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Il silenzio degli indifferenti

Le manifestazioni dei No Tav mi inquietano. Mi inquietano perché appartengono all’unica categoria di manifestazioni che il nostro paese è ormai capace di produrre. Violenza, per lo più fine a se stessa o votata a ragioni elitarie; manifestazioni esenti da un coinvolgimento sentimentale generale, tese a sovvertire senza costruire.

Anni fa era diverso.

Il malessere sociale al pari del raggiungimento di un risultato politico tenacemente perseguito generavano una tensione emotiva che finiva inevitabilmente per sfociare in manifestazioni che erano vera voce di popolo, arricchita e resa varia dagli accenti delle diverse appartenenze politiche come i dialetti arricchiscono e rendono varia una stessa lingua.

Ora non è più così.

Mi viene in mente la caduta di Berlusconi. Per mesi tutti, tranne rare e direi temerarie eccezioni, non abbiamo aspettato altro: testimoni la stampa e soprattutto i social network.

Generalmente la conseguenza minima e più logica di una caduta tanto voluta sono le manifestazioni di giubilo. Da sempre. Senza andare troppo indietro ricordo le folle festanti alla notizia del crollo del muro di Berlino e di quelli consequenziali dei vari regimi comunisti nell’est europeo; ma anche l’entusiasmo, a tratti anche aberrante, seguito alla cattura di vari tiranni in Medio Oriente e Nord Africa.

Ora non dico che alla caduta del Signore di Arcore avremmo dovuto ricalcare quelle scene. Ma mi sarei aspettato che in quegli stessi “luoghi” mediatici che sono stati culla delle più agguerrite cyber-battaglie contro il Berlusca, dove tutti abbiamo sfogato i nostri malumori, squillassero le trombe e rullassero i tamburi!

Invece nulla. Silenzio, al massimo qualche sussurro.

E allora ti rendi conto di come siamo cambiati noi italiani in questi ultimi 65 anni. Ti accorgi di quanto scientificamente la politica risorta con la prima sciagurata repubblica e che fino a Monti ha regnato incontrastata nei palazzi del potere ci ha disabituati alla partecipazione, per impedire che capissimo gli inganni e le mistificazioni, per evitare che ci ribellassimo alle ingiustizie, storiche e sociali, che sono state il pane quotidiano per la classe politica impostasi alle nostre vite nel delicatissimo passaggio fra il fascismo e la libertà.

Ti rendi drammaticamente conto che l’ultima volte che noi italiani, dal nord al sud, siamo scesi in piazza festosi a testimoniare il nostro orgoglio unitario e a gioire per la risorta partecipazione politica è stato il 25 luglio 1943, la fine del fascismo. Troppo lontano. Le volte successive si trattava dei Mondiali di Calcio, ma quella è un’altra gioia… La capacità di arrabbiarci è durata di più, fino al ’68 e agli autunni caldi degli anni 70. Poi la fine.

Per motivi politici o per orgoglio nazionale in Italia non esultiamo più. Né ci incazziamo più, che è pure peggio! Sembriamo vittime di una gengivite espulsiva che ci impedisce di mostrare i denti… perché di denti non ne abbiamo più.

Ci è stata lasciata la critica, quella sì, quanto basta per mantenerci nell’illusione di vivere il sogno democratico: la satira politica sembra uno dei pochi diritti realmente garantiti dalla costituzione e noi l’abbiamo affinata fino a diventarne maestri. Attraverso la satira siamo diventati abili a svelare i misfatti e a denunciarne la gravità più che attraverso i mezzi canonici di inchiesta, al punto che la satira è il momento pregnante di molte trasmissioni di approfondimento politico.

Ma ci fermiamo lì. Quando poi la storia ci dà l’occasione del protagonismo, quando la meta “satiricamente” agognata è raggiunta, allora rimaniamo smarriti, non sappiamo più esattamente cosa fare, come e quando muoverci, cosa e quanto pretendere. In una parola (orribile) indifferenti.

E lasciamo le piazze ai black bloc, ai no-tav e altri simili esaltati senza uno scopo che non sia la devastazione.

E questo cos’è se non il prezzo (altissimo) che stiamo pagando per l’abdicazione al protagonismo che ci spettava di diritto dopo la caduta del fascismo? Abbiamo permesso che i partiti si insinuassero nel nostro tessuto politico divenendone detentori assoluti. Che si sostituissero a noi in ogni aspetto, che ci illudessero di lottare per i nostri diritti, senza deliberatamente spiegarci che il rispetto dei doveri è importante al pari dei primi per salvaguardare le libertà che sottendono alla vera democrazia. Noi abbiamo perso l’abitudine ai doveri così come non riusciamo più a dare valore all’orgoglio nazionale. E questo è un problema serissimo.

Spiace dirlo, ma davanti a questo scempio inutile arrovellarsi su quale sia la soluzione migliore se il substrato rimane fango; mentre Mario Monti & Co. fanno il lavoro sporco che nessuno ha mai avuto il coraggio di fare, le varie cassandre della politica si agitano dando pareri e soluzioni che nessuno più giudica credibili; e cercano intese paradossali in cui destra e sinistra finiscono con il confondersi perdendo definitivamente le reciproche identità. Del tutto inutile: hanno perso la faccia. E dopo la parentesi Monti sarà ancora più difficile. Ci vorrebbe il coraggio di tornare indietro, riprendere il filo dove fu interrotto e riannodarne i lembi per recuperare i valori di un passato volutamente dimenticato ma dove risiedono le nostre autentiche radici di Stato nazionale unitario. Altrimenti è tutto inutile.

 E allora interpretiamo il nostro silenzio rassegnato come un omaggio reso ai morti che hanno dedicato le loro vite a questo paese. Così almeno ha un senso.

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