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Ipse Dixit: Giulio Rapetti in arte Mogol

Da sempre sostenitore della buona musica, autore di più di cinquanta brani scritti per Battisti. Penna di testi memorabili come "Il cielo in una stanza", "Una lacrima sul viso", "Sognando la California", "Cervo a primavera", "Io non so parlar d’amore", "Una giornata uggiosa", "La spada nel cuore" e tantissime altre. E’ con noi il maestro Mogol.

 

Quali sono i consigli che si sente di dare ad un giovane o ad una band emergente che muove ora i primi passi nel mondo della musica?

Sicuramente è importante studiare e fare esperienza. Oggi è necessario impegnarsi più che in passato, perché il pop ed il rock sono cresciuti, soprattutto da certi punti di vista come gli arrangiamenti e l’alta qualità che si trova nelle sale di registrazione. Ecco: a questo contorno devono necessariamente aggiungersi testi e musica di qualità…rimangono gli elementi essenziali.

 

Qual è l’iter che dovrebbe seguire un artista in erba per poter diventare magari un giorno il nuovo Lucio Battisti?

Beh crescere, formarsi anche come autodidatta. Secondo me però poi non basta: l’applicazione è fondamentale. Che si tratti di calcio, recitazione o canto, l’importante sono i maestri, lo studio, l’impegno e la passione. Non dimentichiamo che un calciatore come Maradona ha passato quasi tutta la prima parte della sua vita palleggiando. Questa è la sorte di tutti i professionisti, come anche Mozart e Beethoven che hanno continuato tutta la vita ad esercitarsi.

I talent scout in Italia sono alla continua e spasmodica ricerca di volti nuovi e ugole da lanciare nel firmamento mediatico.

Tutti cercano il talento. Ma, ripeto, il talento arriva quando si lavora. Allo stato attuale però cantare non è più solo quello che si vuole da un artista, interessa il suo mondo musicale fatto anche di molta immagine.

Non basta più essere dei validi e promettenti cantanti?

E’ bello anche essere dei dilettanti ma se si ambisce ad andare oltre bisogna impegnarsi. Oggigiorno poi non è detto che uno, solo perché è valido, riesca a portare la sua arte all’attenzione di tutti, perché i mass media fanno passare quello che è possibile e a questi livelli bisogna riportare l’artista a fare arte e non musica di marketing.

Parliamo di radio
.

La radio è il fulcro portante della diffusione della musica. Ma sta venendo a mancare sempre più questo ruolo, come dicevo pocanzi. Il deejay, lo speaker, l’autore radiofonico - ad esempio - prima facevano il mestiere di scovare l’artista, il brano, l’idea geniale e diffonderli rendendoli noti. Cioè era la radio a determinare il successo di un brano o di un cantante. Adesso non è che gli è mancata la voglia, gli è venuto a mancare il potere: le radio, costrette come sono nel ruolo che è diventato statico (quasi di servizio), possono solo trasmettere le play-list imposte dal mercato. Così alle nuove leve e agli artisti emergenti gli è venuto a mancare lo spazio.


Quale potrebbe essere la medicina per curare questo male dilagante dell’arte trasformata in mero marketing?

E’ il vero danno dell’arte! Fuori dall’Italia i cantanti hanno intitolate strade, aeroporti, monumenti. La concezione dell’arte canora e musicale dovrebbe prescindere dalle semplici regole del marketing, che vive anche di arte ma non la opprime. Ho fatto di tutto per sollecitare i governi italiani a incentivare l’arte, a favorire la cultura popolare. Il risultato: nessuna risposta! In Italia non succede niente. Siamo ancora a considerare il popolo-bue che segue il vento e si lascia manovrare come un burattino. Mentre non è così: intanto che il marketing sforna artisti fotocopia, in giro per l’Italia continuano a nascere e a propagarsi - silenziosi - cantanti e band musicali che diffondono la cultura popolare (come il folk) e si pongono come base dell’entusiasmo, della passione e della voglia di fare ed ascoltare qualcosa di coinvolgente e di vero. Quella è la vera anima della musica.

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