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Il tranello dell’antipolitica: quello che la politica non dice

La vittoria elettorale del Movimento 5 Stelle pone in risalto il fallimento della politica tradizionale, che si difende da critiche e perdita di consensi a macchia d’olio dando la colpa all’antipolitica…

L’ascesa di un movimento popolare senza alcuna base ideologica, se non quella del buon senso, ha scosso in maniera significativa i palazzi del potere al punto di far dire al Presidente Napolitano che non c’è stato alcun boom di Grillo.

Con buona pace dell’udito di Re Giorgio, al quale recapiteremo un apparecchio acustico, a nulla sono valsi i continui richiami dei rappresentanti istituzionali sui rischi derivanti dal rispondere agli appelli del pifferaio magico.

Appelli evidentemente rimasti inascoltati perché provenienti da coloro ai quali il popolo non è più disposto a riconoscere autorità: Napolitano, Bersani, Casini, Alfano sono protagonisti di un dibattito politico che vede la casta arroccata a difesa delle proprie posizioni, di senso diametralmente opposto a quelle sostenute dagli esponenti della società civile e, proprio per questo motivo, usciti con le ossa rotte dalla tornata amministrativa.

E’ ovvio che una simile distanza di comunicabilità dovesse riflettersi in un rifiuto del sistema partitico tradizionale: un vero colpo di spugna sui Berlusconi, i Fini, il già citato Casini che va sullo schermo con l’arroganza di chi non riconosce nel proprio operato il fallimento del “Terzo Polo”.

E’ probabilmente questo il significato da ascrivere all’espressione “antipolitica”: il ribaltamento delle autorità riconosciute, la sovversione alle imposizioni dall’alto, il gesto minimo di ribellione verso coloro i quali non conoscono il vero significato delle parole crisi e sacrificio, di cui tanto si riempiono la bocca.

L’antipolitica è una sorta di antidoto all’anestetico che per troppi anni ha costretto l’italiano medio al voto di favore. Sembrerebbe che il vento stia lentamente cambiando: non credo al sud, dove le clientele che regalano posti di lavoro al centro commerciale o al call center riscuoteranno ancora un successo notevole, ma la tornata di elezioni amministrative ha registrato la crisi netta del berlusconismo e di tutti i partiti tradizionali in genere, complici di sostenere le politiche di un governo poco legittimo per essere legittimato dall’operato di un parlamento di benestanti.

L’antipolitica è anche la volontà popolare, che è sempre libera di scegliere chi meglio ritenga in grado di tradurre in proposte le istanze. E’ una politica pragmatica, non sterilmente boccaccesca come molti hanno voluto far credere: è una politica che propone il concreto, e lo fa in abiti umili. Non guarda dall’alto chi guadagna cinquecento euro mensili come quel “gentiluomo” di Stracquadanio, ma cerca strade percorribili affinché domani chiunque possa disporre del reddito di sussistenza.

L’antipolitica è quella che considera “spread” una traduzione del verbo “spalmare”, che mal si coniuga in senso figurato a debiti ed ingaggi ed invece va stupendamente a braccetto con la Nutella. Perché l’antipolitica si preoccupa del pane, non dei btp.

Sarà indispensabile agli “antipoliticanti” un periodo di svezzamento, affinché possano tenere una condotta smaliziata nei palazzi, purché lo stesso non serva a farli diventare come quelli che il popolo ha idealmente cacciato. Sono ben consapevoli del fatto che saranno sempre nell’occhio del mirino e che non potranno permettersi di sbagliare: il primo passo falso, in qualunque direzione dell’illegalità, li equiparerebbe irrimediabilmente alla gentaglia che ha devastato il paese.

Fino ad allora, siano fieri tutti coloro che vengono additati di antipolitica. Perché se la politica vera è quella che ci ha portati sin qui, bisogna essere lusingati del non farne parte.

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