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Inception, fra illusione e realtà

“Dobbiamo dubitare della nostra esistenza corporea e di tutta la realtà esterna, poiché potrebbero essere il risultato di un’illusione analoga a quelle che subiamo nei sogni: chi, infatti, ci assicura che la nostra vita non è un sogno continuo?” - Cartesio.
 
Il concetto è apparentemente ordinario e, se vogliamo, quasi ricorrente nel cinema americano: un astuto ladro tenta il suo ultimo colpo per raggiungere una vita serena e tranquilla “fuori dal giro” dell’illecito.
 
Ciò che non è per niente ordinario è il tipo di colpi messi a segno da Dom Cobb (Leonardo di Caprio), che ruba i segreti delle sue prede direttamente dalle zone più recondite dell’inconscio, insinuandosi nei loro sogni. La ricompensa del suo ultimo lavoro sarà del tutto diversa da quelle precedenti: la libertà di poter tornare negli Stati Uniti (dai quali è dovuto scappare per essere stato accusato dell’omicidio della moglie) e riabbracciare i suoi figli. Come diversa è la procedura richiestagli dall’industriale giapponese Saito.
 
Non più furti ed estrazione di segreti o idee, ma il loro innesto (Inception) nella mente del manager di una compagnia rivale. Alla stregua di un virus, innestando in quest’ultimo l’idea di disgregare l’impero paterno, l’idea finirà con l’impossessarsi del suo “ospite” fino a controllarlo completamente.
 
Per fare ciò Cobb mette su una vera e propria squadra di specialisti, incluso un giovane architetto che dovrà progettare il mondo del sogno nel quale si muoveranno. Per un fine eccezionale c’è bisogno anche di un mezzo all’altezza, quindi Cobb escogita l’unico modo per innestare un’idea nella mente umana: agire su un “sogno al cubo”, tre strati onirici attraverso i quali si avrà accesso all’inconscio del signor Fischer senza che quest’ultimo se ne accorga.
 
Solo dopo dodici anni di lavoro sullo script di Inception, finalmente Nolan riesce a concludere questa difficoltosa gestazione, riducendo al minimo (per quanto possibile) gli effetti speciali e ricostruendo senza l’ausilio del computer una spettacolare sequenza in assenza di gravità.
 
Anche se a tratti l’atmosfera sconfina in uno stile, già fin troppo abusato, alla Matrix o alla Ocean’s Eleven, la creatura di Nolan è a dir poco mozzafiato, e non solo per la grandezza delle riprese e delle sequenze sceniche utilizzate. Uno dei più grandi pregi di questo film è quello di essere pienamente integrato nella filmografia (e nei temi in essa dominanti) del regista londinese.
 
Dal gioco di scatole cinesi di Memento (con cui condivide anche il tema del ricordo e della memoria) alle atmosfere del Cavaliere Oscuro, senza dimenticare un finale alla The Prestige, che lasciano quella piacevole sensazione d’innovativo ma allo stesso tempo familiare che un regista concede al suo pubblico più fedele.
 
Non a caso Nolan, da ex studioso di letteratura, sceglie il tema del sogno come perno della sua sceneggiatura, simbolo del conflitto fra realtà e finzione (e qui ancora The Prestige) che da Cartesio a Freud ha occupato un ruolo centrale nella cultura filosofica europea, senza contare una lunga e complessa tradizione letteraria (il cui esempio più grandioso è senza dubbio “La vita è sogno” di Calderon de la Barca). Un tema molto sentito, dunque, già consacrato sul grande schermo da film come The Truman Show e The Matrix, capolavoro dei fratelli Wachowski.
 
Data la complessità della trama la sceneggiatura è senza dubbio ottima, anche se a tratti i dialoghi non sono all’altezza della situazione. Ottimi gli attori, su tutti Di Caprio che ripete l’eccellente interpretazione di Shutter Island (fra i personaggi di Teddy Daniels e Dom Cobb si nota più di qualche punto di contatto), dimostrandosi sempre più interprete infinitamente malleabile e versatile.
 
In definitiva, Christopher Nolan mette magistralmente in scena il mondo dei sogni, straordinaria metafora del cinema, un luogo non fittizio o estraneo alla realtà, ma a questa parallelo, se non complementare, un piano di “pura creazione” dove l’architetto è il regista e l’unico limite la sua fantasia.

Commenti all'articolo

  • Di Gian Carlo Zanon (---.---.---.100) 3 ottobre 2010 14:10
    Gian Carlo Zanon

    Bell’articolo, che cita tra l’altro La vida es sueno di Calderon.
    Bellissima la citazione di Cartesio, manca solo quella di Spinoza anch’egli molto devoto al credo dell’inconsistenza dell’essere umano in quanto finito.
    Spinoza "la grande mente" credeva, come tutti i credenti, che la vita non è altro che un teatro mundis, nel quale gli esseri umani non sono altro che attori, ai quali un divino regista ha affidato una parte, il destino, da lui già creata all’inizio dell’universo nominando le cose: "prima fu il verbo".

    Ma come diceva Sigismondo nell’opera di Calderon "se la vita è sogno sognamola". magari senza incubi cristiani che vorrebbero derealizzare l’essere umano, togliendoli il corpo sede del peccato.

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