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Intervista a Getulio Alviani

Alla mostra internazionale Italicus, arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968 -2008, incontriamo l’artista Getulio Alviani, uno degli esponenti principali dell’arte cinetica o op art , vicino ai collettivi del Gurppo T e del Gruppo N, nonché critico d’arte e curatore di mostre. Una mostra nata con una logicità assolutamente diversa...
 
 
 
 
Alla mostra internazionale Italicus, arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008, incontriamo l’artista Getulio Alviani, uno degli esponenti principali dell’arte cinetica o op art , vicino ai collettivi del Gurppo T e del Gruppo N, nonché critico d’arte e curatore di mostre. Francesco Bonami , nella presentazione della mostra Italicus, ha tenuto a precisare che la sua funzione è stata di curatore e non di critico d’arte, 107 artisti, più di 250 opere esposte.

Non crede che in questa mostra ci siano molti artisti contemporanei assenti ?
C’e ne sono anche molti in più.

Tra gli artisti assenti, chi avrebbe ben visto ?
Ad esempio quelli del mio mondo, tutto il Gruppo N e del gruppo T. Enzo Mari, Munari, poi, che era abbastanza arguto è presente con un’opera che non lo rappresenta come dovrebbe .

Secondo lei Italics , può essere la testimonianza storica dell’Arte contemporanea in Italia?
Ma non vuole, lo è come lo può essere una boutique per la moda italiana.

Lei è stata invitato per curare questa mostra ?
No, hanno preso un opera che era in un museo. Mi hanno detto se vuole venire, sono venuto. Venezia è sempre bella.

Ha pensato di rinunciare alla mostra ?
Io quando faccio un oggetto, e lui che deve vivere. Ho avuto il torto nel 1972 di rifiutare la Biennale di Venezia, perché la mia sala compariva accanto a quelle di altri artisti che non stimavo neanche un po’. Ma poi mi sono abituato. In genere più che partecipare a delle collettive le curo. Per lo più faccio delle mostre storiche sull’arte .

La sua ultima mostra ?
 “L’occhio intelligente” , alla Galleria d’Arte moderna di Lubiana, appena finita. Una mostra nata con una logicità assolutamente diversa.

Oggi, nel panorama artistico, sembra che ci sia sempre più voglia di scandalizzare, vede l’opera la Rana verde, di Martin Kippenberger , al Museion di Bolzano , qui con lo scoiattolo ( Bidibidobidiboo, 1996 ) imbalsamato di Maurizio Cattelan .
Ma dove vede lo scandalo, lo scandalo è un’altra cosa. Io do importanza alla nostra Arte, perché la luce è luce, il movimento e movimento, non so, il dinamismo è dinamismo, la struttura è struttura, struttura che senza questa qui, casca tutto.
Questa è la metafora di tutto, la metafora della felicità, la metafora del dolore, quando vedo qualsiasi cosa, un crocefisso, è la metafora di Dio sulla croce, perché in effetti è un pezzo di legno dipinto. Il dolore deve essere dolore vero, non la mistificazione. Forse vorrebbe essere provocatoria per alcune opere che dovrebbero creare scandalo partorite dagli artisti con queste intenzioni, ma in realtà sono l ‘immagine della realtà alla quale ormai siamo abituati. Questo tipo di arte porta tutti sullo stesso piano, non ci sono né opere né artisti eccelsi, a differenza di quanto vedi il Bramante, il Brunelleschi o il Fabbriano, questi si che fanno la differenza.

L’opera che troviamo nell’atrio “All” affronta la tematica della morte , quindi rappresenta a la fine come per dire anche la fine della mostra, si è voluto creare un collegamento ?
No. No questo artista ha riproposto il lavoro fatto da un altro artista tanti anni fa, di cui qui è sposta al fotografia… però mi dicono che non sia lo stesso. Non voglio fare nomi, perché secondo me sono due mistificatori. Questi sono collegamenti del ridere.
 
 
 
 
 

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