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(In)ter(per)culturando speciale: la rappresentazione teatrale ’Servi’ di Marco Rovelli

Clandestino, clam-des-tinus. Ciò che sta nascosto al giorno, e odia la luce. Chi sta nell’ombra. […]
Tu, clandestino, sei un delinquente. La tua invisibilità, la tua condizione d’inesistenza, prodotta dal diritto, da oggi il diritto la punisce. Che meraviglioso gioco di prestigio. E che meraviglioso servo sei tu, clandestino. Ci servi, ci serviamo di te, e non lo diciamo.
(Servi di Marco Rovelli, Feltrinelli)
 
Sabato 6 marzo, presso il Teatro della Cooperativa a Milano (link tra le fonti – n.d.r.) ore 20,45 – 21.00 ho assistito allo spettacolo ‘Servi’ tratto dall’omonimo libro di Marco Rovelli (dati tecnici dello spettacoli in fondo, scheda dello spettacolo e link al libro tra le fonti – n.d.r.).
Lo spettacolo resterà a Milano fino al 14 marzo. Le prossime date teatrali sono il 9 aprile a Cinisello Balsamo e (meno certa) il 23 aprile a Massa.
 
Il tempo a volte è tutto, altre niente.
Ho assistito allo spettacolo, letto il libro, assorbito intenti e sensi.
E’ tempo, io credo, di vedere, sentire, leggere. Di queste servitù tutt’altro che segrete e rare.
 
Di Marco Rovelli si potrebbe scrivere molto.
Classe 1969, ‘insegna, suona e scrive’ recita la breve biografia nella quarta di copertina del libro. Per chi on line segue portali e spazi web di cultura, letteratura, impegno sociale, Marco Rovelli è noto come redattore di Nazione Indiana. Poi c’è la musica (l’ultimo cd, ‘libertAria’, un progetto musicale rintracciabile nel web da MySpace, link tra le fonti – n.d.r., acquistabile anche assieme al libro ‘L’inappartenenza’, Transeuropa, 2009). Poi le altre pubblicazioni (altre, rispetto a quelle già citate), i reportage apparsi su ‘Nuovi Argomenti’, ‘L’Unità’ e ‘Il Manifesto’.
Per non ridurre tutto a poche righe inutili, rimando a wikipedia e ai numerosi riferimenti di Rovelli on line (link tra le fonti – n.d.r.).
 
In questa trattazione l’intento non è soltanto esporre un’(in)appartenenza sociale quanto letteraria, artistica e umana. Non soltanto.
Il punto è ascoltare. E tentare di capire quel ’qualcosa’ che Marco Rovelli ha da dire in (attraverso) questo spettacolo teatrale ed evidentemente prima ancora nella pubblicazione Feltrinelli.
Il punto è scegliere di dedicare novanta minuti circa a un (in)trattenimento che dalle prime note, parole, gesti, trattiene verso ‘quel’ paese (uno di quei paesi, a voler essere onesti) che ogni giorno si tenta di zittire, ignorare, dimenticare, cancellare, non-sapere. Il paese sommerso dei clandestini al lavoro.
 
Ma il tempo, come accennavo all’inizio, è tutto e niente. Nella fattispecie il tempo per assistere a questo spettacolo, per ora, non è molto.
Vorrei dunque scrivere di quei motivi che mi sembrano importanti, per i quali vale la pena di assistere allo spettacolo (e di poterlo mettere in scena in giro per questo paese che è anche il nostro – nostro per residenza, cittadinanza, affezioni o meri cordoni di nascita); ma anche per i quali vale la pena di riflettere, commentare, leggere il libro e virare angolazioni.
 
E magari scoprire, che è tempo di avere paura non soltanto degli ’altri’ (in ogni possibile declinazione) quanto di noi, delle dinamiche che regolano le nostre ’tranquille’ e ’ordinarie’ vite in Italia, tra norme lavorative bianche e nere, accordi baciati da soli e lune differenti, mutevoli.
E magari scoprire, che il lavoro non è solo lavoro. Può diventare galleggiamento faticoso, respirazione a fior d’acqua, sopravvivenza (che però non è ’vivere sopra gli altri’ come vorrebbe l’etimologia del termine).
E Magari. Recuperare parti di quelle sensibilità anestetizzate (per comodo, intossicazione mediatica, assuefazione, incapacità, politiche e psicologie) smettendo di disprezzare ’ciò che sta nascosto’, di sputare su delinquenze presunte prima ancora di aver fissato occhi, guardato mani, sentito carni e cuori che battono (e battono per tutti allo stesso modo).
 
 
Immediatezza.
Di ‘resoconti di condizioni sociali’, ‘reportage’ o sensi affini, inchieste, denunce individuali o collettive, approfondimenti mediatici, interviste a questo o quel ‘caso umano’ ormai se ne trovano ovunque. Libri compresi. Non che possa considerarsi sostitutivo di una trattazione saggistica o di altro scavo documentaristico o meno; non sostitutivo ma immediato sì.
Una delle forze di questo spettacolo è proprio la capacità di arrivare, colpire, in quei novanta minuti (ma anche molto prima), senza richiedere alcuno sforzo aggiuntivo se non quello di porsi domande, di stare con ’la mente accesa’.
 
Storie.
Rovelli racconta storie. Lo precisa lui stesso a un certo punto. Storie di vite incrociate spostandosi tra nord e sud, di realtà sfiorate, sentite attraverso labbra e occhi altrui quanto toccate (senza alcun senso letterale nell’uso del termine). Storie a cui non interessano i colpi di scena per convincere all’acquisto men che meno gli effetti speciali in 3D che impongono sale cinematografiche attrezzate o televisori con tecnologie costosissime. Storie che non hanno bisogno di cercare la fantasia (di Rovelli o di chi le segue) perché è già tutto lì, tra voci, dinamiche, azioni-reazioni, burocrazie (in)certe, respiri. E chiedono una cosa sola: di essere ‘ascoltate’. Solo questo in fondo.
 
Non ci sono banchetti per le firme tra petizioni e iniziative varie. Non ci sono discorsi – verso – tessere precise, i nomi e i cognomi sono quelli dei protagonisti, di chi ha vissuto quelle storie e ne porta (se è fortunato) ancora oggi le tracce sulla pelle. 
 
Evidentemente la politica c’è, in questo narrare. C’è perché è da lì che si diramano molti dei tentacoli materiali, pratici, esecutivi. C’è, ma non si impone. Rovelli non spreca una goccia di sudore a sostenere questo o quel colore, piuttosto è sulle condizioni, su quanto accade, sulle realtà di piccoli gesti, quotidianità che rimbalzano tra normalità appese a testa in giù e non-normalità bisbigliate, che si insinuano. Le colpe, se in fondo lì si vuole arrivare, hanno tanti nomi, tanti volti, firme, e responsabilità (comprese le mie, viene da pensare uscendo dal teatro, e anche questo è una delle forze dello spettacolo, la capacità di stimolare riflessioni senza imporre logiche preconfezionate).
 
Si potrebbe obbiettare che come ogni narrazione, queste storie vengono proposte in modo parziale. Evidentemente è così. Perché non esiste una ’sola’ storia. Perché chiunque l’ha vissuta ne ha conservato memorie precise pregne di soggettività, deformazioni. Restano i fatti però. I fatti più o meno riscontrabili anche attraverso medialità varie (nazionali o locali). Restano i resoconti di verbali, sentenze. Restano le voci. Di una parzialità nuda, esposta.
 
 
Miscelazioni.
Del c.d. ‘teatro sociale’ si è detto e scritto molto. In Italia forse mai abbastanza tra pieghe e aderenze concrete. Eppure l’impressione (magari vaga, comunque fastidiosa) che ci sia noia tra le sedie e il palco; che ci sia lentezza tra dialoghi o monologhi; che si possa perfino arrivare all’insofferenza per le durate: tutte queste impressioni nello spettacolo ‘Servi’ si frantumano con le miscelazioni.
Miscelazioni di contenuti quanto di modalità rappresentative e forme artistiche.
Rovelli entra ed esce, vira, muta nei toni e nelle espressioni, dialoga (in)direttamente col pubblico quanto con Mohamed Ba, recita, canta, suona, sposta sedie e impila mattoni pronti alla caduta. E con lui gli altri interpreti, lo stesso Mohamed Ba si impone, gradualmente ma con grande impatto nonché i musicisti (Vecoli al violoncello e Giromini a tastiere e fisarmonica, una fisarmonica che spesso si limita a ’respirare’ e fa venire la pelle d’oca).
Le miscelazioni non sono mai prevedibili. Portano a continui cambiamenti nei registri narrativi quanto in quelli musicali, interpretativi e di presenza scenica (che è poi contatto umano, senza troppi fronzoli).
Attraverso le miscelazioni, senza fretta, abilmente, arrivano con estrema facilità sensi, tentativi di approfondimenti e scavi.
 
[segue]
 
 
 
DATI TECNICI
SERVI
Di Marco Rovelli e Renato Sarti
Con Marco Rovelli, Mohamed Ba
Musiche in scena di Marco Rovelli (chitarra e voce), Lara Vecoli (violoncello) e Davide Giromini (tastiere e fisarmonica)
Regia Renato Sarti
 
 
L’anteprima dello spettacolo, su AgoraVox.
 
 
Link
Il sito del Teatro della Cooperativa.
Scheda dello spettacolo ‘Servi’ dal sito del Teatro della Cooperativa.
‘Servi – Il paese sommerso dei clandestini al lavoro’, Feltrinelli serie Bianca, prima edizione settembre 2009, seconda edizione marzo 2010: su Ibs, su LaFeltrinelli.it, su Bol.
Marco Rovelli: su wikipedia, il sito, il blog, su MySpace, su Nazione Indiana.
Lettera al mio aggressore di Mohamed Ba, su Nazione Indiana.

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