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(In)ter(per)culturando: Les nouveaux anarchistes (atti intollerabili di disperazione a Bologna)

Les nouveaux anarchistes è un patchwork fatto di pezze diverse, cucite assieme con sbavature ed evidenti imperfezioni, tra colori che sembrano sputati all’improvviso, tessuti incrostati, sporchi e lesi.
 
Piero Pieri racconta di tante piccole storie comuni, in una Bologna che tenta di sorridere per necessità d'apparenza ma resta un posto inospitale, che quasi gongola ad assorbire il dolore di chi ci transita, ed è un assorbimento lento, come attraverso una lunga cannuccia sottile.
 
Le storie ruotano tutte dentro e attorno l’evergreen universitario, quasi un mondo parallelo saldamente ancorato a leggi apparentemente autonome, tra matricole piene di sogni e fatiche, ricercatrici disposte a tutto, lolite non televisive ma abili utilizzatrici di corpi e illusioni, ma anche professori, materie umanistiche impolverate, corsi che fluttuano in una sorta di sospensione congelata, autori che appaiono e scompaiono come fantasmi bloccati in un non luogo e un non tempo ('Il fanciullino' di Pascoli su tutti).
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Elena non perse tempo. Le due allieve continuarono a piangere alle poesie misteriose di Simonetti, ma più sommessamente, dopo che Elena tolse loro la possibilità di vincere il posto da ricercatore. Quel che Elena non poteva prevedere era la riconversione del poeta del dolore del mondo in poeta della felicità costante, tanti erano gli appuntamenti che Simonetti le chiedeva ogni volta che la moglie partiva per Genova – associata di Storia del teatro alla Facoltà di lettere, la moglie stava via tre giorni la settimana. Non che Elena, da serva del sistema qual è, non fosse riconoscente a Simonetti d’averla fatta entrare nel mondo marcio e dorato dell’accademia. Anzi, si diede da fare. Dopotutto a lei i vecchi piacevano, e propri in quanto vecchi.
(pag.21)
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Ma anche vite precarie, in perenne bilico tra un nulla e un altro. Vite giovani per lo più, ma non solo. Trame dove la disillusione s’incastra con un sottile filo di crudeltà. Non c’è speranza, non c’è possibilità di immaginare un futuro, uno qualunque, non c’è nulla che possa presagire un qualche possibile futuro per questi personaggi che ruotano, incastrano, sfaldano e spariscono. Esattamente come l’Anarchia ha tanti volti, e tante voci che ne rimescolano significati contemporanei a confondersi con gli echi del passato, d’un passato che tra le pagine a tratti sussurra, ma non chiede particolare ascolto perché è d’un oggi preciso, che Pieri vuole raccontare. Un oggi verosimile, tra le pieghe di contesti noti all'autore, docente di Letteratura italiana contemporanea presso il Dams di Bologna, noti ma – come da lui stesso dichiarato – uguali e diversi a molte realtà che trasformandosi in trame si deformano, sono altro dal vissuto eppure d’un certo vissuto trattengono umori e sapori.
 
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[…] I medicinali che prendo sono i miei più grandi nemici e, credo, anzi sono sicura, che molti dei miei problemi dipendano da essi…
 
Un abbraccio.
Aurora
 
Carla esce dalla camera coi polsi sanguinanti. S’è tagliata le vene. «Aiutatemi! Sto morendo» grida. È la seconda volta, questa settimana.
Elena la guarda spazientita: «Un suicidio. Che novità.»
Renzo sbuffa combattuto fra l’alzarsi dai libri o il disinteressarsi della cosa. Quasi parla da solo: «Ho detto che domani ritorno in Dipartimento… sarebbe la prima volta dopo la… Ho telefonato al mio prof e dice che per me tira una brutta aria. E da come lo dice anche lui sembra far parte della brutta aria… » Comunque si alza e prende Carla per una spalla: «Forza Ofelia, andiamo in cucina a mettere i polsi sotto l’acqua…»
 
(pag.146)
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Di questo libro si è già scritto e detto molto, uscito a fine 2010 per Transeuropa, non sono mancate recensioni web quanto su quotidiani nazionali come La Repubblica e Il Resto del Carlino. Di certo costituisce una novità, nel panorama italiano, non tanto per l’approccio o le tematiche, quanto per il coraggio di raccontare evitando linearità, virando continuamente tra modalità narrative, punti di vista, contesti e spunti. È decisamente un patchwork, un assemblaggio volutamente sbavato che non manca di scatenare perplessità, riflessioni, vicinanze e lontananze rispetto a piccole storie di studenti e insegnanti che vivono chiusi in micro mondi sordi e ciechi, in una città altrettanto priva di sensi e percezioni e che ne priva chiunque tenta di restarci, chiunque prova a spostarsi dall’immutabilità d’un climax che non vuole mitigare spigoli e affondi, tra morti che camminano, pensieri statici, impossibilità a raggiungere desideri, sogni, aspettative.
 
Semplicemente è un romanzo che dalla disperazione di piccoli atti spesso scollegati e asincroni ferma inquadrature che non hanno frame successivi. Pieri non risponde, propone affreschi che possono scatenare domande, nel lettore, quanto lasciare la stessa patina unta, faticosa e dolorosa che resta tra le pagine. Non c’è aspettativa d’una potenziale o possibile risoluzione per qualcuno. Nessuno si aspetta di uscire dal profondo dolore per un aborto spontaneo inaspettato, quanto dalla fatica per una malattia rara e incontrollabile, men che meno per la solitudine che non ha voce a venti come a trent’anni, circondando schiere di manichini e strappando corde vocali a chi cerca bolle d’aria.
 
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La sensazione sgradevole arriva puntuale tutte le sere, e dopo le nove esce di casa alla ricerca di un amico, un piano-bar per bere un cuba libre. Paolo farebbe qualsiasi cosa pur di non restare a casa dopo le nove, ma non sempre ha voglia d’inventarsi la serata andando a scocciare il migliore amico, e il piano-bar alla fine stanca pure, locali pieni di ragazze coi tacchi alti e ragazzi ustionati dalle lampade. L’oblio decadente è sempre a portata di mano, a Bologna
Da una settimana Aurora s’è sistemata nella sua camera, esce la mattina per le lezioni, torna il pomeriggio tardi e ha la tipica eccitazione della matricola ingenua che s’è iscritta all’università per imparare cose nuove e non per fare esperienze di vita, come la pensano quasi tutti gli studenti del Dams. Aurora si sente normale, una ragazza normale, e studiare le piace proprio.
Di sera esce solo due volte la settimana per seguire un corso della Ladis, organizzazione e gestione di eventi culturali. La mattina dopo col suo quaderno degli appunti va a lezione. Che il professore sia simpatico o antipatico non importa, purché faccia bene il suo lavoro e non allunghi il brodo. Per Aurora i peggiori sono gli ex sessantottini, che ancora non hanno perso la baldanza del fatto storico […]

(pag.40)

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Le pezze sono indigeste per dna, Pieri le assembla senza alcuna pretesa di modificarne aspetto, consistenze o contenuti. Le espone, questo sì, tra le cuciture restano spazi che il lettore può riempire o lasciare così come sono, spazi tra realtà contraddittorie e intollerabili.
 
Pieri contestualizza intenti e urgenze, avvalendosi di scritture diverse, tra stralci di blog, dialoghi seminati, appunti, registrazioni, mail e inquadrature semplici coinvolgendo un narratore esterno che s’avvicina alla singola scena con imparzialità.
 
La fine è un’apparente chiusura, il tentativo di restituire comunque un’identità unitaria alle pezze riunite da un narratore-personaggio dal nome inequivocabile – Capriccio – in tre quaderni, come fosse una ricerca, una ricerca qualunque a celare la scarnificazione d’un mondo dove nessuno si salva perché non c’è più niente da salvare. 
“… nell’augurarmi che la vittoria dell’Anarchia sia dietro l’angolo, vi mando i miei saluti rivoluzionari”
 
Per ulteriori approfondimenti suggerisco la rassegna stampa rintracciabile dalla scheda del libro, in particolare dal web:
- Stefania Segatori su Scrittori Precari
- Francesca Fiorletta su Nazione Indiana
 
 

Link
 
La scheda del libro dal sito della casa editrice.

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