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Intervista a Jennifer Dubois

Jennifer Dubois ha pubblicato il suo primo libro, "Storia parziale delle cause perse" pubblicato in Italia da Mondadori. L'abbiamo intervistata.

Cara Jennifer, a volte nei libri si nascondono dei segreti (ad esempio Dante Alighieri scrisse la sua “Commedia” con diversi livelli interpretativi: letterale, allegorico, morale, anagogico). A mio parere la sua vera intenzione è l’attacco contro Putin e la sua Russia. Ho ragione? E se “sì”, non ha paura?

La critica della Russia di Putin è una delle principali preoccupazioni del libro, ma non vorrei dire che è l’intenzione “reale” o che desti preoccupazione. Penso che la vera intenzione sia l’esplorazione della domanda di Irina – che cosa si fa quando si sta affrontando una causa persa? – e l’esperienza di Aleksandr come membro dell’opposizione politica della Russia risponde, in parte, a questa domanda. Ma è la stessa situazione politica di molti altri Paesi, e poi quanto racconto della Russia di Putin è già pubblicamente noto. Per quanto riguarda la domanda se ho paura di criticare Putin, credo che sia troppo occupato con altre cose in questo momento da non preoccuparsi certo di un romanzo minore americano.

Veniamo al concetto di “destino”: essere pre-destinato a morire non è qualcosa che caratterizza solo i malati (Irina ha una rara malattia genetica), ma è parte della vita, dal momento che l’obiettivo finale è comune a tutti. Possiamo davvero fare qualcosa per cambiare il nostro destino?

Il destino di Irina è simile a quello di tanti altri, per questo anche lei deve convincersi che può investire nella sua vita. I suoi problemi sono quelli di tutti: forse, nel suo caso, ha solo un po’ meno tempo.

Però sapendo che si sta combattendo una battaglia persa (la malattia mortale, per lei, o la sconfitta elettorale, per lui) come dobbiamo affrontarla?

Credo proprio che entrambi (Irina e Aleksandr) arrivino alla conclusione che si sono valori per i quali vale la pena “provarci”: l’importante è combattere, non importa quale possa essere il risultato.

L’attacco contro Putin mi ricorda molto il famoso “J’ACCUSE” di Emile Zola. Come nel suo caso, anche tu vuoi far sì che il lettore mediti sulle mostruosità che accadono oggi in Russia (Putin non è motivato da ragioni ideologiche, per quanto sbagliate. A lui interessano solo i soldi, si preoccupa solo di se stesso e confida nell’indifferenza, un male pericoloso proprio come l’ideologia)

Spero che la situazione della Russia possa essere vista come il contesto ideale del racconto ed una metafora del tema centrale. Non c’è niente di nuovo, nel libro, che non sia già stato detto sulla situazione politica della Russia. I fatti sono noti anche grazie a giornalisti coraggiosi che hanno rivelato la verità, talvolta anche a costo della loro stesa vita. Per cui non è merito mio l’aver divulgato certe notizie. Certo spero che chi ancora non ne era al corrente, possa – dopo aver letto il mio libro – saperne di più.

Torniamo al “destino”. Quando scrive che noi (sì, quanto dice dei Russi può essere valido per tutti) “siamo diventati una nazione di persone che si accontentano di starsene sedute al calduccio nella loro cucina, almeno finché qualcuno non verrà a portarci via anche la cucina …” in effetti vuoi svegliarci (dandoci un messaggio di ottimismo) oppure vuoi farci capire che non c’è più speranza (quindi un messaggio di pessimismo)?

C’è qualcosa che Aleksandr dice durante un convegno politico, quando cerca di risvegliare i suoi ascoltatori dall’apatia nei confronti della politica. I leader russi hanno sempre cercato di tenere il popolo nella più assoluta ignoranza, confidando che al popolo interessassero solo le questioni economiche. Ma oggi la musica sta cambiando.

C’è una frase meravigliosa nel libro che vale, come suol dirsi, il prezzo del biglietto: “ciò che immaginiamo è ciò che ricordiamo e ciò che ricordiamo è tutto ciò che ci resta”. Siamo alle solite: è un inno all’ottimismo o un decadimento nel pessimismo? Insomma, come si pone nei confronti del suo futuro?

Penso che i personaggi del libro, nella ricerca del significato della vita, tendano ad una terza via, quella del realismo. Sia Irina che Aleksandr non si pongono il problema dell’ottimismo/pessimismo ma sono alla ricerca del “possibile”.

Ci racconti qualcosa di te? Come sei diventata scrittrice e perché hai scelto proprio questo argomento?

Mi sono sempre interessata della politica internazionale e specialmente di quella russa. Quando ho letto la storia di Kasparov (il grande giocatore di scacchi russo, poi diventato dissidente, che ho voluto ricreare nel personaggio di Aleksandr), l’ho immaginato come personaggio ideale. Quanto a Irina, c’è qualcosa di autobiografico: mio padre è morto per l’Alzheimer quando avevo 12 anni. Pertanto sono cresciuta portandomi dentro le stesse domande di Irina. E poi, mentre scrivevo, mi sono accorta che le storie di Aleksandr ed Irina, pur così differenti, andavano nella stessa direzione. I due si facevano le stesse domande: cosa possiamo fare quando il nostro futuro è già deciso? Quali valori hanno davvero importanza?

Giochi a scacchi? Una volta gli scacchi avevano una grande importanza (ricordiamo gli incontri epici tra russi ed americani) ma negli ultimi tempi sembrano essere in declino. Pare proprio che il computer ne abbia decretato la fine. Non sarà che i computer distruggeranno altre attività oggi vitali?

Gioco a scacchi, ma raramente e piuttosto male. Però sono sempre stata affascinata da questo gioco. Non so se davvero il “trionfo” del computer ne abbia decretato la fine. Continuo ad ammirare e stimare i grandi giocatori di scacchi anche se è vero che i programmi dei computer hanno reso meno “romantico” il mondo degli scacchi. E – sono d’accordo – non è la sola cosa ad aver perso il suo romanticismo a causa dei computer!

Dopo questo primo grande successo, continuerai a scrivere! Hai già qualcosa nel cassetto? Ci anticipi qualcosa?

Sto scrivendo un nuovo romanzo e sono quasi a tre quarti del “programma”. È una storia che si basa (anche se molto vagamente) sui fatti di Perugia, quelli legati ad Amanda Knox ed al suo caso giudiziario. Sono affascinata dal modo in cui Amanda sembrava fornire una tabula rasa sulla quale ognuno proiettava qualcosa di diverso. Cerco di studiare cosa spinga le persone ad emettere giudizi drastici ed inequivocabili uno dell’altro e come questi “giudizi” possano condizionarci.

Hai qualche progetto di venire in Italia a presentare il tuo libro?

Non ci sono programmi, al momento, ma in autunno mi trasferirò a vivere a Parigi e se avrò occasione di venire a Milano, te lo farò sapere! Grazie davvero per il tuo interessamento e per la recensione che hai fatto al mio libro.

Ed ecco la mia recensione del libro:

Scacco al re

Ci sono libri che si possono leggere a diversi livelli. Ce l’ha insegnato Dante: la sua Commedia ha quattro gradi di lettura (letterale, allegorico, morale, anagogico). Secondo me, Jennifer Dubois riesce nell’impresa. E ci riesce davvero alla grande. Il libro “sembra” un romanzo come tanti, la storia di una donna americana e di un uomo russo che, per una parte della loro vita, fanno un percorso di vita congiunto (no, non c’è amore, sesso o quant’altro. Si tratta solo di una condivisione di un ideale politico). E quella sarebbe la lettura letterale.

Poi c’è la lettura allegorica: la vita è una malattia mortale! Essere pre-destinati a morire non è qualcosa che caratterizza solo i malati (lei ha una malattia genetica rara), ma fa parte della vita, visto che il fine ultimo è comune a tutti.

Ed eccoci alla lettura morale: come affrontare il destino? Sapendo che comunque dobbiamo combattere una battaglia persa in partenza (che sia la malattia in agguato – nel caso di lei – o la sconfitta alle elezioni – nel caso di lui), quale atteggiamento “moralmente” accettabile possiamo mettere in campo? 

Ma il più importante è il livello anagogico (l’interpretazione anagogica è quella che tenta di andare oltre il senso letterale o immediato del testo). E l’attacco deciso e documentato contro Putin e la sua Russia è, a mio parere, il vero albero motore che fa marciare questo libro. Un atto d’accusa degno del migliore Emile Zola (scritto – quello – in difesa di Dreyfus). Se Zola, con un suo editoriale, scardinò il sistema corrotto della giustizia francese, è sperabile che Jennifer Dubois sappia almeno far meditare sulle mostruosità in atto oggi in Russia, dove “Putin non è motivato da qualcosa di puro come una filosofia sbagliata. È motivato dai soldi, dalla necessità di proteggersi, dall’indifferenza, che può essere pericolosa quanto l’ideologia.”

Mentre noi (eh, sì .. questo vale per tutti, non solo per i russi) “siamo diventati un popolo di gente che si accontenta di starsene seduta al caldo in cucina. E saremo contenti così, finché non ci porteranno via anche le cucine” Un libro che consiglio vivamente a tutti: non vi deluderà. Una frase che vale, da sola, il prezzo del libro: “quello che immaginiamo è quello che ricordiamo, e quello che ricordiamo è tutto quello che ci resta”. Ma quando avrete finito di leggere questo libro, vi resterà qualcosa di più. Garantito.
 

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