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Il sabato di guerra in Generali

Qualcosa si muove nei salotti buoni della finanza italiana, che spesso ci ha abituati a lunghi e religiosi silenzi.

Il clima si è scaldato all'interno del consiglio di amministrazione di Generali, la più grossa compagnia assicurativa del Bel Paese, dopo le roventi critiche, espresse pubblicamente in un'intervista al Corriere della Sera, del vice-presidente francese Vincent Bolloré contro la gestione di Giovanni Perissinotto.
 
In quell'occasione Bolloré ha spiegato i motivi che l'hanno spinto ad astenersi sul bilancio 2010 dell'ultimo cda, mettendo sotto accusa i metodi di governarnce della società: "Per me le grandi aziende italiane quotate in Borsa non sono e non devono diventare luoghi non collegiali o non trasparenti in cui qualcuno gestisce le cose a modo suo".
 
Una presa di posizione pesante, quasi inusuale, che prende di mira il manager Perissinotto, colpevole di aver sottoscritto accordi "squilibrati" con il partner in Europa dell'Est Petr Kellner (in gioco una put da 3 miliardi di euro) ed aver investito 300 milioni in una società ritenuta "sopravvalutata" quale la banca russa Vtb.
 
Gli accordi con Kellner in realtà, che fecero nascere la joint venture Ppf, risalgono al 2007 e si sono rilevati azzeccati. Generali infatti, al momento di sottoscrivere l'accordo con Ppf, valutata 5,1 miliardi, vinse la concorrenza di altri due colossi assicurativi (Axa e Allianz) e limitò l'esborso di cassa a 1,1 miliardi, inglobando due società nella joint venture, acquisendo una quota del 51%.
Un'operazione che all'epoca venne considerata brillante ed il deal ottenne addirittura un premio come migliore acquizione dell'anno.
 
Anche durante il periodo peggiore della crisi, Ppf ha sempre chiuso in utile i suoi bilanci e dai Paesi dell'Est Generali ormai ricava quasi il 10% dei suoi profitti operativi (nel 2007 erano solo l'1,8%).
 
Evidentemente qualcosa è cambiato nel pensiero di Bolloré, mentre il suo attacco al cda della compagnia ha movimentato le reazioni dei soci, che non si sono fatte attendere.
 
Il primo a reagire è stato Diego Della Valle, uno dei principali azionisti, che in una nota ha scritto: "Bolloré e Geronzi devono rassegnarsi a tenere giù le mani da Generali. Ogni loro tentativo è stato vanificato ed il voto unanime (escluso Bollorè) sul bilancio ha dato il fermo punto di vista del consiglio delle Generali e dei suoi organi di controllo"
 
Anche Lorenzo Pelliccioli, il ceo di De Agostini (che detiene il 2,4%), ha rotto la sua abituale riservatezza, definendo "stupefacente" il fatto che un consigliere "rilasci dichiarazioni fuori dallo stesso consiglio nel merito di decisioni operative", aggiungendo inoltre che "la governance di Generali è stata impostata e condivisa da tutti i maggiori azionisti e finora ha funzionato correttamente".
 
Infine il ceo della De Agostini ha sottolineato l'impulso dato da Perissinotto all'ammodernamento della compagnia, esprimendo "particolare apprezzamento" nei confronti dei risultati raggiunti nel 2010.
 
Sullo sfondo dei contrasti interni a Generali, resta aperta la partita Mediobanca, primo socio della compagnia con il 13,4% (il cui pezzo grosso Tarek Ben Ammar ha sempre difeso Geronzi, prendendosi gli insulti di Della Valle) , assieme all'invito dello stesso patron di Tod's rivolto a Bollorè: "Se decidesse di dismettere la sua quota in Mediobanca, troverebbe oggi molti italiani disposti a rilevarla immediatamente, me compreso".
 
Difficile però che il vice-presidente francese di Generali, allievo dello storico banchiere Antoine Bernheim, decida di mollare la presa.
 
L'Italia, tutto sommato, piace anche ai cugini d'Oltralpe.

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