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Inter e Juventus, fioretto e scimitarra

Inter e Juventus, la sfida per il Titolo continua. Chi la spunterà, la squadra elegante e raffinata di Simone Inzaghi o la compagine cinica e pragmatica di Max Allegri?

 

Continua più appassionante che mai il duello a distanza fra le due battistrada del Campionato, Inter e Juventus. Ormai è assodato da tempo che saranno proprio nerazzurri e bianconeri a contendersi il Tricolore di questa stagione, unici team capaci di affrancarsi dall'ordinario per immettersi senza tante esitazioni sul viale alberato che conduce dritti alla dimora ridente e radiosa. Tutte le altre possibili antagoniste sono irrimediabilmente rimaste attardate al crepuscolo delle proprie aspirazioni, offuscate da una coltre consistente di caligine generata da una modestia tale da precludere ogni traguardo che esuli dalle mediocrità. Così nerazzurri e bianconeri verosimilmente rimarranno da soli, senza intrusioni, a sfidarsi sino alla fine per la conquista dello Scudetto. Sono due squadre estremamente differenti fra loro, accomunate soltanto dalla stessa accanita ambizione di tornare ai vertici assoluti del calcio italiano. Il team di S. Inzaghi è di un livello tecnico molto alto, contraddistinto da una qualità sopraffina, in cui l'eleganza e la finezza del gioco la fanno da padrone. È un gruppo che dipinge calcio, che impara l'arte e non la mette da parte, che usa il pennello anziché lo scalpello. Questo lo adopera invece la compagine di M. Allegri, classica squadra operaia di un tempo lontano, tanta quantità e non molta qualità (da far inorridire gli esteti), composta non da un circolo di artisti ma da una congrega di fabbri e carpentieri, muratori e falegnami. Se l'Inter infilza gli avversari col fioretto, la zebra miete vittime con la scimitarra. I primi diffondono sinfonie, i secondi fanno echeggiare il rumore della gravina. Se la squadra lombarda è un'orchestra ben accordata, la Juve è un cantiere edile. Ad oggi, seppur con modalità e mezzi diversissimi, l'esito è praticamente identico, ovvero la testa della graduatoria, il vertice del comando. Potremmo dire, giocando un po' con un vecchio adagio, che non sempre la virtù sta nel mezzo... adoperato per raggiungere un risultato positivo, ma nel raggiungimento dello stesso. Certo, alla lunga la qualità potrebbe prevalere sulla forza (in fondo il calcio è proprio una sorta di arte, o no?), l'artista potrebbe sopravanzare l'operaio. È innegabile, infatti, che a rimanere nella storia sono quasi sempre i team eleganti a scapito di quelli sobri ed essenziali, e l'aggettivo spartano raramente trova dimora nel palazzo reale del pallone. Tuttavia è altrettanto vero che non di rado nel calcio odierno, iperatletico ed ultra dispendioso, nel lungo periodo a raccogliere i frutti più saporiti sono i collettivi più resistenti (fisicamente e mentalmente), più coriacei, quelli, per capirci, che possiedono doti da fondista. E non è per niente raro assistere la “dea qualità” cedere il passo alla sua omologa “quantità”. D'altronde non sempre il filosofo può avere la meglio sul carradore. Non sempre lo stile è da preferire alla praticità.

Mentre Inter e Juve si affannano a lottare per la conquista dell'apogeo, le rivali iniziano già a defilarsi dalle alture. Il Milan di Pioli, dopo un avvio con le sirene accese, vede pian pianino spegnersi i lampeggianti della speranza, ed il team che soltanto pochi mesi prima sgomitava fra le grandi del continente, adesso sembra in procinto di precipitare nel dirupo della propria mediocrità, confidando che non si stia per inaugurare una nuova... mediocre età, di quelle già vissute negli anni Dieci di questo secolo... Il Napoli Campione in carica, dal canto suo, nel volgere di pochi mesi è stato risucchiato dalle temute sabbie mobili dell'euforia post Scudetto, che sovente inghiottono coloro che hanno scarsa dimestichezza con la gloria inaspettata. Lo squadrone vorace ed inarrestabile dello scorso torneo è già un lontano ricordo che si smarrisce tra i meandri oscuri della memoria. Nemmeno l'avvicendamento tra Garcia e Mazzarri sembra aver dato le migliorie auspicate, e l'impressione, tutt'altro che vaga, è che la giostra dei sogni proibiti si sia completamente arrestata. La classifica è definitivamente compromessa e per tornare a volare su lidi proibiti si dovrà aspettare la stagione ventura. Per la serie “Sarà per la prossima volta”. Sicuramente, alla luce di cotanta inversione di marcia, lo avranno compreso anche i sassi che squadra che vince non si cambia. Lasciar andare il trainer L. Spalletti e la roccia coreana Kim Min Jae, ovvero i fulcri del miracolo napoletano, è stata una decisione assai avventata e controproducente, che poco si sposa con un patron lungimirante come quello partenopeo. Una scelta che si è già rivelata in tutta la sua scelleratezza, quasi una cortesia compiuta nei confronti della concorrenza, che sentitamente ringrazia porgendo i più distinti ossequi con tanto d'inchino. Fra le compagini che stanno beneficiando di tanta solerzia verso il prossimo, oltre a quelle già citate, c'è sicuramente il Bologna di Thiago Motta, che si appresta a rimpiazzare l'Atalanta di Gasperini alla voce “rivelazione assoluta” del campionato. La compagine di J. Saputo pare proprio possedere le credenziali adeguate per oltrepassare la dogana della consuetudine ed addentrarsi adagio nel dipartimento dei prodigi insperati, coi tifosi emiliani che iniziano ad avere le prime visioni utopistiche che rimandano ad epoche lontane, quelle dei vari Schiavio, Puricelli, Haller, Bulgarelli e Pascutti...

 

 

 

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