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India, la lunga marcia trasforma Rahul

Ora che s’appresta ad affrontare l’ultimo tratto dei 3.500 chilometri d’un cammino attraverso il Paese-continente, inizialmente oggetto di scherno non solo fra gli avversari politici, Rahul Gandhi viene visto con altri occhi.

Non solo quelli della gente che ha incrociato, giorno dopo giorno, per strade pure polverose, persone d’ogni età e ceto sociale, molti dei quali umili. Ma l’occhio clinico degli stessi commentatori politici lo considera maturo. Qualche scettico sostiene sia un’operazione mediatica, mirata e confezionata. Però una buona valutazione della sua scelta, e probabile metamorfosi, la offre anche qualche decano dell’analisi politica interna. Camminare è un gesto semplice per l’individuo normodotato, camminare a lungo ogni giorno, diventa meno frequente e scontato. Gandhi junior lo sta praticando da tre mesi fra gli indiani, e a chi lo saluta, scambia opinioni, sorrisi e pure selfie, si aggiungono gruppi che gli si affiancano da settimane. L’apprezzamento ricevuto dagli analisti va oltre l’iniziativa che è un bagno di folla propagandistico. C’è chi ci legge una maturazione a leader. Solo per aver incrociato gli sguardi dei cittadini da pari a pari, sudando e soffrendo il freddo? Un po’ sì. Rahul – spiegano osservatori interni – mostra nuove intenzioni, non quelle del politico che s’apre alle masse con un comizio, un incontro pubblico. Per la sua passeggiata in terra indiana anche quella scomoda - a breve giungerà in quota nella regione del Kashmir - viene utilizzato il termine yatra, cioè pellegrinaggio. Gli si attribuisce una trasformazione filosofica, quasi spirituale. E se c’è chi deride un forzato paragone col Mahatma, da cui riprende per ragioni familiari solo il nome essendo figlio di Rajiv e nipote di Indira ch’era a sua volta figlia di Nehru, la nuova fase che gli si prospetta non è più quella d’essere il rampollo d’un clan che con bisnonno, nonna e padre ha caratterizzato un lungo tratto della storia indiana, accreditandolo come politico per status acquisito. Un politico ma non leader, si diceva fino a ieri. Dopo questo passaggio, e non certo per imprese camminatorie, il futuro si apre. L’ha accennato lui stesso rispondendo ad alcune domande in un improvvisato incontro coi cronisti “Chi vuole contrastare l’egemonia del Bharatiya Janata Party (Bjp) si sta svegliando” ha dichiarato. E spiega in quale modo. Rispetto all’uso esasperato della religione hindu, sempre più marchiata dall’ideologia dell’hindutva che manipola la fede soggiogandola a un’interpretazione faziosa, razzista, esclusivista verso i non-hindu, Gandhi riscopre l’appartenenza nazionale, non quella nazionalista, la fede interreligiosa, non il credo fondamentalista. E’ una linea che affascina, tanti incontrandolo e parlando con lui hanno aderito ai propositi. Alle elezioni del 2024 il Partito del Congresso, da anni ai margini ai vertici della Federazione e in molti Stati, potrebbe ritrovare credibilità. Chissà se Modi e i suoi arancioni riterranno ancora fruttuoso il richiamo al messaggio del bastone che prevale nelle adunate dei propri fan picchiatori.

Enrico Campofreda

 

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