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 Home page > Tribuna Libera > Inidoneo? No, umano. La scuola dei tagli

Inidoneo? No, umano. La scuola dei tagli

A volte vorresti chiudere gli occhi e pensare che tutto ciò che scorrerà nella tua mente, sarà solo figlio di una società senza padre e senza madre, figlio di un tempo disumano destinato a rimaner tale solo in quell'incubo violento che ha scosso ogni sentimento, ogni emozione che mi spinge a credere di essere umano. Eppure la realtà che vivo a volte è peggiore di ogni perfida immaginazione. 

Racconterò una storia, una storia maledettamente vera e reale, una storia che la società italiana deve conoscere. 

Franca, questo è il suo nome, il suo cognome è anonimo (così come è anonimo tal caso per la maggior parte del popolo di questo non più bel Paese) ogni mattina, prima di recarsi al lavoro, si guarda allo specchio. Quello specchio che ha odiato, odiato da quando la malattia ha devastato il suo corpo, da quando la malattia ha turbato il suo normale vivere, da quando la malattia l'ha resa, senza che lei si fosse mai arresa, più umana di ogni essere umano.

Ora vive e convive con la malattia, ora vive e convive con quello specchio che ha imparato ad osservare. Franca ora sorride a quello specchio che ha maledetto con lacrime e sogni spezzati da un perché senza perché.
 
Lavora a scuola. Una scuola pubblica statale nella prima periferia di Bologna.
Bologna oggi è più bella del solito. Le colline sono sempre lì a racchiudere e circondare la città, i portici ed i colori vivi, rendono Bologna una città di altri tempi. Tempi chiusi in quel pugno che mai ha smesso di elevarsi verso il cielo ove ogni sogno è possibile. Tempi chiusi nell'attimo fuggente e fuggitivo di un momento senza più tempo.
 
Minuto dopo minuto, dal silenzio surreale, al caos metropolitano. Campagna e metropoli unite dalla burocrazia di questa epoca a volte opaca a volte tristemente buia.
 
Franca quando arriva a scuola, come sempre, attende l'arrivo dei suoi bambini, li osserva mentre entrano, tra chi corre e chi proprio in classe non vuole entrare.
Uno sguardo di incoraggiamento ed anche il bambino più intimorito dalla scuola, ora entra in quella classe ove conoscerà la cultura e la sapienza.
Franca vorrebbe essere in quella classe. Quello è stato il suo lavoro per una vita. Una vita amata ed odiata, fino all'annuncio, in quella sera di autunno, che mai dimenticherà.
 
La malattia. La terra cede. Il cielo cede. Nuvole e terra, una fusione senza alcuna armonia, nella delusione di una mancata comprensione. Perché? Perché io? Quante volte Franca ripeterà "perché"? E perché dopo perché, ecco che la burocrazia interviene.
 
Un pezzo di carta, una visita medica, ed ancora un pezzo di carta, inidonea in via permanente alle sue funzioni, ma idonea ad altri compiti.
Franca non potrà più insegnare. No. Però, potrà rimanere a scuola. Esiste un piccolo ma importante pezzo di carta, figlia di una concertazione salvabile, una delle poche, che ha permesso a Franca, di sperare in una vita su cui poter contare, di continuare a vivere la sua scuola, di contribuire alla sua scuola, di ascoltare ogni giorno le urla selvagge dei bambini e le lamentele delle bidelle che devono pulire cento volte i bagni.
 
Un pezzo di carta che attua e rispetta principi normati anche nella democrazia esistente, in quella Costituzione, che oggi, patisce più che mai, ogni tipo di aggressione e lesione. La dignità sociale, la dignità dell'uomo e della donna, la dignità del lavoratore e della lavoratrice per anni ha trovato, in qualche modo, affermazione. 
 
Franca lavorava nella biblioteca della scuola. Una scuola senza biblioteca, sarebbe come un corpo senza il suo cuore. E Franca curava quella biblioteca come quel bambino che non ha mai avuto, a causa della malattia. Conosceva ogni libro, ogni pagina di quei libri sono stati, nel corso del tempo, sfogliati o sfiorati da una moltitudine di bambini, che si rivolgevano a Franca per chiedere un consiglio, un suggerimento. Un tempo destinato ad essere tempo scaduto.
Scaduto per questa epoca. Scaduto in questa epoca.
 
Un giorno, dei governanti, decisero, che era il momento di tagliare. Lo Stato aveva un debito, contratto dalla malapolitca e da sperperi di cattivissima gestione della cosa pubblica. Numeri e bilanci. Non persone. No. Numeri e bilanci. Ed ecco che si colpiscono i così detti inidonei. Devono fare un passaggio obbligato ad altro profilo. Una norma di legge, figlia di quell'ignoranza di uno Stato che è stato, figlia della non conoscenza del settore scolastico, figlia di ogni strada che ripudia la sensibilità umana, decide che i primi da colpire sono i più deboli della società. 
 
La maggior parte saranno donne. Donne e con gravi problemi di salute. Per anni hanno svolto un ruolo determinante per il buon funzionamento della scuola pubblica. Ed ora, con un colpo di penna, giunto nell'estate del 2011, e seguito da altri colpi di penna, nel freddo inverno del 2012, si decide che devono cambiar profilo, che non potranno più svolgere le funzioni di bibliotecario/a, di essere soggetti attivi nella organizzazione di laboratori; non potranno più realizzare supporti didattici ed educativi; non potranno più essere di supporto nell'utilizzo degli audiovisivi e delle nuove tecnologie informatiche; o non potranno più partecipare alle attività relative al funzionamento degli organi collegiali, dei servizi amministrativi e ogni altra attività deliberata nell'ambito del progetto d'istituto. In poche parole colpiscono servizi essenziali per il buon funzionamento della Scuola Pubblica. Per ottenere cosa? Quale risparmio? 
Nessuno.
 
Perché colpire queste persone, serve al sistema, per rodare il licenziamento che verrà anche in quella che per una vita è stata reputata l'isola felice, la scuola. Nessuno da questo preciso momento potrà sentirsi immune. Se riusciranno a licenziare queste persone, riusciranno a licenziare tutti quelli che rientreranno nella loro politica fredda di numeri e bilanci.

Ma queste persone si sono opposte. E Franca anche. Lottano. Presidi e convegni, pugni sbattuti sul tavolo della burocrazia e urla megafonate a quel sistema che non ha orecchie per ascoltare, ma solo voce per ricordare che la crisi è crisi. Una crisi vera o finta che sia, che prima di ogni cosa, si abbatte in modo violento, sulle persone meno tutelate e protette in tal società disumana.
Ma Franca resiste. Ora guarda quello specchio. Non piange e non sorride.
Franca è consapevole che se non effettuerà quel passaggio, rischierà di essere collocata in disponibilità e forse licenziata. Ma Franca resiste.
 
Resiste per una scuola che non può vivere senza biblioteche, resiste per la difesa di quel principio costituzionale che ha salvaguardato la dignità di molte persone per anni, ed ora, per una crisi sistemica figlia delle peggior speculazioni, solo i più deboli devono pagare.
 
Non chiamatemi inidonea, io sono Franca, sono umana, e voi, voi che vi scagliate contro di noi, voi che attaccate il cuore della Scuola pubblica, voi, come dovrei definirvi? Come? Non avete nome, non avete cognome, siete anonimi burocrati senza cuore, ma io ho una dignità, che nessuna norma, pur legale per il vostro sistema, ma illegale nel mio sistema ove regna quella sovranità popolare calpestata dal danaro, ora vostro dio, ieri vostro dio, domani vostro eterno inferno, potrà mai relegare in qualche angolo buio di questa società.
 
Questo pensava Franca quando ascoltava il suono della campanella.
Forse l'ultimo, forse no. Questa è storia del nostro tempo. Se Franca potrà continuare ad ascoltare il suono della campanella, ciò dipenderà molto anche da noi, non possiamo e non dobbiamo lasciar sole queste persone. Sono 4.000 e forse anche più, ma anche se fosse solo una persona cambierebbe poco. Aprite gli occhi, ascoltate queste parole. Indignatevi. Ribelliamoci.
 
Questa è una storia che nessuno vi racconterà.
Eppure è la triste realtà .

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.88) 5 maggio 2012 14:24

    casi come quelli descritti sono nella scuola da anni, in biblioteca, talvolta come supporto, ma più spesso in ufficio, magari all’ufficio scolastico regionale... però... in un certo senso sono trasparenti anche per i colleghi: c’è anche chi dice, beh, se non è in grado di insegnare tanto vale che vada in biblioteca, come se la biblioteca fosse, per così dire, lo sgabuzzino delle scope. Che lo stato tagli in questo contesto, spostando e riutilizzando il personale come più gli piace, non stupefà affatto, data la logica imperante. Che non ci sia solidarietà da parte dei colleghi e dei dirigenti forse è più sorprendente: ma la scuola non è un mondo coeso, magari, per qualche problema impellente, si fa anche gruppo ma è un’esperienza momentanea, fino al risultato, e poi ci si ferma lì. L’unica cosa che può creare "solidarietà" è il pensiero che potrebbe toccare anche a te, ma spesso si preferisce non pensarci.

    Scusa il cinismo...

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