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Intervista alla poetessa brasiliana Marcia Theophilo

Intervista a Marcia Theophilo.

Cara Marcia da bambina come vivevi la foresta?

Sono cresciuta insieme ad altri bambini, alle variopinte specie degli uccelli. Conosco la foresta fin dall'infanzia, i miei nonni paterni venivano dall'Amazzonia, dove mio padre è nato. Nell'Amazzonia della mia infanzia, i bambini vivevano nei villaggi in piena libertà, giocavano e il gioco stesso insegnava loro a vivere, a procurarsi il frutto degli alberi, ad imitare il suono degli uccelli e degli altri animali, a vivere la pioggia e l'acqua come elemento ludico.

Marcia in che tipo di famiglia sei cresciuta ?
 
La mia era una famiglia numerosa, Mia nonna è nata nella foresta, mio padre è anch'egli un figlio dell'Amazzonia. L'incontro con queste persone straordinarie, così fiere, corrisponde all'inizio della mia ispirazione lirica. La famiglia di mia madre, invece, di origine portoghese, rappresentava per me la città, la scuola, le regole di vita europee.

Parlami della tua nonna paterna?

 
La mia nonna paterna è stata la prima persona che mi ha raccontato i miti, le grandi visioni del fiume, le voci del vento, le metamorfosi della luna, le storie delle sirene e del folletti, mettendomi a contatto con la polifonia delle voci e dei suoni della natura, dove gli animali, gli alberi, i fiori erano personaggi che sapevano comunicare fra di loro e con gli umani. Era una grande matriarca india che raccontava storie, io le ho dedicato questa poesia.
 
Come vivevi la foresta?
 
Come ti dicevo sono cresciuta nella foresta, in piena libertà, in questo periodo, a soli cinque anni ho imparato a scrivere e da allora venni eletta dalla mia famiglia, dal mio clan, la scrivana. Per questo mi veniva portato rispetto e il mio lavoro aveva la debita considerazione. Scrivevo lettere per mia nonna, poesie per le amiche da dedicare a loro fidanzati, racconti da recitare. Ero Márcia la scrivana e da questo precoce inizio la mia vita di poeta si è dipanata.
 
Quali favole e leggende ti hanno raccontato da bambina ?

Arriva Ararí, gli altri formano il cerchio
iraçú è lo sparviero reale: per imitarlo
uno dei bambini indossa ali di penna
"Più ? ho fame" grida iuraçú
stende la gamba uno dei bimbi
e poi l'altra chiedendo:
"tú sena seni? ? è questo che vuoi?"
lo sparviero risponde: "è pela ? no"
fin quando arriva all'ultimo bambino
quasi sempre il minore, che è Ararí
"tú sena seni?". "Sì"
e volano i capelli di Ararí, mentre lei corre
senza mai spezzare la catena, senza cadere mai
lo iuraçú ritorna al proprio posto
e il gioco ricomincia "tú sena seni?"
 
Cosa rappresenta per te la poesia?
La poesia è la mia compagna, la mia seconda pelle, la mia preghiera. Si fonde coi miti e i riti del Brasile, con quella cultura mistico sensuale. Da sempre vado scrivendo questo tipo di versi. Ho pubblicato un piccolo libro di canzoni liriche tradotto da Rafael Alberti che attinge linfa dai rituali afrobrasiliani».
«Nel mio libro «Gli Indios del Brasile» sottolineo che queste popolazioni discendenti da quelle precolombiane con usi e costumi del tutto distinti da quelli della moderna popolazione brasiliana, si ritiene siano giunte in America del Sud migrando, in tempi antichissimi, dall'Oriente. Si tratta di un'ipotesi, contrastata da quanti credono che gli Indios siano popolazioni autoctone. Ma se è valida è una conferma delle intuizioni di Simone Veil e di Artaud. La vitalità della mia poesia penso si debba non solo al contatto che noi abbiamo con la natura e che da voi si va perdendo. Esistono altri fattori più complessi. È vero, nel 1500 quando i portoghesi conquistarono il Brasile, le popolazioni indigene giravano ancora nude mentre in Europa già da secoli si indossavano i vestiti. Non devi dimenticare che la vitalità della mia poesia scaturisce pur sempre dal secolo in cui viviamo. Nel frattempo le cose sono profondamente cambiate. Questa vitalità nasce dal coesistere di due elementi estremamente contrastanti: il primigenio e l'ultramoderno. Nasce da tutto un »humus» antropologico che voi non avete. Da noi i fenomeni sono esasperati. C'è Brasilia, l'ammasso infernale di cemento che è San Paolo, c'è Rio de Janeiro e il suo carattere cosmopolita. Ma, a un kilometro dalle città e dai grattacieli, ecco la giungla, animali in libertà, acque incontaminate, grandi spazi. Abbiamo tutto quello che avete voi, la tecnologia, la società dell'immagine, delle notizie, dei mass media più una cultura primitiva che da voi è scomparsa come è scomparso il verde, relegato in quelle esigue isole protette che sono i parchi nazionali, distanti non un kilometro ma mille kilometri dalle grandi città.
La vitalità della mia poesia nasce dall'enorme contrasto tra città ultramoderne, con sofisticata tecnologia e la giungla, con società arcaico medievali che ancora si possono trovare nelle vicinanze dei mostruosi agglomerati urbani. Da voi anche la natura è programmata e un palazzo è più importante di un albero. La cultura europea si è persa. È disorientata, smarrita, deve ritrovare le sue radici. La vostra cultura è meno viva della nostra perché si nutre di parole. Oggi è in mano non più alla vera poesia e alla vera pittura. È in mano ai giornalisti, ai critici, agli scrittori di saggi. Mangiate troppe notizie e non fate in tempo a digerirle».
«Quando comincio a cantare
nessuno sa quel che segue
cavalli, volpi
metalli
pietre
incantesimi
montagne di sabbia
va a riposare, ne hai bisogno
sognare ti stanca troppo.» (Marcia Theophilo)
 
Con la mia poesia cerco l’origine antica del nome degli animali, degli alberi, dei miti e dei fiumi. Ascolto la mia memoria e fra i suoi meandri ricerco delle parole che abbiano il suono e il significato delle cose dette dai popoli antichi della foresta. Scrivo queste parole e questi suoni e ad essi seguono sogni e sentimenti di estasi, ma anche di terrore.
Cos’è l’Amazzonia per te?
L'Amazzonia è la mia terra. Mia nonna era india e da lei ho imparato i miti e le leggende della foresta e l'identità di un popolo. Questa identità mi è rimasta nel cuore. Sono nata a Fortaleza, nell'Acre, una regione interna dell'Amazzonia, lì mio padre lavorava, lì sono in parte vissuta.

Da grande, per capire meglio la cultura india, sono diventata antropologa. Oggi sono una poetessa antropologa. Le mie poesie cantano quel mondo, quella cultura, lo spirito della foresta, e i suoi cambiamenti negativi, la necessità di salvare quel polmone verde che anima la vita di tutto il mondo, comprese le persone. Noi siamo alberi, perché gli alberi della foresta siamo noi.

Senza quegli alberi, senza il soffio di quella membrana verde, il genere umano si estinguerebbe, Perciò io canto un'anima che si sta dissolvendo, canto rumori vitali, canto la bellezza della natura, canto il sogno di un ritorno a un mondo pulito, senza inquinamento, ma anche senza crudeltà. Disboscare migliaia di chilometri quadrati di foresta è pura crudeltà. Non solo verso la natura, la vegetazione, gli alberi, la fauna, ma soprattutto verso gli stessi uomini. Tutti sanno, tutti sappiamo ormai, che se la foresta amazzonica (che attraversa e interessa ben otto Stati nazionali) scomparisse, scomparirebbe il mondo che si disseccherebbe, e scomparirebbero gli uomini perché non potrebbeo sopravvivere alla mancanza di ossigeno...

Ho imparato che le tribù indie stanno scomparendo, perché piano piano gli uomini da fuori stanno divorando la loro foresta. Ho imparato che nella foresta c'è una lingua autonoma, diversa da quella delle tribù, diversa da tutte le altre lingue. Ho imparato quella lingua e posso sentire come alita l'anima della foresta. Dentro quella foresta c'è il mio cuore che batte, e dentro il mio cuore c'è la foresta che respira. I bambini indios sono lasciati vivere nella foresta. Non hanno paura, perché si sanno adattare. Tutti gli uomini hanno saputo sempre adattarsi alle circostanze ambientali. Così avviene anche nella foresta.

L'Amazzonia è il verde del pianeta, ma non solo: è anche l'acqua del pianeta. Il Rio delle Amazzoni attraversa il subcontinente e raccoglie migliaia di altri rios e li conduce fino al mare. L'Amazzonia è ricca di milioni di specie vegetali e animali.

E l'albero è il suo simbolo. Sul tronco di un albero possiamo trovare i segni di una storia millenaria. Un solo albero è il centro di un microcosmo vivente in cui l'uomo è tutt'uno con gli altri elementi che respirano. Ho imparato la lingua della foresta e non ho fatto altro che tradurla per far conoscere al mondo, agli uomini sensibili i suoi significati, nella speranza che anche gli uomini insensibili e stupidi possano ravvedersi e capire che devono ritirarsi indietro perché quel mondo possa essere salvato, preservato, amato. Si può anche usare , ma in modo intelligente, rispettando l'equilibrio armonico di vegetazione-acqua-uomo.

La poesia è l'unico strumento libero, vero, senza condizionamenti, che può colpire il cuore e la mente degli uomini. Perché tutto può essere business, tranne la poesia. Attraverso la poesia, tutti possono capire che gli alberi siamo noi, e che noi siamo alberi. Ho scritto una poesia proprio su questo.
Ogni presenza è testimone del suo permanere e del suo tramutare e trasformarsi nelle ore e nelle vicende della luce.
Sei stata legata da una profonda amicizia Con il poeta Rafael Alberti che su di te ha scritto questa poesia che trascrivo per i nostri lettori, quali stimoli hai rficevuto da questa amicizia?
Il rapporto con Rafael Alberti nasce dalla mia ammirazione per la sua capacità di unire la pittura e la poesia in una sola arte animando i versi con delle immagini. Al di là di questo amore per la pittura e per la sua poesia, quello che mi ha unito in amicizia con Rafael è stato il suo impegno politico per la libertà. È stata una grande amicizia, devo riconoscere che ha dato un grande impulso al mio lavoro in quanto Rafael era un grande poeta dotato anche di una grande comunicazione nella recita pubblica e lì ho scoperto che anche io potevo sviluppare una comunicazione verso la gente, attraverso la recita, ma soprattutto ho capito che il mio territorio, il pozzo da cui attingere, non era la prateria della cultura europea,ma il mio Brasile e la mia Amazzonia.
De Juan Panadero* a Márcia Theóphilo, poeta del pueblo brasileño y de la Amazonìa
Cuore profondo all'erta,
dura voce di denuncia
in chiaro sorriso aperto.
Bruciata dalla siccità,
vento di selve e di mari,
dolore dell'Amazzonia.
Gli indios sterminati
nelle terre invase
dei boschi saccheggiati.
Con quanti morti alle spalle
quante torture e sangue
delle foreste devastate.
Paradiso terrestre,
dove nessuno moriva,
dove l'indio era immortale.
Che pena lasciar la sua gente,
perduta lungo il cammino,
sotto soli dementi.
Lontana, ardita, insonne,
accecata di luce, assetata
del suo popolo brasiliano.
Di speranza e allegria,
ma tra samba ritmati
tristi di malinconia.
Márcia sola senza il suo mare,
sola senza la sua terra, sola
senza pace dal tanto aspettare.
Ma sempre come compagno,
dal cuore della Spagna,
avrai Juan Panadero.
E con la tua stessa gola,
quanto tu gridi, lui grida,
quando tu canti, lui canta.
*Pseudonimo di Rafael Alberti come poeta civile
 
 
Quando hai cominciato a scrivere e quando hai cominciato a scrivere poesie?
 A soli cinque anni ho imparato a scrivere e da allora venni eletta dalla mia famiglia, dal mio clan, la scrivana. Per questo mi veniva portato rispetto e il mio lavoro aveva la debita considerazione. Scrivevo lettere per mia nonna, poesie per le amiche da dedicare a loro fidanzati, racconti da recitare. Ero Márcia la scrivana. Ho cominciato a scrivere le prime poesie a tredici anni. Erano poesie che imitavano quelle degli scrittori romantici. A quattordici anni ho mandato due haiku ad un giornale che indisse un concorso e lo vinsi. Il premio era un viaggio a Petropolis.
Quali libri ti hanno influenzata di più ?E quali personaggi letterari hai amato?
Nell'adolescenza ho cominciato a leggere i classici portoghesi e brasiliani , per esempio Le "Lettere" di Pero Vaz de Caminha, che sono le cronache dei primi viaggi e dei primi contatti tra indios e portoghesi, José de Anchieta, "Peregrinazione" un libro di viaggi del '600, Eça de Queiroz, Camões, José de Alencar, Gonsalves Dias, Castro Alves. Leggevo anche i classici francesi e russi. Mi piacevano molto Racine, Victor Hugo e Camus, Tolstoj e soprattutto Dostoevskij. Amavo molto anche i poeti latini, come Lucrezio e Ovidio. I personaggi che mi hanno incantato sono molti, leggevo con molta partecipazione, ma forse più di tutti mi hanno incantata Don Chiciotte e il principe Minskin dell'Idiota di Dostoieskij.
Nel rapporto con la natura qual è la differenza tra la cultura occidentale e quella degli indios?
La differenza tra l'idea occidentale della natura e quella nostra è che nella cultura occidentale si parla di un albero come un elemento decorativo del paesaggio, mentre noi lo consideriamo un tutt'uno con la nostra esistenza. Oggi il Brasile è diviso in due: da una parte c'è la borghesia e un paese che sta progredendo, dall'altra parte ci sono i bambini abbandonati, gli alberi, gli animali e tutto quello che appartiene al mondo emotivo che non è inserito nel sistema economico e che il potere ignora. Solo quando il sistema stesso riuscirà a capire che le piante non sono solo un ornamento del paesaggio, ma esseri viventi sacri,e a anche vita e ossigeno, quando capirà che violare l'infanzia è mettere a repentaglio anche il futuro degli adulti, solo allora le cose potranno cambiare.
Quanto sono importanti i nomi nella cultura india?
I nomi che gli indios portano sono nomi di fiori, animali, divinità della foresta. È così che questi popoli usano chiamarsi a rafforzare ancora una volta il loro legame profondo con la natura.
I nomi si caricano di mistero, quanto meno si pronunciano, e i nomi indios non sono diventati comuni come quelli di lingua europea. Essendo meno conosciuti conservano una maggiore carica di mistero.
Marcia che cos’è la foresta?
La Foresta è il complesso degli esseri che la abitano, delle piante che vi crescono e respirano. La Foresta è una lingua, e le parole che la percorrono in lungo e in largo sono gli esseri che la abitano. È un organismo vivente che sta subendo tremende mutilazioni.
Nell’introduzione ai bambini giaguaro emerge un amore per la vita profondo voglio riportare qualche passo della tua prefazione per i nostri lettori
"Questo libro - poema, che vuole ispirarsi ad un misticismo panteista, rappresenta un intero mondo. I suoi versi sono piccole orazioni sostenute da un ritmo incalzante. Attraverso la poesia si vuole far emergere la qualità sacra della vita e di quei valori straordinari che stiamo perdendo. Non è una poesia dedicata solo ai cuccioli dell'uomo, ma anche a tutto ciò che germoglia, a tutto ciò che nasce, come l'acqua che sgorga limpida da una sorgente, un fiore che sboccia. É una poesia dedicata alla parte più tenera e delicata dell'universo, a tutto ciò che è ancora ritenuto inutile allo sviluppo perché nulla ha a che fare con il consumo, e che per questo viene disprezzato, calpestato o semplicemente non considerato".
Cara Marcia sono parole meravigliose e sempre per i nostri lettori voglio riportare quello che ha scritto Mario Luzi nella sua prefazione a questo grande poema
Márcia Theóphilo, brasiliana, di estro e d'arte poetici dirompenti, oltre che di appassionata cultura etnica ed endemica, ha levato un inno e un grido a questo mondo minacciato di estinzione, a questi meninos su cui si accanisce una bieca perversità che giunge fino a una tenebrosa persecuzione.
Il poema, in due parti, della Theóphilo non potrebbe essere presentato meglio di come provvede lei stessa a farlo nel corso dell'introduzione: "Questo libro - poema, che vuole ispirarsi ad un misticismo panteista, rappresenta un intero mondo. I suoi versi sono piccole orazioni sostenute da un ritmo incalzante. Attraverso la poesia si vuole far emergere la qualità sacra della vita e di quei valori straordinari che stiamo perdendo. Non è una poesia dedicata solo ai cuccioli dell'uomo, ma anche a tutto ciò che germoglia, a tutto ciò che nasce, come l'acqua che sgorga limpida da una sorgente, un fiore che sboccia. É una poesia dedicata alla parte più tenera e delicata dell'universo, a tutto ciò che è ancora ritenuto inutile allo sviluppo perché nulla ha a che fare con il consumo, e che per questo viene disprezzato, calpestato o semplicemente non considerato".
Ecco, il lettore trova qui concentrate tutte le motivazioni che hanno promosso il disegno e la poesia dell'opera che si accinge a leggere. La passione antropologica, l'indignazione ambientalistica, la sofferenza per la terra violata, l'amore veemente e dolcissimo per le creature che la rappresentano nella sua innocenza primaria, i meninos appunto, concorrono e si fondono in questa invenzione poetica.
E subito alla prima pagina sarà sorpreso dal fatto di trovarsi non di fronte a un'opera celebrativa o commemorativa o polemica ma dentro un'opera in alto, vissuta e vivente, che è un rito di glorificazione animistica insieme tragico, festoso, orgiastico. È un modo di poetare dal vivo e dall'interno di una comunità condivisa. Esso elimina ogni distinzione tra oggetto e soggetto, si attua nel suo stesso procedere, cioè nel suo stesso dire, assimila il lettore ai protagonisti, in questo caso ai figli del giaguaro che è la personificazione mitica della foresta. É coinvolgente come lo sono le cerimonie con il loro impeto, la loro trionfale cadenza ossessiva.
Questa umanità elementare nei suoi bisogni, complessa nei suoi rapporti simbolici con la vita, integrata con la natura. protetta dalla onnipresente maternità del giaguaro, dopo che è stata cacciata e snidata dal suo inconsapevole ma geloso paradiso, compie la sua rivoluzione con l'esodo verso le città. Qui subirà e restituirà la violenza di un mondo alieno in cui tutto è stravolto. Sentire, e vedere tutto questo dalla parte delle vittime è la prima fiera originalità dell'opera.
La sensibilità e la finezza lirica dei brevi componimenti allineati dei quali è costituita serialmente sono di coralità illimitata. E questo canto onnivoco e totale svetta in acuti che non la rompono ma la sublimano.
É raro che le molte attitudini di una persona impegnata in studi e ricerche, che ha inoltre una ardita battaglia civile da sostenere, si realizzino e si compongano ultimamente in un'opera di poesia; così accesa, così animata come non potrebbe essere senza un'adesione piena, un amore assoluto, ideale e sensuale, al proprio tema.
 
Marcia chi sono i bambini giaguaro?
Nella foresta i bambini giocano ad imitare gli animali. I bambini giaguaro sono una rivoluzione. Ma non sono violenti. Non vanno all’attacco. Se mai usano le cose che hanno imparato, imitando appunto gli animali, quindi anche il giaguaro, per difendersi. È chiaro che io sto parlando in termini poetici. I versi di questo libro sono orazioni sostenute da un ritmo incalzante. Si tratta di un poema che esalta la foresta, la capacità di adattamento degli umani, a cominciare dai bambini, per evitare le conseguenze dell’invadenza distruttrice della presunta civiltà esterna. Ma il poema dice anche che i bambini cominciano l’esodo verso la città, dove si incattiviscono. E denunciano la cattiveria del mondo che li ha sloggiati dalla loro terra
In Amazzonia Madre d’acqua ogni poesia ha il titolo di un fiume,come se ogni aspetto avesse una sua logica,un legame profondo tra tutto quello che esiste nella foresta.
Sì, perché tutto nella foresta è sincretico: un animale crea un rituale, un fiume prende nome da una tribù, così come gli alberi non sopravvivono se scompaiono le api, eccetera. Un fiume può dare nome a una tribù – ho scritto nel libro citato – così come il nome di un rio può derivare da un pesce, da un frutto, un nome di un albero può definire il nome di una persona, di un mito, così come il canto di un uccello o il verso di un animale o il suo nome stesso possono dare nome al fiume. Per questo non si può parlare di una cosa, di una pianta, di un animale o di un indio che vive nella foresta senza tener conto di tutti gli elementi che ne costituiscono insieme l’identità, l’essere.
Cara Marcia nell’augurarti tutto il bene del mondo, perché tu oltre a essere una grande poetessa sei una persona meravigliosa, voglio chiudere questa intervista con una tua poesia che mi ha sempre emozionato, credo che sia il più bell’omaggio alla foresta e alla vita che sia mai stato fatto e ti auguro di vincere il Nobel della letteratura, oltre che per i tuoi meriti per salvare la foresta, la grande foresta con tutti gli esseri che vivono. Grazie Marcia.
 
Kupahuba
Tamburi onde, suoni senza radici,
ebbri giocano gli indios
i legni più odorosi, più pregiati:
cedri, jacarandà, pau-brasil,
balsami ocra, rossastri
grandioso vigore degli antichi tronchi
èbano, claraybas, magarandùba
il più sacro di tutti, l'albero-femmina
delle foreste del Brasile,
rimedio alle ferite.
Possiede, quest'albero, il colore rosso vivo
nel legno sostanza molto dura
foglie di forma ovale; il frutto
è un pane al colmo della luna
che offre un balsamo,
il suo olio scorre nello stesso albero.
Kupa'ùva, Kupahùba, Copaiba
si riaccende in profumi tra i suoi rami.
Albero dello Spirito Santo.
 
3
Sangue di drago, olio di Kupahúba
cuore che batte nei tamburi Kupahúba
il verso nasce contro il vento
la notte si risveglia nella bruma
qua e là compatti sfavillii,
emerge un coro alato tra foglie di rugiada,
Copaiba silvestre, Kupauba, Kupahúba
grandi viali alberati, profumati
solo l'albero femmina Kupahúba, densa
innalza al cielo i suoi lunghi rami
contempla altri dèi; allevia le ferite.
Kupahúba, divinità femminile
sgorga lascivo il suo pregiato olio
ascoltate il lamento, dal suo nucleo
prezioso scorre il liquore,
luminosa stella.
 
Gli animali feriti sfregano il loro corpo
su Kupahúba che n'allevia
il dolore: balsamo color sangue.
Sangue di drago,
tra i preziosi legni della foresta:
pau-brasil, Ibirapitanga, pau-rei, jacarandà,
antichi tronchi robusti, vermigli
balsami jacuybas, capucaias
salsafrazes, tamarindi, cannella
incenso, olio odoroso di Kupahúba
solo nelle immense foreste si trova.
Foglie vive, andirivieni d'insetti
farfalle, scimmie curiose tra i rami.
Vibrano tamburi.
Albero, cuore che batte,
scorrono i suoni ondeggianti.
 
Márcia Theóphilo, 1999
 

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