzati a sorridere e cantare vittoria.

Ma secondo gli exit-poll su 120 seggi del Parlamento israeliano all’intero blocco di destra ne andranno solo 61. Una maggioranza così risicata che costringerà il premier Netanyahu a rivedere il suo progetto di costituizione di un governo nazional-religioso compatto e pronto alla battaglia, magari per affrontare una volta per tutte lo spauracchio della bomba iraniana.

Quindi la destra ha vinto comunque, confermandosi come la prima coalizione, ma perdendo per strada ben 11 seggi rispetto alle elezioni precedenti. Ha vinto anche l’estrema destra del laico, scandalosamente ultranazionalista, Bennet (quello che ha sostenuto la necessità di annettersi definitivamente la parte di Cisgiordania sotto controllo israeliano), ma la sua affermazione è andata decisamente meno bene delle previsioni.

E ha vinto la sinistra (Partito Laburista in testa, con 15 seggi), ma soprattutto ha vinto il nuovo partito centrista Yesh Atid del conduttore televisivo Yair Lapid, alla sua prima tornata elettorale. Ora si apre la possibilità che si formi un forte blocco centrista con l’appoggio di una sinistra pragmatica e non ideologica, capace di creare una “coalizione di partiti con un programma comune sociale ed economico, che sarà anche l'avvio del processo di pace”, come ha affermato la leader laburista Shelly Yacimovich. Un blocco di opposizione, rinforzato dagli 8 seggi dei partiti arabi, ben più robusto di quello proposto dall’ormai screditata Kadima, ridotta a un paio di scarni parlamentari.

Ma si apre anche la possibilità che sia Netanyahu a dover chiedere al centro di Lapid un appoggio per governare con sufficiente credibilità un paese che appare letteralmente spaccato a metà; molto più di quanto non supponesse qualsiasi analista prima del voto.

Che si verifichi la prima o, più probabilmente, la seconda ipotesi, sembra finita qui, con le elezioni di gennaio 2013 anticipate volutamente dal partito del premier, la possibilità per il Likud di assicurarsi quella maggioranza ‘bulgara’ che gli veniva pronosticata e che gli era indispensabile per continuare il braccio di ferro un po’ con tutti, amici e nemici: dai palestinesi all’Iran, dall’Onu all’Europa, da Hezbollah ad Hamas e giù giù fino al Presidente Barack Obama.

Sembra finire qui l’ipotesi di un governo (e di uno Stato) ostaggio dei partitini ultrareligiosi della minoranza combattiva ed aggressiva dei coloni, perennemente in rotta di collisione con ogni ipotesi di ritiro dai Territori e di “cedimento” alle richieste palestinesi.

E, si potrebbe ipotizzare, finisce qui (o, quantomeno, questo voto sembra indicarne la sconfitta) la tendenza ad influenzare l’esito di ogni tornata elettorale israeliana tramite le bombe: che sia stata Hamas ad alzare il livello di scontro da Gaza o che sia stato Netanyahu a farlo per impostare tutta la campagna elettorale sul tema ‘sicurezza’ - alla fine sembra che gli israeliani non abbiano dato retta al perenne ‘tutti in trincea’, forse temendo le conclusioni prevedibilmente devastanti di un conflitto con l’Iran degli ayatollah, o forse preoccupati più dalle nuvole nere sull’economia che - almeno per ora - dal nucleare di Teheran.

Per una volta si direbbe che i falchi siano usciti sconfitti non solo dalla guerra, e dalle prospettive di ulteriori guerre, ma anche dalla volontà politica del corpo elettorale. E la sinistra, miracolata dalla nuova gestione Yacimovich, la regina dei kibbutz, ha finalmente l’opportunità di far sentire le proprie proposte sia sui temi sociali che sul progetto di pacificazione con i palestinesi, con un minimo di nuova credibilità. Soprattutto se resisterà alle posizioni ideologiche più estreme dei pacifisti duri e puri a cui gli israeliani, scottati da anni di guerre, attentati e missili, non credono praticamente da mai. Un patrimonio inaspettato di delega popolare che sarebbe criminale disperdere e deludere.

Oggi il nuovo centrismo di un anchorman, sceso (o "salito", se si preferisce) in politica da poche settimane, è l’ago della bilancia del governo prossimo venturo di un paese pericolosamente in bilico fra pace e guerra da oltre mezzo secolo. Le sue responsabilità sono enormi, ben più della conquista di un buon audience con le sue trasmissioni; speriamo che non imiti gli insopportabili, narcisistici show-men di casa nostra, a qualsiasi schieramento essi appartengano (lo dico per par condicio, ma davvero non ne sopporto nemmeno uno).

 

 

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.26) 24 gennaio 2013 10:06
    Gli israeliani e gli iraniani non vogliono la guerra. Non ci credete? Guardate questo video:

    http://youtu.be/eL0Du2QpCJ0
    • Di (---.---.---.93) 24 gennaio 2013 10:36

      Grazie a xxx.26 per il filmato che è noto da tempo, ma sempre utile per ricordarci che non sono mai i popoli a volere in conflitti (credo che si possa dire con un buon grado di certezza) ma casomai i dirigenti politici che istigano allo scontro per vari motivi.

      La sconfitta della destra israeliana sperabilmente farà abbassare i toni dello scontro almeno da una parte e fra non molto ci saranno le elezioni anche in Iran: avremo modo di valutare anche quello che si muove in quel paese.

      FDP

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