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Io sto con quel carabiniere, per lo stato di diritto e la vera democrazia

Che in piena era Monti, a oltre tre mesi dalla caduta di Berlusconi e col ritorno al centro degli equilibri nazionali di quelle forze politiche (pur con qualche mal di pancia) e civili oggettivamente più ragionevoli e responsabili, si dovesse assistere di nuovo alla penosa rassegna di presenzialisti con la bava alla bocca all'Agnoletto, alla Diliberto o alla Ferrero nelle varie trasmissioni televisive di approfondimento, è un salto all'indietro del quale in molti avremmo fatto volentieri a meno.

Da qualche giorno non si fa che sentir parlare dell'annosa questione della TAV Torino-Lione, o per meglio dire delle intemperanze del cosiddetto movimento dei "NO TAV" che periodicamente tornano ad agitare i già mossi pensieri del governo di turno e a trasformare, a causa dei propri comportamenti al limite della legalità, un tema che doveva essere eminentemente politico in un mero problema di ordine pubblico.

La doverosa premessa, almeno per quel che mi riguarda, è che di dubbi circa l'opportunità della realizzazione di un'opera pubblica evidentemente dispendiosa e dai risvolti tecnico-ambientali ancora tutti da sviscerare ce ne sono a iosa. Ma un conto è mettere legittimamente in discussione, magari anche con proposte alternative e suggerimenti in senso migliorativo, un intervento da tempo programmato e approvato, altro è ricorrere ad ogni mezzo all'unico scopo di farlo definitivamente saltare.

E qui vengo al punto che, dopo anni ed anni di tattiche dilatorie messe in campo da chi si oppone all'infrastruttura, di conseguenti stop and go a livello cantieristico e di spesso infinite quanto inutili e strumentali discussioni di retroguardia, ha attirato maggiormente la mia attenzione. Mi spiego: messo in chiaro una volta di più che sul piano politico ed economico non sono state del tutto fugate le perplessità, quell'opera va comunque ultimata. Semplicemente in quanto non è più lecito continuare a mortificare la democrazia del nostro Paese, quella vera basata sull'autorità degli organismi costituzionali di rappresentanza e non su forme di caotico spontaneismo.

In proposito, fra le tante parole in libertà proferite dagli esponenti politici e dagli opinionisti variamente shierati, l'unico che a mio avviso ha espresso in questi giorni un concetto sensato e non ipocrita, basato su un principio sacrosanto di formalismo giuridico, è Massimo Cacciari. Egli ha evidenziato che la democrazia è tale solo se non si slega dalla capacità di eseguire le decisioni legittimamente assunte dall'autorità costituita in nome di un interesse generale. Non è, pertanto, come invece molti nostalgici del '68 rivendicano assieme ai propri epigoni antagonisti, il velleitario e ingenuo diritto all'assemblea permanente.

Se la posizione del filosofo veneziano, per quanto giusta e condivisibile, è tacciabile di eccessiva rigidità e appare già a monte orientata, allora si può sempre aderire alla proposta lanciata su Repubblica da Adriano Sofri che ha proposto di definire una sorta di consultazione referendaria limitata alle popolazioni valsusine. Solo che neanche questa, almeno allo stato attuale, ha suscitato grandi entusiasmi finanche fra gli stessi "NO TAV" e fra quanti sostengono la loro battaglia. Forse perché temono che in quell'eventualità, privati della comoda arma di propaganda rappresentata dal paravento del dubbio e delle ambiguità, risulterebbero una palese minoranza negli stessi territori che sostengono di proteggere?
 
Al di là delle soluzioni che, in ogni caso e come detto, sono ormai fuori tempo massimo per una situazione già oggetto di molteplici attenzioni, trattative e ripensamenti in passato, l'assunto democratico evocato pur da diversi punti di osservazione da Cacciari e Sofri chiama in causa ulteriori aspetti necessari all'affermazione di un sistema che possa dirsi pienamente civile: lo stato di diritto e la legalità. Ovvero, tornando a quanto enunciato in precedenza, all'ordine pubblico quale prerequisito per il mantenimento delle regole democratiche stesse e della pacifica convivenza in un determinato contesto.
 
In Val di Susa, è inutile negarlo, l'argomento TAV è da sempre qualcosa che di locale ha ben poco investendo interessi nazionali e perfino sovranazionali. Ma ultimamente quel carattere di coinvolgimento più vasto lo si deve pure ai tentativi, a quanto pare riusciti benissimo, di infiltrare e strumentalizzare il movimento (assolutamente finalizzato, di contro, alla tutela di presunti interessi localistici in quanto tali appunto minoritari) in nome di ideologismi antisistema che per le modalità con cui vengono propugnati e diffusi ricordano molto la fase che precedette gli anni di piombo.

E uno Stato, dinanzi a questo rischio, peraltro certificato pure dal recente rapporto dei servizi segreti al Parlamento, quale priorità dovrebbe perseguire se non quella di evitare che gli interessi delle minoranze prendano il sopravvento sulle aspettative della collettività, a volte ricorrendo a inaccettabili strumenti di lotta estrema? In molti hanno lamentato la latitanza del governo rispetto ai fatti caldi della Val di Susa, ma il governo non era affatto tenuto ad intervenire se non attraverso le forze dell'ordine e solo per far rispettare la legge.

Quanti invocano la riapertura di un tavolo negoziale o l'ennesima sospensione dei lavori, assieme a quelli che invece rimproverano alle forze dell'ordine di voler prevaricare il diritto all'autodeterminazione dei territori, appaiono assolutamente in malafede. Perché la libertà o è libertà sempre, anche quando un degno servitore dello Stato come Gian Carlo Caselli è chiamato ad esprimere la propria opinione in un convegno pubblico o quando dei reporter fanno il proprio lavoro riprendendo e diffondendo immagini sconvenienti per alcuni, oppure non lo è mai e diventa soltanto odio, sopruso e violenza gratuita.

L'episodio che forse rende al meglio questa evidente ambiguità di fondo di coloro che a parole si professano paladini della giustizia, della libertà e della democrazia ma che nei fatti non di rado assumono atteggiamenti nettamente opposti, è la vile aggressione verbale di Marco Bruno - uno dei tanti barbudos finto-proletari che non trovano altro diversivo per rimediare alla propria frustrazione se non quello di distinguersi per inutile idiozia - al giovane carabiniere sardo, figlio di proletari, Stefano Fadda. E non c'è bisogno di scomodare Pasolini per mettere a fuoco una questione che è tutta e semplicemente di buonsenso.

Mentre il primo ragazzo, infatti, insultava e provocava il secondo toccandolo pure nei più intimi affetti e dandogli ripetutamente della "pecorella" (come se lui fosse invece un leone), gli occhi della vittima in divisa (e stavolta non si tratta di una contraddizione in termini) restavano fermi e sicuri dietro la visiera del casco d'ordinanza in una prova di forza morale davvero straordinaria. Occhi nei quali, come ha giustamente intuito e rilevato Enrico Mentana nel suo Tg serale, la stragrande maggioranza degli italiani non avrebbe avuto difficoltà a identificarsi a livello emotivo.

Il video dell'episodio in questione può quindi rappresentare un punto di svolta, come tanti se ne verificano nella storia nei momenti di crisi e conflitto determinando la supremazia di una parte rispetto ad un'altra. Tanto che si può affermare che nella saggia tranquillità dello sguardo di quel carabiniere c'è la vittoria dello Stato e delle sue regole sull'antistato e sull'insulso anarchismo. Una vittoria che di certo piacerebbe poter festeggiare più spesso anche rispetto ad altri poteri più o meno occulti e nemici della legalità, ma che non per questo va sminuita nella sua portata simbolica nell'affaire TAV e più in generale nel confronto tradizionalmente duro fra stato di diritto e movimenti reazionari ed eversivi.

C'è inoltre, in un momento in cui si discute spesso dei giovani e delle loro difficoltà di inserimento nella società, la vittoria di un modello giovanile su un altro. Perché il venticinquenne carabiniere, a differenza del sedicente "NO TAV" ventottenne imbevuto di falsi miti e di confuse tossine ideologiche, è la "meglio gioventù" di cui abbisogna il nostro Paese per crescere e per difendere la propria dignità davanti al mondo intero, sempre prodigo di cattivi giudizi sul conto dell'Italia.

Sì, perché se il nostro destino dipendesse dai ridicoli istinti rivoluzionari dei tanti bamboccioni alla Marco Bruno, uno che ha avuto addirittura l'ardire di definirsi alla stregua di un novello Peppino Impastato (che non provocava le forze dell'ordine ma sfidava la mafia) in un'intervista concessa a "Servizio Pubblico" di Michele Santoro, vecchio marpione della propaganda che sa sempre tuffarsi come un avvoltoio sui fenomeni da baraccone che fanno comodo al suo progetto editoriale, saremmo già tutti falliti. Come Nazione prima ancora che come sistema politico ed economico.

Bravo Monti, allora, pure in questa occasione. Bravo per aver resistito alle pressioni della stampa più schierata e dei soliti professionisti del politically correct a senso unico; per aver dimostrato che anche rispetto alle questioni di maggiore peso strategico, a prescindere da come la si pensi nel merito, occorrono sobrietà e rigore; per avere da ultimo ribadito in conferenza stampa che lo Stato non può esimersi dall'esercitare il proprio diritto-dovere di difendere ed attuare le decisioni che considera più utili alla comunità nazionale.

Giunti a questo punto, la mancata realizzazione della TAV non farebbe altro che pregiudicare in modo definitivo quella rincorsa all'autorevolezza e all'equità che da qualche settimana stiamo con fatica provando a riconquistare nonostante siano ancora troppi gli apparati della conservazione e della lotta dogmatica al sistema che spesso, colpevolmente blanditi da certa cattiva politica, si mettono di traverso.

Tuttavia è fin troppo facile prevedere, grazie anche allo sguardo di quel giovane carabiniere sardo, che i moderni resistenti e antagonisti andranno incontro alla stessa sorte di isolamento politico e sociale già toccata in passato ai cattivi maestri che li hanno preceduti.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.18) 5 marzo 2012 12:41

    Però, finalmente un pensatore di altra corrente, credevo che qui scrivessero soltanto persone allineate. Non avrai vita facile penso.

  • Di (---.---.---.89) 5 marzo 2012 15:24

    ottimo pezzo, condivido pienamente: nonostante mi sia informato molto, recentemente, sulle ragioni dei no tav, la cui parte più "calma" ha stilato un buon documento apparso qui qualche giorno fa. mi chiedevo: di fronte a motivazioni tanto cogenti, quelle dei no tav tranquilli dico, perchè non si è pensato di richedere un parere definitivo alla Comunità Europea?

    • Di David Incamicia (---.---.---.89) 5 marzo 2012 18:59
      David Incamicia

      A me la TAV continua a non convincere sul piano tecnico-progettuale, e come te ho cercato di documentarmi indipendentemente dalle posizioni in campo. Credo tuttavia che qualsiasi parere europeo non potrebbe che essere favorevole all’esecuzione dei lavori dato che è assai difficile, di questi tempi, trovare finanziatori disposti a perdere il denaro investito. In ogni caso, ribadisco quanto espresso nel post: a questo punto le disquisizioni tecniche assumono minor rilievo rispetto alla centrale questione democratica. Di pareri e di contropareri ne sono stati espressi parecchi e per tutti i gusti, perpetuando solamente una situazione di blocco e di ambiguità. Ora è invece il tempo di far rispettare le decisioni delle autorità, peraltro ampiamente mediate nel corso degli anni pure a livello locale, e di evitare che l’ostilità di una minoranza degeneri al punto da pregiudicare la convivenza civile dell’intera collettività.

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