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Il gioco dell’oca della politica italiana

Ieri Marco Travaglio, nel suo editoriale su Il Fatto, spiegava benissimo come si potrebbe uscire semplicemente dall’ennesimo impasse della politica italiana: Bersani prende atto della clamorosa sconfitta elettorale, mette una croce sopra l’idea di continuare a campare una classe (s)dirigente con i contributi pubblici ai partiti e cede il testimone a Grillo al quale chiede di indicare chi deve essere il capo di un futuro Governo e forma una maggioranza PD/Sel con appoggio esterno (tecnico, fate voi) con il M5S.

Ma pur parlando tra i denti di umiltà, Bersani proprio non ce la fa ad accettare l’idea di essere stato sconfitto da un “comico populista”, un “clown fascista”, un “gabibbo” e “terrà la barra dritta”, proprio come Prodi, verso un Governissimo con D’Alema al quadro di comando. 
Bersani - sempre a denti strettissimi quasi da rendere incomprensibili le sue parole - prima di sfidarlo con ingiustificabile arroganza, ha provato a offrire a Grillo la presidenza della Camera, dimostrando di non aver capito proprio nulla di Grillo e del M5S che tutto chiede tranne di partecipare al Risiko del ricco sottobosco di poltrone e cariche istituzionali della politica romana.

Chi segue Grillo da un po’ non si è certo sorpreso della risposta del Savonarola genovese: “Bersani è morto”, cosa che peraltro ripete da anni, “e fa stalking politico”.

Ed ecco che, pur di non mollare le poltrone e i contributi ai partiti e ai giornali di partito, si apre lo scenario B, quello preferito da D’Alema: governissimo con Berlusconi, una specie di seconda bicamerale che vede Berlusconi Presidente del Senato - giusto in tempo per creare qualche imbarazzo ai giudici che stanno decidendo sul caso Ruby e il caso Mondadori - e baffetto candidato alla Presidenza della Repubblica. Al Caimano già brillano tutti e trentasei i denti al pensiero che quelli del PD stanno per caderci di nuovo.

Ha cominciato subito a giocare in contropiede prendendo in pratica il programma di Grillo, la parte inerente ai tagli ai costi della politica, e a farla sua. Alla Presidenza della Repubblica, alla fine, è sicuro che ci imbucherà il fido Gianni Letta e, dopo neanche due anni di tentativi di riforme - non ci sono riusciti finora, non si capisce perché dovrebbero farlo adesso - avrà distrutto l’immagine e l’elettorato del PD. Non differentemente da Craxi, D’Alema &Co saranno costretti a riparare all’estero per fuggire alla rabbia degli elettori mentre, alle prossime elezioni il M5S, avendo dimostrato di avere la schiena dritta e non cedendo alla solita spartizione di poltrone, potrà puntare alla maggioranza assoluta.

I servizi segreti, preventivamente, già annunciano possibili “attentati di gruppi anarco insurrezionalisti”. Ancora la vecchia storia del pericolo per la democrazia come preambolo dell’imminente, impresentabile “governissimo” di salvezza nazionale. In poche parole - le stesse parole che userebbe D’Alema - “Benvenuto Inciucione”.

Ma non è solo questa l’analogia con il 1992 quando le bombe, quelle di mafia, esplosero davvero e ancora non sappiamo su mandato di chi. Per buona pace di Napolitano. Le analogie con il ’92, come si stanno accorgendo quasi tutti i grandi direttori della carta stampata, da Mieli in poi sono parecchie.

E probabilmente il finale sarà lo stesso: due anni di governi tecnici per salvare il salvabile e dare la possibilità a qualcuno di riorganizzarsi prima della tirata definitiva dello sciacquone che porterà via una delle classi dirigenti più squallide e mediocri della storia d’Italia (mentre, nel ’92 ,si trattava di classe dirigente logora che, in 40 anni, aveva almeno garantito la ricostruzione del dopoguerra e un certo benessere).

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