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Il setaccio Italia ha venduto Valentino. Il suicidio dell’addio al made in Italy

Come il setaccio trattiene l'inutile crusca e lascia passare la parte buona, il nostro mercato interno sta svendendo da anni le proprie eccellenze per salvaguardare comparti ormai desueti e inutili. Uno scempio che ci darà tanti problemi nell'immediato futuro e che rischia di ipotecare il futuro delle prossime generazioni.

Un altro pezzo del fashion Italiano finisce in Qatar. La maison Valentino è stata ceduta a Mayhoola, una società per azioni dietro la quale sembra si celi anche parte della famiglia reale del Qatar. Secondo indiscrezioni finanziarie la cessione sarebbe stata realizzata sopra i 700 milioni di euro, con un multiplo di quasi trenta volte il margine operativo lordo del 2011 (22 milioni di euro).

Restano fuori dall’operazione sia la quota di maggioranza di Permira e i Marzotto in Hugo Boss e sia l’altro marchio gestito da Vfg, Mcs – Marlboro Classics, che resterà in carico a Red & Black (la controllata degli investitori italiani).

Il passaggio di Valentino a Permira e alla famiglia Marzotto era stato realizzato nel 2007. Il gruppo Valentino ha chiuso il 2011 con un fatturato di 322 milioni di euro, e segna una crescita del 60% del fatturato tra il 2009 e il 2012. ”Valentino è da sempre un marchio di grande fascino e di indiscusso posizionamento – affermano da Mayhoola -. Siamo rimasti colpiti dal lavoro fatto in questi anni dai direttori creativi Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli e da tutto il management team guidato da Stefano Sassi".

Valentino è la riprova che il prodotto italiano è ancora visto con grandissimo interesse all’estero e che vi è voglia e interesse ad investire in quello che i mercati emergenti identificano come realmente made in Italy. Purtroppo stiamo lentamente, inesorabilmente ed ottusamente sparando (anzi svendendo) tutte le nostre cartucce proprio nel momento in cui una buona base di risorse potrebbe garantirci una ripresa in grande stile, rispetto a paesi vicini e meno vicini tutti coinvolti in una crisi che non è stata solo nostra.

Invece sembra che l’italia, le sue istituzioni e la sua imprenditoria si stia comportando come un setaccio, che lascia andare la farina per tenere a sé l’inutile crusca. Alienate le eccellenze italiane della moda, quasi tutte quelle della meccanica e passate ai concorrenti peggiori tutte le risorse immateriali più interessanti e di riferimento, vorremo combattere la guerra dei poveri, puntando su un manifatturiero composto da artigiani cinesi che internamente disgregano le nostre produzioni in diversi e molteplici settori e in improbabili fasce medio basse inutili per l’esportazione.

Andiamo avanti così!

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di illupodeicieli (---.---.---.198) 16 luglio 2012 19:02

    Penso sia giusto e doveroso, avendone capacità e voglia, di riprendere il made in Italy che si è venduto e/o in alternativa, creare dei nuovi marchi: per renderli credibili e appetibili ci vuole manico, testa, fiato. Ma anche,sopratutto, creatività e amore per il proprio lavoro. Chi scopiazza e cerca il business immediato, non so se riuscirà a emergere. So bene che la moda, il settore abbigliamento, è in mano a gruppi finanziari stranieri, che ci sono le varie riviste che dettano legge. Per questo occorre una strategia che dia forza e visibilità al made in Italy. Questo vale per il settore abbigliamento ma anche per altri settori,attualmente, sotto attacco o che sono in crisi: penso al settore cinematografico o a quello automobilistico (è stata fatta morire la De Tomaso: che ci siano ragioni diverse lo so bene, conosco un po’ la storia del marchio e di De Tomaso). Per riprendere a fare occorre crederci ma anche uscire dagli schemi, essere diversi se non unici: se ci si limita a fare qualcosa come la fanno gli altri si finisce nella guerra dei prezzi. E questo vale sia per chi produce e crea,sia per chi vende al dettaglio. In ogni settore c’è chi può e vende per un centesimo in meno un articolo simile al tuo, al nostro. Capire le differenze ed evidenziarle, è un buon inizio. Diversamente continuiamo a svendere i marchi storici e importanti, e a comprare ai discount o vestiamoci nei negozi cinesi: facciamoci tagliare pure i capelli: un taglio maschile,con tanto di shampoo, costa a Cagliari, salvo errore 10 euro.

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