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Intervista a Giacomo Faenza: faccia a faccia con lo sfruttamento giovanile.

Oggi vi parlerò di un documentario molto particolare, “Caro Parlamento”, di Giacomo Faenza, un giovane regista precario (e figlio d’arte) che ha voluto raccontare la situazione indicibile e tragica degli innumerevoli giovani disoccupati, sottoccupati e mal pagati, che continuano a vivere in Italia. Bravi e fortunati quelli che sanno l’inglese e hanno deciso di fuggire all’estero (per approfondire: www.caro-parlamento.blogspot.com).

 

Voglio sottolineare che sono stato anche un “volontario del progetto”, cioè uno dei 158 giovani che è andato a testimoniare davanti alle telecamere, raccontando la propria esperienza e le vicende a cui ho assistito, per cercare di trovare un modo moderno e civile per cambiare le cose. Anche se però in fondo alla mia anima rimango dell’idea che solo col vecchio metodo delle manifestazioni di massa e degli scioperi si possa riuscire ad ottenere il giusto riconoscimento economico e sociale.

Tra l’altro, avendo 38 anni ho conosciuto i vari cambiamenti nella contrattualistica lavorativa ed il generale decadimento dell’economia italiana. E l’unica costante durante questi anni è stata l’impareggiabile e continua voglia di fare i “furbi” degli imprenditori italiani che continuano a pensare solo al guadagno a breve termine senza investire nel futuro a medio e lungo termine (infatti l’Italia retrocede in quasi tutte le classifiche economiche). E la mia è una testimonianza che attraversa vari settori: essendo laureato in psicologia ho svolto svariate professioni: Assistente agli studi, addetto stampa e alle P.R., Responsabile Commerciale, Consulente, Formatore e Scrittore, e le cose sono sempre andate molto all’italiana: o conosci qualcuno o non sei nessuno. Quindi ti trattano di conseguenza, senza rispetto per la dignità umana e senza la minima intelligenza economica.

----L’intervista a Giacomo Faenza:

Come è nato il progetto del documentario, a causa delle tue disavventure personali o a causa delle continue testimonianze sulla vita "lavorativa" e "disoccupativa" di amici e conoscenti?

G. F. - Nel 2006, travolto da ore infinite di lavoro (lavoravo come autore e regista a Rai Futura, gestivo da solo ¼ del palinsesto giornaliero...) a fronte di guadagni minimi, ho riletto la Costituzione e ho pensato che era un faro nella tempesta. Repubblica fondata sul lavoro, il lavoratore ha diritto a una paga proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, la Repubblica favorisce il lavoro in ogni sua forma, favorisce la famiglia... parole sacrosante. Quindi ho deciso di fare un documentario che mettesse in contropiede il testo costituzionale al solo scopo di stimolare una seria riflessione tra noi giovani. Penso che i cosidetti “adulti” ci abbiamo consegnato le chiavi di un mondo che per noi cade a pezzi, per loro va ancora benone (magari non gli va a gonfie vele, la crisi tocca anche loro, ma in modo marginale rispetto a noi. Nel senso che loro magari guadagnano meno, noi invece non abbiamo neanche la possibilità di trovare un lavoro anche solo occasionale). Noi giovani (oggi un quarantenne è un giovane...) dobbiamo seriamente svegliarci e cominciare a dire dei no a tutte le formule contrattuali che ci vengono proposte e che violano sistematicamente i principi costituzionali. Ho intervistato gente che lavora da sette anni con contratti giornalieri massimo settimanali per la stessa azienda: se non è lavoro subordinato questo!

Quali reazioni stai riscontrando presso le istituzioni italiane e la stampa?

G. F. -La stampa ha amato molto il mio documentario. Sono usciti articoli lusinghieri su Messaggero Unità e Manifesto, il tg3 nazionale ha addirittura citato il mio lavoro nei titoli di testa in occasione del festival cinema e lavoro di terni. Per quanto riguarda le istituzioni darei un dieci e lode al Presidente Napolitano. Sentite questa: a settembe ho portato il mio documentario al Presidente della Repubblica. Ho lasciato una busta in portineria. Confesso che ero piuttosto perplesso, non credevo che mi avrebbe mai risposto. Invece dopo tre settimane mi arriva una lettera del Presidente Giorgio Napolitano in cui mi si fanno i complimenti per un lavoro che pone il precariato al centro dell’attenzione. A questo punto ho portato il dvd del documentario anche al Presidente della Camera Fini chiedendogli se è possibile fare una proiezione del documentario presso il Parlamento. Sono passate solo due settimane, ma spero che Fini risponderà di sì. Spero che capisca che questa è un’ottima occasione per ridurre le distanze tra giovani e istituzioni. Sarebbe un gesto simbolico forte, costruttivo. Significherebbe ascoltare la voce di chi non ha mai voce. Nessuno ci intervista mai, non siamo una notizia. Quando mai i giornalisti ascoltano le storie di vita quotidiana di noi giovani lavoratori? Loro hanno sempre bisogno della notizia eclatante, meglio se c’è di mezzo il sangue. A chi importa di una madre che non ha il tempo di stare coi suoi figli? O di un ragazzo che lavora in un call center e non può permettersi di mangiare una pizza fuori?

Pensi che giornalisti, politici e imprenditori siano già da molto tempo al corrente dello sfruttamento sistematico del mondo giovanile dal punto di vista consumistico e lavorativo? Non pensi che ognuno di loro sa benissimo di sfruttare i figli dell’altro?

G. F. - Ci sono fasi nella storia di una società democratica in cui quello che pensano gli altri lascia il tempo che trova. Oggi è quello che pensiamo noi giovani che conta. Dobbiamo cambiare completamente, radicalmente modo di porci all’interno della collettività. Ci siamo, abbiamo voglia e capacità, reggeremo il paese presto sulle nostre spalle, abbiamo dei diritti e dei doveri. Ma abbiamo soprattutto dei problemi da risolvere e, ormai è chiaro, nessuno ci ascolterà mai. Siamo noi che dobbiamo prendere la parola e parlare e partecipare a questa società. Dobbiamo imporci, punto e basta. Con i giusti modi, ma imporci. Altrimenti sarà anche colpa nostra se tutto va a rotoli. Dobbiamo svegliarci, per questo alla fine del mio documentario parte una sonora e fastidiosissima sveglia, ci hanno addormentato? Bene, è ora che ci svegliamo e partecipiamo alla società.

Come ti senti dopo essere stato difronte alla testimonianza di tanti giovani che sono stati umiliati da un sistema incivile, volgare e antiproduttivo che sta portando al peggioramento economico e sociale dell’Italia? Non ti viene voglia di fuggire all’estero?

G. F. - La voglia di fuggire all’estero c’è, lo confesso. I meccanismi per lavorare qui sono strani, per quella che è la mia esperienza mi sembra che non è richiesta perizia, né qualità. È molto più importante il modo in cui ti poni. È come se tanto il prodotto finale non contasse nulla, l’importante è relazionarsi bene. Io nella mia ingenuità pensavo che l’importante è sapere fare, poi se tengo all’Inter o alla Fiorentina sono fatti miei. Invece in Italia queste sono cose importanti.

Come ti avevo detto,  puoi inserire una nota introduttiva o finale, a tuo piacimento, soprattutto sulle scelte tecniche ed artistiche.

G. F. - Dal primo istante ho deciso che questo documentario sarebbe stato un lungo viaggio attraverso volti diversi. Compaiono solo persone in primo piano, e vi garantisco che hanno occhi che parlano. Ho fotografato lo sguardo attonito di una generazione fragile, incapace di far valere i propri diritti per il semplice motivo che spesso non sa quali siano questi diritti. Nessuno glielo ha mai detto. No problem, è tutto scritto nella Costituzione.  

Ma ti voglio fare un’ultima domanda, in qualche occasione ti sei sentito un po’ psicologo o assistente sociale?

G. F. - Sì. Premetto che le domande che ho fatto agli intervistati erano spesso molto intime, dure, se non arrivi a fine mese con il tuo stipendio poi ti chiedo come fai, a chi chiedi aiuto, se la cosa ti umilia... insomma non è facile raccontare queste cose davanti a una telecamera. In Veneto una ragazza mi ha spiegato che la sua relazione coniugale è stata praticamente azzerata dai problemi economici, mantenere tre figli con pochissimi soldi comporta un peso psicologico devastante. Insomma questa ragazza si è sfogata, e il giorno dopo (ho fatto due giorni di sessione di interviste in ogni città che ho visitato) la ragazza si è presentata col marito e l’ha obbligato a farsi intervistare da me! Anche lui si è sfogato. Inutile dire che l’efficacia di questo documentario la si deve essenzialmente al fatto che chi si è fatto intervistare ha avuto il coraggio di mettersi a nudo.

Che dire… Io ne ho sentite abbastanza… Se vivessimo nel Sud America, in India, in Cina, In Medio Oriente o anche in qualche paese dell’Est Europa, tutto questo potrebbe considerarsi un momento di passaggio, di momentaneo sfruttamento per arrivare ad uno sviluppo economico più civile… Ma nessun genitore italiano che sfrutta i figli di un altro genitore italiano e nessun politico italiano può ritenersi una persona civile e con la coscienza a posto… Bisognerebbe inventare un girone dell’inferno solo per loro… Ma le responsabilità maggiori le abbiamo noi giovani che fino ad oggi come dei veri smidollati abbiamo accettato servilmente questo ruolo perché nessuno vuole rischiare niente e tutti pensano solo a se stessi senza riuscire ad aggregarsi ad altri giovani. C’è una sola scusante: soprattutto in Italia, la politica è sempre servita ai vecchi per mettere i giovani di “destra” contro quelli di “sinistra” (che così non pensano a lottare con i loro storici “vecchi” nemici anziani). Vecchi che, come nel mondo antico, continuano a sfruttare le idee e i corpi dei giovani per i loro sporchi interessi, come accade ancora oggi in maniera emblematica nelle varie guerre tra le nazioni.

 

 

 

 

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