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Il “nemico” Marchionne

Creare ad arte il nemico forse non è l’ultima frontiera per non cambiare nulla ma è senz’altro una strategia fin troppo abusata che sta danneggiando seriamente il nostro paese

Certo che il fenomeno Marchionne visto da fuori sembra paradossale se non addirittura grottesco. Si tratta in definitiva di un manager che negli Usa viene osannato tanto da comparire come testimonial perfino negli spot elettorali e, quello stesso Marchionne, con lo stesso maglioncino blu, con la stessa barba bianca, in Italia viene visto come un demonio, uno schiavista nemico del paese che vuole schiacciare la povera classe lavoratrice. Se l’argomento non fosse più che reale tutto lascerebbe pensare ad una commedia di Pirandello messa in scena dal Teatrino dello Stivale e se l’argomento non fosse anche più che serio ci sarebbe pure da riderci sopra perché, come dice il poeta “il comico è un avvertimento del contrario”.

Già, perché questo contrario è l’effetto dei differenti occhiali sociologici secondo i quali l’opinione pubblica percepisce e giudica il fenomeno, o è indotta a farlo. Negli Usa “l’amico” Marchionne ha risistemato la Chrysler con i soldi dello stato, un po’ di fortuna e con l’aiuto del sindacato che ha accettato condizioni di lavoro peggiori pur di salvare l’azienda. Più o meno ciò che si fece anche in Volkswagen nel '93. Mentre in Italia, sempre Marchionne, vorrebbe ugualmente risistemare Fiat ma senza soldi dallo Stato e richiedendo l’impegno del sindacato, anche qui per condizioni di lavoro un po’ peggiorative. Ed è proprio facendo questo che si è calato, volente o nolente, nel ruolo del nemico, nello scomodo ruolo del cattivo di turno, ideologicamente agli antipodi del senso comune programmato. Negli Usa, come a suo tempo in Germania, in maniera molto pragmatica ci si è trovati senza incrostazioni preconcette per assumesi la responsabilità di rinunciare ognuno a qualcosa in nome dell’obiettivo comune fortemente voluto.

Ma il nostro si sa è un paese dai facili egoismi, un paese delle corporazioni dove l’individualismo è di gran lunga superiore al senso comune, allo spirito di gruppo, per non parlare del senso dello stato. E per questo avere un nemico è una necessità imprescindibile, un nemico ben visibile ed inequivocabile a cui attribuire tutte le responsabilità di ciò che non funziona, un alibi perfetto per scappare dagli impegni e dal lavoro che compete a noi, fomentando al contempo la paura della catastrofe. Nascondersi dietro i contrasti insomma per tranquillizzare il proprio io e pure quello collettivo, lasciando, in definitiva, tutto come prima.

Costruendo il nemico si infiamma ad arte l’antagonismo, nord-sud, operaio-azienda, stato-cittadino, giovani-anziani, banche-clienti, destra-sinistra e così via, un’esasperazione mai vista in passato nel nostro paese dove ormai il nemico è diventato un oggetto di consumo che sovrasta la realtà, annullandola, dai talk show alla politica e perfino nella vita comune, una tattica di mimetismo in cui ormai siamo immersi fino al collo.

Diceva Cossiga gli italiani sono sempre gli altri” ma si potrebbe ormai parafrasare come “i cattivi sono sempre gli altri” e l’eroica difesa inscenata contro i soprusi ci permette di lasciare da parte i nostri doveri e di sfuggire in definitiva all’unica vera contrapposizione possibile, l’equazione diritti doveri di mazziniana memoria. Così la Camusso può attribuire tutte le colpe al diabolico Marchionne dimenticando che problemi di assenteismo, produttività, conflittualità, governo delle fabbriche, appiattimento salariale, mancanza di meritocrazia non sono solo del diavolo, ma anche di chi fa i coperchi. Per questo forse ci farebbe bene ricordare l’ormai mitico discorso del presidente J. F. Kennedy il giorno del suo insediamento alla Casa Bianca nel 1961 quando ebbe a dire "Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese". Ho la sensazione che niente sia più valido ed attuale per noi e per la nostra società, qui ed ora.

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