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Il racconto: aquilani a Roma, malgrado media e provocazioni. “Ci ridevano in faccia ma non abbiamo ceduto”

 Mediacrew Casematte from 3e32 per L’89 e Agoravox Italia

Il racconto: aquilani a Roma, malgrado media e provocazioni. “Ci ridevano in faccia ma non abbiamo ceduto”

La mattina di mercoledì 7 luglio gli aquilani tornano a Roma un anno dopo la prima manifestazione. Nell’altra occasione eravamo molti di meno, mille scarsi e c’era un altro spirito, era il 16 giugno a soli due mesi dal terremoto, ancora lo shock nei nostri occhi, ma il motivo era lo stesso. Il 16 giugno 2009 infatti si votava per il decreto 39, che avrebbe deciso la copertura finanziaria da destinare alla gestione dell’emergenza e alla ricostruzione delle case di proprietà.

Anche la mattina del 7 luglio come dicevo si discuteva in senato la situazione finanziaria del cratere, così viene definito il territorio dell’aquilano colpito dal terremoto del 6 aprile 2009 che ha raso al suolo 57 comuni più un capoluogo di Regione. Questa volta però, a 13 mesi di distanza, le cose sono cambiate, gli aquilani hanno capito che il miracolo di cui tanto si sente parlare in TV non c’è stato, questa volta non si va a Roma per sentire ancora chiacchiere e promesse, questa volta siamo più di 5000.

Fa molto caldo nella capitale, subito però gli aquilani si rendono conto che sarà una giornata più che calda per loro. Appena scesi dagli autubus scortati fino a piazza Venezia infatti, veniamo accolti da forze di polizia, carabinieri e finanza in assetto antisommossa, ci aspettano all’entrata di via del corso, non vogliono farci passare. La cosa ci stupisce un po’, la manifestazione era autorizzata, il percorso accordato con la questura di Roma: la mattina contestazione davanti Montecitorio, come il 16 giugno scorso, il pomeriggio davanti palazzo Madama.

La tensione si alza subito. Gli aquilani dopo 15 mesi di passerelle non ce la fanno più a reggere il teatrino mediatico che questa maggioranza di governo ha messo in piedi sulle nostre vite e sul nostro futuro. Torna alla mente di tutti la manifestazione cittadina del 16 giugno, quando più di 20000 aquilani, in un territorio abitato attualmente da 35000 persone, hanno attraversato in corteo le strade della città e hanno bloccato per più di un’ora l’autostrada A24 che collega L’Aquila con Roma. Torna in mente a tutti che quella manifestazione contestava il fatto che dal primo luglio i lavoratori dipendenti dell’aquila hanno ripreso a pagare le tasse vecchie e nuove, torna in mente a tutti che nessuno in Italia sa di quella protesta, semplicemente perché i telegiornali nazionali non ne hanno parlato.

Non andrà così anche oggi. Il corteo allora comincia a spingere contro le guardie chiuse a testuggine. È una situazione strana, noi non siamo abituati a questo, loro si trovano davanti 5000 persone determinate, uomini, donne, vecchi e bambini tutti a volto scoperto, tutti con le mani alzati, senza violenza ma con la ferma intenzione di andare avanti. Mentre noi stavamo lì a spingere ecco che partono le prime manganellate, improvvise e violente colpiscono prima un ragazzo, poi un altro e poi un altro ancora, tutti e tre girati di spalle. Due di loro cominciano a sanguinare dalla testa.

Vengono colpiti anche il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente e il deputato del PD Giovanni Lolli. Vengono caricate donne e anziani, che stavano in prima linea insieme a noi e ai confaloni dei comuni che avevano aderito alla manifestazione, 53 su 57 terremotati con sindaci del PD e del PDL, più quello della Provincia dell’Aquila passata al Pdl dopo le ultime elezioni, che si erano messi davanti a tutti per difenderci, perché pensavano che nessuno avrebbe colpito simboli istituzionali, giusto per rispondere al capo della Digos di Roma Lamberto Giannini, che dichiara che a cominciare gli scontri sono strati ragazzi dei centri sociali di Roma e dell’Aquila.

Il corteo allora si fa coraggio e comincia a spingere, forziamo il blocco per due volte in via del corso fino a quando non raggiungiamo piazza Colonna. La polizia intanto colpisce di manganello appena può, ormai è chiaro che l’ordine è di non farci arrivare sotto palazzo Chigi, i potenti non devono vedere che gli aquilani non sono poi così contenti come li mostra la tv. Iniziano le trattative con le forze dell’ordine che intanto cercano di farci deviare verso Montecitorio. Il corteo si sfilaccia, alcuni vanno, altri cercano un po’ d’ombra, un nocciolo duro rimane a contatto con le forze dell’ordine.

Hanno provato in tutti i modi a farci perdere la pazienza. Ci ridevano in faccia quando eravamo a un millimetro di distanza, ci hanno dato calci, pugni, manganellate, ginocchiate, spinte. Loro lo hanno capito benissimo che se avessimo ceduto alla provocazione li avremmo spazzati via come polvere e non parlo di me che sono 170cm scarsi e non sono un picchiatore, parlo di tutti quelli che alle manganellate rispondevano con le parole e solo con le parole. Questa è la vera dignità degli aquilani, non quella sbandierata dai telegiornali bugiardi che ci puntavano i fari dentro le macchine per riprenderci le prime notti dopo il terremoto.

Subito abbiamo capito che l’idea di farci deviare verso Montecitorio era estremamente pericolosa, perché lì si svolgeva un’altra manifestazione con disabili che reclamavano per i loro diritti, anche loro. Un’idea criminale da parte della questura romana che cercava il pretesto per fare chissà cosa. Intanto mentre il corteo si ricompattava al nostro microfono parlavano Bersani e Pannella, mentre Di Pietro più indietro tentava di riunire il corteo spezzato dalle barricate improvvisate della polizia. Abbiamo dato loro la parola, non abbiamo permesso che cavalcassero l’onda però, abbiamo estorto loro degli impegni, vedremo. A onor del vero c’è da dire che almeno loro il coraggio di venire a parlare con noi l’hanno avuto, del PDL nemmeno l’ombra.

A questo punto il corteo decide di spostarsi verso piazza Navona, di fianco palazzo Madama, passando davanti palazzo Grazioli, residenza romana di Berlusconi, proprio mentre lì si riuniva un vertice di maggioranza per discutere proprio di noi. Non sapevamo quello che stava succedendo là dentro, noi volevamo solo passare e dopo un primo sfondamento e ancora botte e provocazioni abbiamo deciso di tornare indietro e passare per via delle Botteghe Oscure, per evitare che la situazione degenerasse, per non cadere nei loro tranelli. Certo penso che se avessimo saputo che stavano là dentro non ci saremmo mai mossi da lì, l’unica cosa che ci faceva un po’ schifo era vedere molte ma molte più guardie a difesa della casa del premier che di palazzo Chigi.

A piazza Navona ancora polizia ad aspettarci, ma noi ancora lì a manifestare. Intanto arrivavano notizie che in televisione si parlavasolo degli scontri, nessuno accennava ai motivi della protesta. Nessuno ha detto che la manifestazione chiedeva semplicemente stessa dignità di trattamento rispetto al terremoto di Umbria e Marche, di quello del Molise e dell’alluvione del Piemonte, dove i cittadini colpiti da catastrofe hanno avuto tasse sospese per dieci anni e restituzione del 40% senza interessi in 120 rate nel primo caso, del 10% senza interessi negli altri due.

Non si parla del fatto che a noi chiedono di restituire il 100% con gli interessi ad un anno di distanza in 60 rate, in un territorio con 18000 tra cassintegrati e disoccupati post-sisma, dove meno del 10% delle aziende ha ripreso a lavorare, una città che registra un crollo di iscrizioni alle scuole medie e superiori, con un’unica cosa in aumento, il tasso di suicidi nella fascia d’età tra i 20 e 70 anni. Verso le 5 del pomeriggio arriva la notizia che il governo ha deciso la restituzione delle tasse arretrate in 120 rate anziché 60 da gennaio 2011solo per i lavoratori autonomi però, i dipendenti già hanno ripreso a pagare e continueranno a farlo.

A quel punto siamo stanchi, l’amarezza è tantissima, decidiamo di procurare scompiglio. Il corteo allora improvvisa un blocco sul lungotevere all’incrocio con corso Vittorio, i romani protestano, scendono dalle macchine e cominciano a urlare, ma quando spieghiamo loro i nostri motivi smettono di lamentarsi e addirittura si uniscono a noi o ripercorrono la coda di macchine al contrario per spiegare agli altri i nostri motivi. Poco prima delle sei il corteo attraversa il Tevere all’altezza del Palazzaccio per tornare agli autobus che ci avrebbero riportati all’Aquila, non a casa badate bene, noi una casa nostra non ce l’abbiamo.

Ci troviamo davanti il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, anch’esso già presidiato da polizia in assetto antisommossa e la rabbia esplode. La contestazione parte spontanea, all’unisono, “ladri, assassini, mafiosi, io alle 3e32 non ridevo” e ancora“Bertolaso dimettiti, tu con le case di Anemone noi con quello scempio in cui ci avete rinchiusi”. Abbiamo capito da subito che farci deviare là era stato un trucco della Questura per darci un’ultima provocazione, lo abbiamo capito tutti e la contestazione è stata solo verbale, anche se la rabbia era tale che quella ventina di poliziotti se la stava facendo palesemente sotto, guardavano tutti per terra, nessuno aveva il coraggio di sostenere il nostro sguardo.

Con i TG della sera cominciano le sorprese, ma tanto per noi la mistificazione mediatica va avanti da 15 mesi ormai, seguiamo i TG e li esorcizziamo con un colpo di spalle, i romani che sfilavano in solidarietà con noi però avranno provato la sensazione che dà subire ogni giorno un revisionismo scientifico della realtà.

Un gruppo rap aquilano dice in una loro canzone che gli aquilani “sono la gente a cui nulla più sembrerà allucinante” e infatti non ci stupisce Fede che parla di Di Pietro capopopolo che aizza i terremotati contro la polizia, come non ci sorprende il capo della Digos di Roma che ai microfoni del TG di Scodinzolini dice che gli scontri sono stati provocati da gruppi antagonisti dei centri sociali di Roma e dell’Aquila.

Ricordate i confaloni, i sindaci, il deputato di cui parlavo prima? Per fortuna che non siamo così sprovveduti e che le nostre immagini sono migliori delle loro. A fare un po’ più male è il silenzio della Provincia e dei comuni del Pdl, che stavano con noi in quella piazza, che le hanno prese insieme a noi in quella piazza e che restano in silenzio per ordine del Duc… ops pardon, per ordine di partito.

Come ho già detto sono 15 mesi ormai che per noi va avanti così, giorno dopo giorno. È uno dei motivi per cui siamo costretti a lottare, ma ci dà forza il pensiero che invece loro sono costretti a perdere, noi non possiamo far altro che continuare perchè l’alternativa sarebbe solo il nulla, che fa comodo a loro per faresoldi ma che a noi non piace.

Mediacrew Casematte

www.3e32.com

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