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Incompatibilità: un piccolo golpe della casta salva due poltrone (e due stipendi)

Un gruppetto di senatori più o meno sovrapponibile alla vecchia maggioranza berlusconiana ha votato ieri in Giunta delle elezioni contro l’incompatibilità per due senatori con la carica di sindaco, che pure rivestono.

Incompatibilità sancita da una legge votata dallo stesso parlamento di cui fanno parte e recentemente ribadita dalla Corte Costituzionale, organo supremo quando c’è da decidere dell’interpretazione di una legge, operazione peraltro riservata all’ordinamento giudiziario.

Un atto grave perché si traduce in un abuso di potere e in un atto eversivo che aprirebbe un conflitto istituzionale profondo, se non fossimo da tempo alla commedia. Un atto eversivo per di più consumato per difendere doppie poltrone nella Capitale e ad Afragola e Molfetta, non certo qualche altissimo principio o per difendere qualche senatore da un sopruso. Due senatori che tra l’altro erano perfettamente a conoscenza dell’incompatibilità e han deciso di fregarsene fino a che qualcuno non li costringa a lasciare almeno una delle due poltrone.

Il trionfo della politica trash sulla sacralità delle istituzioni e delle leggi, consumato senza vergogna. I senatori di PD e IDV hanno lasciato la Giunta per protesta, ma c’è da credere che anche un episodio di tale gravità finirà per suscitare poco più che qualche roboante presa di posizione.

I senatori della Giunta non possono certo innovare il diritto o sostituirsi alla Corte Costituzionale, essendo esponenti del ramo legislativo potrebbero però cambiare la legge, ma per farlo dovrebbero portare in aula una proposta di legge che abolisca l’incompatibilità tra le due cariche. Una responsabilità che non vogliono prendersi, anche perché si tratta di un provvedimento che ufficialmente non gode di alcun supporto.

Fuor di ufficialità invece i due sindaci-senatori hanno dalla loro un certo sostegno e i loro supporter sono abbastanza determinati da non farsi scrupoli nel ricorrere a una schifezza del genere, che non serve a cambiare la legge, ma a far passare il tempo tra ricorsi e conflitti d’attribuzione in modo che gli amici “incompatibili” possano comunque giungere alla fine dei loro mandati. Perché questa decisione vale per i due casi in oggetto, non certo come precedente per il senato a venire.

Un piccolo golpe, utile a ravvivare la retorica sulla casta e a mostrare che, al riparo della facciata del governo Monti, il parlamento è ancora saldamente nel controllo di una manica d’indegni.

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