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Inarrivabile capacità letteraria e di interpretazione del mondo: Gadda e Pessoa

Nel bizzarro inizio di luglio di una estate strana, incerta e piovosa, in quel di Nuoro, a leggere libri e libri come al solito durante le vacanze, e a imbattermi - ringrazio il cielo che mi concede sempre, al riguardo, questa possibilità - in autori e scritti straordinari. Cosa fare con maggior godimento dello spirito, d’altro canto, in questa età buia che ce la mette tutta per reprimere il poco entusiasmo che ancora è possibile respirare intorno a noi, in questa temperie mutata che continua a cambiare ben oltre ogni immaginazione, ben oltre la più fosca delle previsioni?

In questi primi giorni di rilassamento vacanziero, dunque, alle prese – letture poco estive, dirà qualcuno - con Il libro dell’inquietudine di Pessoa e con gli Accoppiamenti giudiziosi di Carlo Emilio Gadda.

Il primo dei due è il ritratto intimo, minuzioso e sincero di un poeta cui era particolarmente congeniale un certo pessimismo, una sorta di "zibaldone" di riflessioni diaristiche per giunta rimasto incompiuto. Il libro dell’inquietudine sfugge, in qualche modo, e non senza contraddizione rispetto al titolo stesso dell’opera, a una definizione stessa di libro che dia per scontata la circostanza che quest’ultimo solitamente consiste in una espressione letteraria contenutisticamente compiuta e/o unitaria narrativamente e sotto il profilo degli argomenti trattati.

A dispetto di ciò, tuttavia, Il libro dell’inquietudine si muove in maniera piuttosto originale e lucida tra riflessioni filosofiche e immagini profondamente poetiche, scorci di finissima autoanalisi e suggestioni introspettive che delineano una psicologia e valgono a far emergere in modo preciso, armonico e continuo, una esemplare figura di intellettuale che come pochi altri si colloca in atteggiamento problematico di fronte a una realtà angosciante, inemendabile, sempre uguale a se stessa. Le diverse edizioni del libro iniziano a susseguirsi a partire dall’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, passati cinquant’anni dalla morte del poeta. Cito dalla edizione pubblicata recentemente nel nostro Paese da Newton Compton, curata da Orietta Abbati:

“Più la nostra vita va avanti, più ci convinciamo di due verità che tuttavia si contraddicono. La prima è che, di fronte alla realtà della vita, tutte le finzioni della letteratura e dell’arte impallidiscono. Certamente danno un piacere più nobile di quello della vita; però sono come i sogni, in cui proviamo sentimenti che nella vita non si hanno, e si coniugano forme che nella vita non si trovano; tuttavia sono i sogni, dai quali ci si sveglia, che non costituiscono ricordi o nostalgie, con cui possiamo vivere, poi, una seconda vita. La seconda è, dato che ogni anima nobile desidera percorrere la vita interamente, sperimentare ogni cosa, fare esperienza di ogni luogo e di ogni sentimento vissuto, e poiché questo è impossibile, la vita può essere vissuta completamente solo in modo soggettivo e, solo negandola, può essere vissuta nella sua totale sostanza.” 

Sublime capacità espressiva e per certi versi di conforto, dati i tempi che corrono, queste finzioni letteraria e artistica viste da Pessoa come "sogno" che fornisce all’uomo la possibilità di vivere una vita alternativa e più consona alla propria natura, che in qualche modo rendono più accettabili le asperità della realtà in cui esso si trova inserito. Un "surrogato" esistenziale siffatto, aggiunge il poeta portoghese, è prerogativa del singolo individuo: ogni "anima nobile" può vivere la vita in modo completo sotto il profilo della sperimentazione di luoghi e di sentimenti vissuti e nella sua totale sostanza, ma per far ciò egli deve negarla, la vita reale, metterla continuamente in discussione e "sostituirla", se e quando occorre, con qualcosa di meno doloroso e di più piacevole da sperimentare: il sogno, appunto, o, se si vuole, l’arte e la letteratura.

Di matrice assolutamente romantica, a ben vedere il passo proposto, letto ai nostri giorni e calato in una realtà come quella che sperimentiamo quotidianamente, si presta ad essere interpretato come un inno da dedicare al disimpegno politico e sociale e, contemporaneamente, come un invito a sperimentare la vita interiore, quella della riflessione intimistica che il poeta, l’umanista, più semplicemente l’uomo sensibile, esercitano anche attraverso la frequentazione assidua delle arti e delle lettere. 

Carlo Emilio Gadda (1893 – 1973) riunì nel 1963 i diciannove racconti che compongono la raccolta Accoppiamenti giudiziosi. La narrativa gaddiana è fortemente innovativa, rispetto a quella dei suoi contemporanei. Essa si presenta irta di periodi che non di rado appaiono di ampio respiro oltre che zeppi di termini e di modi di dire della parlata dialettale milanese e di parole che fanno parte di un glossario che con tranquillità potremmo definire "tecnico", dato che contiene una miriade di termini di cui l’autore, avendo compiuto studi di ingegneria, aveva larga padronanza. Su un piano strettamente formale la scrittura di Gadda ha fatto di quest’autore un autentico caposcuola. Gadda, narratore coltissimo (numerosi, nei suoi scritti, i richiami alla cultura classica), seppe ben descrivere le vicende quotidiane, gli umori, la complessiva inadeguatezza di quel ceto medio borghese all’interno dei quali era nato e cresciuto.

In Papà e Mamma, uno dei racconti di Accoppiamenti giudiziosi , Gadda riesce con facilità a deliziare il lettore lasciandosi spesso andare a descrizioni di tipi umani che hanno il seguente tenore:

“Nel giovanetto Velaschi si palesò un’affezione precoce per le trovate migliori della meccanica e dipoi un cotale studio tutto lo prese. Egli congegnava piccole utilità e suonerie da sé solo, e dava riparo ai guasti di certi arnesi o serrature, o dell’orologio vecchio di casa, quando vi si rientrava dopo mesi e, costernati, èrane spento il solenne tic-tac. La bicicletta, la motocicletta e poi l’auto furono la grammatica, la retorica e la filosofia nel di cui soccorso gli venne addestrato l’ingegno; e preparato a sostener l’arrembaggio de’ più orrendi marosi. […] Le motociclette vecchie, strapazzate e giù di moda suscitavano in lui quella stessa dolcezza, con inavvertito tranghiottir di saliva, che nel pervicace e paziente amatore desterebbe un Petrarca del Manuzio o del Giolito scoperto di colpo fra un allineamento di Nick-Carter, sullo zoccolo d’una chiesa dimenticata, dato che una scoperta simile, oggi, fosse ancora pensabile.”

Opere desuete, quelle di Pessoa e di Gadda, prive di utilità e al di fuori di ogni trend o moda? Opere, entrambe, per le quali ha senso l’attribuzione di un valore soltanto in relazione alle coordinate estetico-culturali-filosofiche dell’epoca in cui furono scritte? Niente affatto. Si tratta piuttosto di opere che mantengono ancora oggi intatto il proprio valore intrinseco e che al di là del contesto storico sociale culturale in cui furono composte costituiscono una testimonianza del genio letterario, poetico e filosofico dei rispettivi autori e un fondamentale punto di riferimento per la più recente generazione di letterati. Ciò sia sotto il profilo tematiche trattate, che nel frammento di Pessoa preso ad esempio hanno valore universale, sia per quanto riguarda le modalità che un autore adotta per esprimere il proprio messaggio, le quali a monte presuppongono - il caso di Gadda appare perfettamente esemplificativo, sotto questo aspetto - la faticosa ricerca di uno "stile" personale e il raggiungimento di una mirabile capacità sintattica e di utilizzo di un originalissimo lessico. 

Oggi, rispetto a ieri, l’estetica letteraria e le modalità di comunicazione e di scrittura degli autori sono molto mutate. Numerosi nuovi scrittori di grande talento si impegnano spesso sui temi che più angustiano l’uomo d’oggi: i processi di globalizzazione irreversibili e il mutamento spesso in negativo dei costumi, il deteriorarsi dei valori morali all’interno delle odierne società, le angosce esistenziali, la grande difficoltà dell’essere umano a vivere in un mondo dove sono la violenza e il conflitto, il denaro, la sete di potere, la mancanza di misericordia e il razzismo a farla da padroni.

Agli scrittori di nuova leva vada, quindi, tutta l’attenzione degli amanti della letteratura. Siano però, gli autori del passato più recente e quelli classici, ancora letti e riconosciuti per la loro inesauribile e insostituibile funzione di guida. Lo siano anche per avere fornito, nel corso dei secoli, esempi di capacità letteraria e di interpretazione del mondo spesso inarrivabili.  

Foto: Roberto Faccenda/Flickr

 

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