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Il problema dei Credit Default Swap

Nel mezzo della grave crisi economico e finanziaria, gli italiani da mesi sono bombardati da informazioni e notizie sull'andamento della borsa, lo spread Btp-Bund, il tasso d'interesse dei titoli di stato, ecc... 

Se da un lato è importante che i risparmiatori "familizzino" con i termini tipici della finanza, in modo da accrescere la generale cultura finanziaria del paese, dall'altro è necessario soffermarsi sul significato di alcuni termini che nell'ultimo periodo sentiamo spesso al Telegiornale, alla radio o leggiamo sui quotidiani.
 
Cosa sono per esempio i CdS?
L'acronimo sta per Credit Default Swap, contratti derivati che permettono agli investitori, pagando un premio, di proteggersi dall'eventuale fallimento di un obbligazione (soprattutto titoli di stato). 
 
Una vera e propria polizza assicurativa, che di conseguenza segnala il livello di rischio di un asset, dalle azioni ai bond governativi. Infatti più aumenta il costo per stipulare il credit default swap, quindi assicurarsi, più significa che il sottostante (l'oggetto del contratto) aumenta il suo grado di rischio. 
 
Il problema è che spesso questi sottostanti sono rappresentati da titoli di Stato di un paese sovrano. 
 
A questo punto una domanda sorge spontanea: possono le banche e le istituzioni private decidere sul destino economico e finanziario di interi paesi e di milioni di cittadini?
 
Un discorso simile alle recenti polemiche sul ruolo eccessivo assunto dalle agenzie di rating americane. 
 
Non a caso, se andiamo ad analizzare come funzionano (e chi gestisce) i CdS, le curiosità non mancano. 
 
Anzitutto sono contratti "over the counter", stipulati sui mercati non regolamentati, sono comprati e venduti dagli operatori al telefono, senza un sistema elettronico e quindi privi di trasparenza. Il loro mercato è concentrato nelle mani di 4-5 colossi bancari americani e rimangono accessibili solo ai grandi investitori
 
Insomma si tratta di strumenti opachi e senza tracciabilità che hanno però un potere enorme: quello di influenzare e condizionare mercati più grandi di loro, come i titoli di stato
 
Possono diffondere il panico e far lievitare i rendimenti, contribuire a destabilizzare Governi, le Borse e di conseguenza i risparmiatori. 
 
Eppure le Autorità non si sono mai impegnate per introdurre qualche regola in più per concentrare gli scambi su listini maggiormente sorvegliabili. 
Facciamo un esempio del "potere" dei Credit Default Swap: l'Italia ha titoli di stato per un ammontare di 1.500 miliardi di euro, a fronte di "solo" 9.584 contratti di CdS per un valore nominale lordo di 229 miliardi di euro.
 
Il gruppo dei PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) insieme ha 1.057 miliardi di euro di titoli di stato e appena 260 miliardi di euro di Cds lordi.
Questi sono in sostanza i derivati sul mercato, ma nulla si sa sui volumi.
Si dice che non siano elevati, e qui sta il vero problema.
 
E' possibile che un mercato piccolo con bassi volumi possa influenzare un mercato molto più grande?
 
Quando sale il "premio" per assicurarsi contro il default dell'Italia, chi opera sui mercati obbligazionari italiani e vende i Btp non può non tenerne conto. Salgono dunque i Cds e si allarga lo spread con il Bund tedesco. 
Non è da escludere dunque che qualcuno destabilizzi i Credit Default Swap (bastano poche decine di milioni di dollari) per speculare sui mercati dei titoli di stato
 
Non è accertato, ma i dubbi rimangono. 
E' proprio l'opacità che non permette di fare chiarezza e distinguere tra operazioni normali o "pilotate".
 
Le Autorità dovrebbero regolamentare al più presto il mercato dei Cds: un buco nero dove guadagnano le grandi banche d'affari ai danni (potenzialmente) di Stati, investitori e risparmiatori. 

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