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Il mistero dell’assistente materna

Il governo vuole introdurre la figura dell’assistente materna: un servizio lanciato con molta enfasi ma pochi dettagli, peraltro controversi. La figura, senza formazione sanitaria specifica, dovrebbe fornire supporto alle madri nei primi mesi di vita dei bambini. Ma già esiste una struttura preposta allo scopo: la rete dei consultori familiari. Affronta il tema la giornalista Ingrid Colanicchia sul numero 6/2023 di Nessun Dogma

A fine settembre una notizia circolata urbi et orbi ha scosso il mondo delle figure professionali che a vario titolo si occupano di tutto ciò che ruota attorno alla salute e al benessere di neonati e neogenitori: la prossima istituzione da parte del governo di una figura denominata assistente materna, con il compito di accompagnare le madri nei primi mesi di vita del bambino.

«Nel 2024 nasce una nuova professione: l’assistente materna. Per istituirla il governo ha intenzione di stanziare tra i 100 e i 150 milioni. Avrà il compito di accompagnare le madri nei primi sei mesi di vita del bambino con un rapporto personale diretto: non solo risponderà telefonicamente, o con videocall, ma andrà direttamente a domicilio per sostenere le donne in questa prima fase della maternità. Già nella Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) che sarà esaminata oggi dal Consiglio dei ministri ci potrebbe essere un primo riferimento alla proposta che vedrà poi la luce o in legge di bilancio o nel collegato alla legge di bilancio». Lo rendeva noto in questi termini l’Ansa, ripresa poi da tutti i principali mezzi di comunicazione.

Se confermata (attualmente nel testo della manovra non compare, mentre nel testo della Nadef compare solo un riferimento a un disegno di legge collegato alla decisione di bilancio 2024-2026, non ancora presentato alla camera o al senato, inerente Misure a sostegno della maternità nei primi mesi di vita del bambino) e confermata nelle modalità fin qui descritte dai media che ne hanno dato notizia aggiungendo ulteriori elementi (i nostri tentativi di avere qualche conferma dall’ufficio stampa della ministra Roccella non hanno avuto risposta, ma visto che smentite non se ne sono registrate possiamo presumere che le informazioni circolate abbiano fondamento) non sarà una figura sanitaria e non dovrà sostenere un percorso di laurea, bensì un corso di formazione della durata di sei o nove mesi.

L’idea sarebbe quella di un servizio a richiesta delle mamme, che disporranno di una ventina di ore per i primi tre mesi dal parto, estendibili fino a sei. L’obiettivo è di avere tre assistenti materne ogni 20.000 abitanti. Le modalità operative saranno in parte stabilite con le Regioni.

«Pur comprendendo il nobile fine di voler garantire un aiuto alle madri, non possiamo che esprimere la nostra più totale disapprovazione unitamente al nostro totale disappunto sulla questione», ha scritto in una lettera al ministro della salute Schillaci, la presidente della Federazione nazionale degli ordini della professione di ostetrica (Fnopo), Silvia Vaccari: «Le cure post-natali a sostegno della neomamma rappresentano il ‘core’ dell’attività dell’ostetrica che, osservando e promuovendo la fisiologia, sa riconoscerne tempestivamente la deviazione e la comparsa di situazioni patologiche che possono richiedere l’intervento anche di altri specialisti».

«Restiamo sconcertate e indignate di fronte al fatto che il decisore possa immaginare di poter creare nuove figure professionali che vanno a sovrapporsi per competenze a quelle già esistenti. Si ritiene inoltre doveroso sottolineare che, ove fosse confermata la notizia, la gravità dell’iniziativa in questione sarebbe amplificata non solo dal fatto che non si è ritenuto utile consultare preventivamente la scrivente Federazione ma anche dal fatto che in questi anni non si è ancora provveduto ad assicurare che su tutto il territorio nazionale sia garantita la presenza delle ostetriche per le visite domiciliari in puerperio».

Preoccupazioni simili sono state espresse tra gli altri dall’Ordine degli psicologi della Lombardia che ha giustamente sottolineato come il sostegno descritto sia «unicamente rivolto alla madre, mentre dovrebbe essere rivolto alla coppia genitoriale e alla famiglia, in quanto tutti coinvolti nel nuovo evento nascita».

Molti mezzi di informazione, nel riportare la notizia, hanno affermato che tale figura professionale è già presente in altri Paesi, citando in particolare la Francia, ma a ben vedere oltralpe esiste, sì, l’assistante maternelle ma non è affatto equiparabile alla figura dell’assistente materna così come sarebbe stata pensata dal governo: si tratta infatti di una Tagesmutter, la “mamma di giorno” che gestisce un nido familiare, di solito a casa propria.

Quello che invece in Francia c’è ma ci guardiamo bene dall’imitare è il sostegno domiciliare dopo il parto, che si concretizza in tre forme di intervento: visita domiciliare di un’ostetrica entro 24 ore dal rientro a casa della puerpera in caso di dimissione anticipata dall’ospedale (una pratica che nel nostro Paese solo alcuni comuni virtuosi – come per esempio quello di Modena – prevedono e soprattutto realizzano); visita a domicilio su richiesta di una puericultrice per aiuto nelle prime cure al neonato; intervento su richiesta di un assistente sociale, anche per alleggerimento dalle incombenze quotidiane.

Una figura analoga all’“assistente materna” peraltro esiste già, anche in Italia, ed è la “doula”, che non ha una formazione sanitaria ma offre un sostegno alla madre e alla famiglia dalla gravidanza sino al primo anno di vita del/la bambino/a (e rispetto alla quale più volte la Federazione ostetrica ha espresso le proprie perplessità).

Non essendo riconosciuta a livello normativo, la figura della doula nel nostro Paese è disciplinata dalla legge numero 4 del 2013 (Disposizioni in materia di professioni non organizzate) e dunque il suo profilo e il relativo percorso formativo non sono regolati dalla legge, ma stabiliti dalle varie organizzazioni esistenti.

Insomma, l’assistente materna non sarebbe una figura nuova e con tutta probabilità non sarebbe una figura che abbia alle spalle la formazione necessaria a essere di sostegno in una fase delicata come quella del post-parto (basti pensare che il 70-80% delle puerpere sperimenta il cosiddetto “baby blues” e il 10-15% va invece incontro a un vero e proprio stato depressivo); ma soprattutto la proposta, se confermata, ignora deliberatamente il fatto che già esiste una struttura preposta allo scopo, con tutte le figure professionali del caso (ginecologo, ostetrica, psicologo, assistente sociale…): la rete dei consultori familiari istituiti con la legge 405 del 1975.

Che peraltro, considerato il quadro tracciato dall’indagine condotta su 1.800 consultori italiani tra novembre 2018 e luglio 2019, non gode di buonissima salute. Nel nostro Paese c’è infatti 1 consultorio ogni 35.000 abitanti nonostante siano raccomandati nel numero di 1 ogni 20.000 e, circa il numero medio di ore lavorative settimanali per 20.000 abitanti previste per le diverse figure professionali, solo cinque regioni raggiungono lo standard atteso per la figura dell’ostetrica, due per il ginecologo, sei per lo psicologo e nessuna per l’assistente sociale.

Ecco, se proprio avanzano 150 milioni ai consultori farebbero senz’altro comodo.

Ingrid Colanicchia

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