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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Intervista a Davide Enia in scena al Teatro Bellini con "L’abisso"

Intervista a Davide Enia in scena al Teatro Bellini con "L’abisso"

Sarà in scena fino a domenica 16 gennaio, al Teatro Bellini di Napoli, lo spettacolo “L’Abisso”, diretto e interpretato da Davide Enia, che affronta la tragedia contemporanea degli sbarchi sulle coste del Mediterraneo. «Il primo sbarco l’ho visto a Lampedusa assieme a mio padre - racconta Enia - Approdarono al molo in tantissimi, ragazzi e bambine, per lo più. Io ero senza parole. Era la Storia quella che ci era accaduta davanti. La Storia che si studia nei libri e che riempie le pellicole dei film e dei documentari». 

Dopo quel primo sbarco, l'artista siciliano ha trascorso molto tempo sull'isola, per raccogliere testimonianze reali, parlare con i pescatori, il personale della Guardia Costiera, i residenti e i medici, i volontari e i sommozzatori, per provare a comprendere fino in fondo e per riuscire a raccontare. Le musiche originali eseguite dal vivo dalla doppia chitarra (acustica ed elettrica) di Giulio Barocchieri completano la straordinaria performance-testimonianza di Davide Enia.

Il libro Appunti per un naufragio, da cui è tratto lo spettacolo, è inizialmente diventato un breve monologo "Scene della frontiera" e poi l'opera teatrale L'abisso, con la quale Enia vince il Premio Ubu 2019 per il “migliore nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica”, il Premio Hystrio Twister come migliore spettacolo dell'anno 2019 e il Premio Le Maschere del Teatro come migliore interprete di monologo 2019.

Per saperne di più abbiamo incontrato Davide Enia prima di una delle repliche al Teatro Bellini.

Benvenuto su Stranieriincampania, ti chiediamo innanzitutto di raccontarci come nasce l’idea dello spettacolo e del libro da cui è tratto? 

Lo spettacolo nasce come secondo movimento dopo la scrittura del romanzo, io evidentemente non avevo ancora esaurito, con la sola scrittura del romanzo, l’eccesso di distanziamento tra me e i fatti che mi avevano trapassato a Lampedusa. Così ho deciso di usare l’altro linguaggio, nel tentativo di misurarmi con lo smisurato, ed è nato “L’abisso” che rappresenta anche il mio ritorno alla scrittura per il teatro dopo undici anni. 

Cosa ti ha spinto a raccontare il dramma dei migranti nel Mediterraneo?
Mi ha spinto il fatto che stava succedendo a casa mia, a Lampedusa, che è parte della mia Sicilia. Volevo provare a capire quello che stava accadendo, volevo andare a vedere di persona e rendermi conto se la narrazione che stava arrivando era affidabile. 

Hai avuto modo di trascorrere molto tempo a Lampedusa e di assistere a numerosi sbarchi, molto hai già raccontato nel libro, ma vogliamo chiederti: qual è la cosa che più ti è rimasta impressa di quando hai assistito al tuo primo sbarco?
Resta impressa la smisuratezza dell’evento. Ho perso il conto di quanti sbarchi ho assistito, sicuramente più di cento, però è vero quello che si diceva sul molo e cioè che il primo sbarco non si scorda mai. Il caso ha voluto che il primo sbarco a cui ho assistito è stato anche il più impegnativo per i numeri e per la giovane età dei protagonisti: erano cinquecentoventitre persone di età media quindici anni, c’erano anche dei neonati e vedevo i ragazzini che svenivano sul molo. In quel momento si percepisce la smisuratezza proprio come quando si capisce che stai osservando la storia accadere davanti ai tuoi occhi. Proprio la storia, quella che cambia i libri e determina il corso degli eventi. Lì ti rendi conto veramente della vastità e della smisuratezza dell’evento e, contemporaneamente, dell’assoluta parzialità del tuo vocabolario nel tentativo di restituirla, di ricostruirla e rendere giustizia a quello che vedi. Certo che la versione che posso dare io è quella di chi sta da questa parte del Mediterraneo e dobbiamo attendere che siano loro a raccontarci gli spostamenti, le storie, le esperienze e le speranze. 

In base alla tua esperienza di scrittura, per il teatro e per la letteratura, come si può raccontare il fenomeno migratorio per superare il muro dell’indifferenza creato dagli stereotipi della narrazione mainstream, fatta principalmente di numeri e non di persone?

Si racconta, innanzitutto, prendendo consapevolezza che quello che sta accadendo è completamente nuovo e necessita di uno sguardo nuovo. Questo significa rimettere in discussione la stessa matrice culturale che ha forgiato il nostro sguardo. E’ quindi necessario essere il più precisi possibile nella scelta delle parole, evitando la spettacolarizzazione dei corpi e degli interpreti, rispettando fino allo stremo i corpi e le emozioni di queste persone. Soprattutto, dando loro degli strumenti che li aiutino a superare il trauma, a prenderne coscienza, a dominarlo e finalmente ascoltare quello che hanno da dire. In breve potremmo dire che la prima cosa che bisogna fare per raccontare la storia nel suo accadere è ascoltare gli attori principali di quello che accade, senza pregiudizi e senza nessun’altra volontà che non sia quella di provare a comprendere qualcosa di cui fondamentalmente non sappiamo niente. 

Nel ringraziare Davide Enia per la sua disponibilità, Stranieriincampania vi dà appuntamento al Teatro Bellini. Qui tutte le info per assistere allo spettacolo. Buona visione!

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