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Il metodo Sallusti

Ieri sulle pregiate colonne de il Giornale, l’ormai celebre direttore Alessandro Sallusti firma uno spumeggiante editoriale dal titolo “Il Metodo Gomorra”.

Facciamo un po’ di storia: Sallusti, direttore [ir-]responsabile del quotidiano di proprietà Berlusconi è, come forse qualcuno sa, l’amante giornalistico ufficiale del più noto e talentuoso Vittorio “Cane De Guardia” Feltri. Lo ha seguito dappertutto, dalle acque limacciose di Libero sino alla nuova convivenza “giornalistica”, si fa per dire (butto lì un’intuizione, forse il Giornale continua a chiamarsi così nell'ostinato tentativo di far credere ai propri lettori che stiano davvero leggendo un giornale).

Il minzoliniano direttore (dell’aureo Augusto condivide orientamento politico, passione e capigliatura) ha probabilmente dato ieri il meglio di sé. Citiamo di volata lo stralcio nodale del suo articolo che troneggiava in prima pagina:
 
"Non ci resta che subire la lezioncina di un signore, Saviano, che la mafia l’ha studiata al punto da mutuarne metodi e scopi. Il suo è stato infatti un monologo politicamente e cultur­almente mafioso contro un grande partito, la Lega, guarda caso in queste ore unico fede le alleato, e quindi possibile salvagente, di Silvio Berlusconi. Infangare, seminare il dubbio, lasciare i discorsi a metà. Saviano è il nuovo padrino della cosca che ha infiltrati ovunque, nei giornali e nelle televisioni, nell'Ordine dei giornalisti che guarda, ascolta e, ovviamente, a loro, e solo a loro, lascia fare. Questo scrittore, sopravvalutato e ormai preso solo da se stesso, ci ha spiegato che la Lega è contigua alla mafia. La quale mafia ha messo le radici in Lombardia perché è la regione dove girano tanti soldi. Sai che scoop. Lo sapevamo anche noi, senza neppure dover leggere Gomorra, che da circa cinquant’anni al Nord combattiamo le cosche, direi anche con un certo successo. Se la Lega di Bossi ha at­tecchito così velocemente è proprio perché ai lombardi i mafiosi non stanno molto simpatici, proprio come i clandestini, che delle mafie vecchie e nuove sono potenziali soldati. A combattere i mafiosi, insomma, siamo preparati. A difenderci dal metodo mafioso di Saviano, un po’ meno, perché al Nord si preferisce lavorare che pontificare, che poi è il miglior antidoto alle infiltrazioni di qualsiasi genere."
 
Saviano si comporta da mafioso, “culturalmente” e “politicamente”. Ha imparato la lezione da boss e capifamiglia, per questo gli viene così bene parlare di mafie. “Infangare, seminare il dubbio, lasciare i discorsi a metà”. Sembra che Sallusti parli finalmente di sé, del suo vice Porro, o del direttorissimo, Feltri, come hanno dimostrato i vari dossier e le valanghe di insulti, accuse, ingiurie, in una parola quella “macchina del fango” che persino ex-mogli fedeli ed ex-alleati ancor più fedeli si sono visti rovesciare addosso dal quotidiano berlusconiano.
 
Invece parla di Roberto Saviano, di questo "dilettante dell’antimafia" (come lo chiamano i colleghi di Libero, aprendo ieri in prima pagina al raffinato grido di “Saviano ha rotto i Maroni”) che anziché andare a lavorare sta a pontificare in televisione.
 
A parte la retorica molto ricercata del “vai a lavurare, barbun” adottata da Sallusti per suffragare le sue tesi; al di là della entusiasta masturbazione à deux mains sulla gente del nord tanto ricca quanto combattiva, cui stanno sulle balle indistintamente pericolosi mafiosi e clandestini (che comunque, caro direttore, per farsi assumere preferiscono di solito gli imprenditori settentrionali ai boss meridionali); tralasciando le affermazioni da querela rivolte a Saviano e Santoro, ciò che filtra da questo pezzo è altro.
 
La settimana scorsa i telespettatori di Fazio e Saviano erano 8 milioni e quest'ultimo, secondo il Giornale “spargeva fango e noia”. La critica più dura riguarda proprio il mancato brio del programma, tanto che Francesco Borgonovo, azzardava l’inaudito: “Lo scrittore rispolvera la mafia per dare l’assalto al premier” (come se ci sia bisogno di rispolverarla, in Italia ndr) “ma con le sue filippiche riesce solo a far sbadigliare e rimpiangere Santoro”.
 
Rimpiangere Santoro? Al Giornale devono essersi ammattiti. Per fortuna Sallusti calibra meglio del collega: “Rivoluzionari snob e senza popolo”, titola il suo commento alla prima puntata di Vieni via con me.
 
Ma adesso che il pubblico sale - siamo arrivati a 9 milioni e passa senza l’accelerazione pubblicitaria della presenza di Benigni – per la banda Sallusti lo scrittore napoletano è diventato, a quanto pare, un po’ più interessante, o forse persino pericoloso. Tanto da venire promosso, da “scrittore miliardario” a “padrino della nuova cosca”, ed investito del generoso epiteto di “mafioso”. Cose che fanno sicuramente piacere, a chi vive sotto scorta perché minacciato di morte da una mafia vera, letale, come la Camorra. 
 
Eh sì, quella cosca ha infiltrati ovunque. Esistono giornalisti che fanno il loro lavoro di giornalisti, e sgobbano davvero nelle redazioni dei giornali (nei telegiornali, a dire il vero, è un po’ più difficile trovarne), magistrati e giudici che faticano da magistrati e da giudici nelle aule di tribunale, scrittori che scrivono bene a dei lettori che sanno ben leggere e ben giudicare. Tutte cose dell’altro mondo. Cose che, nella redazione de Il Giornale, non si sono mai viste. O che forse non si vedono più da troppo tempo, probabilmente da quando a dirigere i giornali ci sono personaggi del genere, saltati fuori direttamente da una farsa di Bulgakov.
 
Qual è la morale di tutto questo? Che se gli articoli inchiestuosi di Travaglio o degli altri giornalisti del Fatto, così come Santoro, Saviano etc sono presentati, sbandierati, infamati tanto da divenire “mafiosi”, allora i mafiosi veri, quelli che ammazzano, che sparano sei colpi di pistola in faccia ad un sindaco ribelle o sciolgono nell’acido il bambino di un infame; quelli che soffocano questo paese ed hanno interessi ovunque, dal semplice pizzo di un negozio in un borgo siciliano, fino agli appalti multimiliardari delle città lombarde; allora quei mafiosi, come per magia, scompaiono. Perché se tutto ciò che non sta bene al potere viene distorto, attaccato, criminalizzato – proprio come fanno i Sallusti, i Feltri, i Belpietro – allora la mafia smette di far paura. La mafia diventa un luogo comune, una barzelletta, un equivoco.
 
Forse in una cosa ha ragione Sallusti. Forse l’Italia, o quantomeno quell’Italia, non è preparata al “metodo Saviano”. Che, diciamocelo chiaramente, non è neppure così eccezionale. Anzi, sarebbe anche ordinario. E’ qualcosa che fanno in tanti, ogni giorno. Saviano ha solo il privilegio e la sventura di farlo davanti a una platea più vasta. Lascio intuire a voi in cosa consista. E per quale motivo oggi, in Italia, sia così rivoluzionario.
 
 

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.141) 18 novembre 2010 19:54

    Frammentare la notizia è tecnica ricorrente. Un evento viene scomposto in vari “frammenti di notizia” (newsfrag). Ogni frammento, opportunamente focalizzato ed enfatizzato, diventa fulcro e chiave interpretativa dell’evento occorso. Impresa ardua è ricomporre l’intero mosaico, selezionando e comparando la molteplicità dei frammenti. Se l’evento si sviluppa in più fasi successive, magari a distanza di tempo, la caducità della memoria umana fa il resto.
    Dell’evento restano solo i frammenti (messaggi) più volte riproposti o più facili da memorizzare.
    Sono la base per catturare ed alimentare il Consenso Surrogato di chi è sensibile all’imprinting mediatico …

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