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Il patto sociale secondo Marchionne

"Oggi non è possibile - ha detto scandalizzato Marchionne - un conflitto tra capitale e lavoro. Quello di cui ora c’è bisogno è un grande sforzo collettivo, una specie di patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità, i sacrifici".
 
Una proposta sbattuta in faccia ai tre operai di Melfi: Barozzino, Lamorte, Pignatelli ancora una volta accusati di atti di sabotaggio e agli operai del CGIL rei di guardare al passato e non al futuro, colpevoli delle perdite della Fiat. Ma di quale patto sociale parla Marchionne? Quello del 1988 a cui segui un taglio del reddito dei lavoratori senza gli investimenti promessi, quello che lega la remunerazione ai risultati dell’impresa oppure quello che consente di partecipare agli utili ma anche alla gestione dell’azienda e, in quest’ultimo caso, si riferisce al modello tedesco con i consigli di sorveglianza oppure ad altri modelli di cogestione?
 
La collaborazione tra capitale e lavoro è oggi più che mai necessaria, il prodotto inevitabile del processo di globalizzazione e della competizione sistemica ad esso connessa. Quando la concorrenza non avviene tra imprese ma tra sistemi/paese, è necessaria la collaborazione di tutte le forze di quel paese, una loro organizzazione e quindi una squadra.
 
E allora perché Marchionne si è rivolto ai soli lavoratori trascurando la P.A., la politica, la finanza, per restare in un’ottica miope di una competizione tra imprese e nell’ignoranza di una competizione sistemica elemento essenziale del processo di globalizzazione? Forse pensa ad una riedizione del patto del 1988. Ma oggi non ha più significato perché non c’è niente da decurtare, con i salari operai al minimo.
 
Ma c’è dell’altro.
 
L’attuazione pratica di tale nuovo modello di relazioni industriali, passa per l’affermazione dei diritti globali e del sindacato globale. Diversamente non si parte su di un piano di parità. Fino a quando la delocalizzazione e il ricatto ad essa connesso peseranno come una minaccia sui lavoratori, nessuna collaborazione capitale/ lavoro potrà realizzarsi. I lavoratori non possono accettare un rapporto di collaborazione in una posizione di debolezza, sarebbe un suicidio.
 
Viceversa la omogeneizzazione su scala planetaria di alcuni diritti fondamentali a livello di trattamento minimo, di turni, del diritto di sciopero, potrebbe costituire un antidoto efficace al potere di ricatto e creare le condizioni per una proficua collaborazione tra capitale e lavoro.
 
Si critica la realtà del conflitto capitale/lavoro, lo si presenta come conflitto di classe anche se questo non esiste più, s’invoca un cambiamento a prescindere dalle ragioni che lo giustificano e dalle condizioni di praticabilità. E allora chi è che guarda al passato e chiude gli occhi al futuro, gli operai, la Cgil o Marchionne?
 

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