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(In)ter(per)culturando: piccole, grandi storie di ieri e oggi, senza confini

Annotazioni, brevi, tese ad alcuni noccioli, di storie piccole e grandi (per lunghezza, dimensioni dell’oggetto-libro quanto capacità di rimanere impresse nelle memorie) di ieri e oggi.
Senza alcun intento di scatenare classifiche men che meno paragoni o collegamenti.
Sono storie. Diverse. Lontane. Scritte in tempi, modi e da persone differenti per nazionalità, età e vissuti.
Sono storie. Tanto basta. Qui.
Con alcune keyword a unirle tenendole distinte: dimensioni, affezioni, transiti, scavi, virate, errare, amore.
 
Frames (Berlino Palermo Tel Aviv) di Graziano Cernoia, Historica, Collana ’Cahier di viaggio’, marzo 2010.
 
A quanto dolore si volta lo sguardo, per non impazzire.
Il dolore degli altri mi ha reso arido e pieno di paura, senza nemmeno poterlo capire, per giunta in preda a egoismi e morbosità.
(pag.17)

Piccolo, quasi uno di quei bloc notes che si tengono tra le tasche di giacche e jeans, da sfilacciare, sfaldare consumandone le pagine.
Veloce e immediato, di un’immediatezza che destabilizza. Nel linguaggio quanto negli stacchi, che sono frames vicini e lontani, luoghi diversi, distinti ma sottilmente collegati da un errare mai sazio, affamato quanto svogliato, eccitante e sonnolento, in costante ricerca di ’aria’ e ’cose vere’ dove il ’vero’ è qualcosa di tangibile, non costruito o preimpostato. Ma questo ’vero’ sfugge, l’autore non se lo nega in un continuo valzer di salti tra frames e corpi.
C’è molta carne tra parole, luoghi e movimenti.
Percezioni che sono frammenti carnali arrivati per andarsene, lasciando follie nella mente, pruriti o peggio, solitudini e vuoti (vuoti che poi in un qualche modo si colmano da soli, nell’errare psichedelico, insaziabile, destabilizzante quanto tenero per ciò che porta, lascia, e prende).
E’ lo scorcio di un vivere fatto di lunghe distanze. E pochi ma preziosi respiri. Dove i piaceri si alternano ai doveri, agli sfinimenti declinati, insoddisfazioni, vuoti, paure. Dove le affezioni sono faticose ma intense e resta una profonda consapevolezza di quanto sia complicato, dolce e distruttivo, essere, stare, volere, prendere ma poi anche ceder(si)e, fuggire, andare, e continuamente, inesorabilmente, cercare avendone anche paura.
Tutto ha un prezzo, in termini pratici quanto emozionali.
E Cernoia fa in modo che il lettore non lo dimentichi.

Annotazioni a margine sull’oggetto-libro: quarantacinque pagine, grafica che facilita la lettura e curata nei dettagli, qualche euro appena (tre e cinquanta, esattamente) per un oggetto-libro per nulla scontato, fruibile, portabile, da cui poter leggere anche solo una pagina a caso, un frame, un paragrafo e ugualmente avvertire qualcosa (almeno, a me è successo), quasi un post-it ambulante da cui rintracciare frasi, sensi e umori all’occorrenza.

Finché la casa bruciata non verrà ricostruita, essa stessa rimarrà perno di discordia.
Molte sono le energie da impiegare, e le contingenze, per riportare lo scorrere del tempo fuori da sofferenze e privazioni.
Perché nessun fantasma tornerà a perdonarci.
I fantasmi siamo noi.
(pag.12)
 
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Love Story di Erich Segal, Garzanti, terza edizione 3 febbraio 1971.
 
Faceva molto freddo, il che in un certo senso era un bene perché ero intontito e avevo bisogno di sentire qualcosa. Mio padre parlarva e io stavo lì fermo a lasciare che il vento gelido mi schiaffeggiasse.
<Non appeno ho saputo, sono saltato in macchina.>
Avevo dimenticato il cappotto e il freddo incominciava a farmi soffrire. Bene. Bene.
(pag.134)
 
Nel 2010 di storie che amalgamano amori forti, miserie, parenti (presunti)serpenti, malattie mortali, finali attesi e strazianti ce ne sono ovunque, basta ruotare il collo tra librerie, edicole, noleggi dvd..
Eppure.
In ’Love story’ resta ugualmente un ’qualcosa’ che attorciglia.
Perfino a leggerlo per la prima volta nel 2010, io credo.
Non è una realtà italiana, e già questo è merito e demerito per un lettore italiano. Merito perchè lo proietta in una realtà-bolla dove è quasi tutto possibile, quanto meno in quei grossi nodi di chiunque (recidere legami di sangue insopportabili, costruire un nuovo legame fuori dai recinti religiosi, ottenere l’appoggio di poche ma importanti persone vicine, vivere per un po’in miseria per poi finire dalle stelle alle stalle terminati gli studi, un amore che supera la difficile prova delle privazioni economiche per alzarsi in volo in tutt’altra situazione di agio e prosperità, perfino una malattia mortale - all’inizio - sembra affrontabile evitando di nominarla, come se ci si aspettasse continuamente che nella pagina successiva ci fosse la soluzione magica...)
I demeriti invece, dipendono dalla soggettività del lettore. Da italiana, nel 2010, ma poi anche la prima volta che lo lessi quindici anni fa circa, pensai che comunque era una ’storia-americana’ ovvero: non vicina a realtà che anch’io posso o potevo vivere, una sorta di mondo parellelo, soprattutto (e questo fortemente e tristemente ancora o forse sempre di più, oggi, nel 2010) per le virate nelle condizioni economiche, di studio e lavorative che in Italia non sono neanche più catalogabili tra le ’favole’.
Eppure.
La semplicità nelle strutture, di trama e lingua, (semplicità probabilmente agevolata dalla minore assuefazione dei primi anni settanta nei confronti di storie con gli ingredienti di cui sopra)la rende talmente immediata, schietta e cruda che farsela scivolare addosso senza provare alcunché è probabilmente più faticoso che cedere (in entrambi i sensi, cedere seguendo sentimenti ma anche il contrario, rifiutandoli o ridendone, criticandoli).
Nella semplicità nuda sta anche l’accesso immediato ad aliti di tenerezze passeggere ma non superficiali (nessuna reazione al dialogo che si conclude con la decisione di chiamare il presunto figlio ’Bozo’?):
 
E’ comico, ma mentre rideva così io ebbi la visione di un marmocchio in pannolino del peso di centoventi chili che mi rincorreva in Central Park urlando: < Sìì più gentile con mia madre, Preppie!> Cristo, per fortuna Jenny avrebbe impedito a Bozo di distruggermi.
(pag.108)
 
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Lettera di una sconosciuta’ di Stefan Zweig, Adelphi, terza edizione Gennaio 2010 (prima edizione italiana: settembre 2009, prima pubblicazione internazionale: 1922).
 
‘Lettera di una sconosciuta’ è un libro ‘piccolo’, ottantatre pagine del noto formato ‘piccola biblioteca Adelphi’, caratteri di media grandezza, si legge agevolmente.
E’ un racconto lungo, epistolare fatta eccezione per le prime e ultime pagine, che necessità di una breve contestualizzazione.
 
Stefan Zweig (Vienna, 1881, Petropolis, 1942), laureatosi in filosofia a Vienna nel 1904, ha scritto novelle e biografie che lo hanno reso attorno al 1933, uno degli autori più tradotti di quegli anni al punto che i nazisti bruciarono le sue opere e nel 1940, assieme alla moglie, si rifugiò in Brasile dove si suicidò due anno dopo. Viaggiò molto, in Europa, arrivando ad amarne i diversi luoghi visitati, respirati, non si è mai considerato ‘viennese’ piuttosto ‘europeo’per appartenenza naturale. Fu proprio l’avvento nazista che lo convinse a lasciare l’Europa che sentiva e vedeva prossima alla distruzione.
Dunque, non soltanto un uomo colto, stimato nonché autore di numerose opere differenti e diffuse in tutt’Europa, ma anche persona estremamente sensibile, dalle affezioni fonde e mai celate.
 
Da qui è possibile leggere ‘Lettera di una sconosciuta’ evitando di lasciarsi ingoiare dai cliché che oggi, nel 2010, si legano con estrema facilità e abusivismo alle storie d’amore, specie a quelle estreme, durature, dove sacrifici, rinunce, dedizione sono ingredienti primari dai sapori quasi incerti, per chi oggi legge e ci si scontra.
[il resto, nella prossima pubblicazione delle rubrica, interamente dedicata a questo libro - n.d.r.]
 
 
 
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Immagine: foto scattata da Bg, marzo 2010, Milano.

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