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Il fuoco della religione in Nigeria. Intervista a Marta Montanini

Marta Montanini è laureata in Relazioni Internazionali e specializzata in Studi Afro-Asiatici. Dottoranda in Social and Political Change, è Research Assistant all’ISPI e si occupa dell’analisi della politica internazionale dell’Africa Subsahariana.

In Nigeria si continua a uccidere: qual è la situazione?

Il presidente Jonathan ha istitutito lo stato di emergenza negli stati del Borno, Adamawa e Yobe nel 2013 e, anche se doveva durare solo per sei mesi, di fatto ha continuato ad estenderlo, fino ad oggi. Boko Haram era attivo in questi territori da molto prima (2009), e il numero delle vittime civili è cresciuto esponenzialmente. Boko Haram ha fatto vittime nella città di Jos, a Borno, ma anche ad Abuja nel 2011. A Kano e nello stato delle Yobe gli attentati di Natale nel 2011 hanno ucciso un centinaio di persone. Nel 2013, nello Yobe, prima del rapimento delle ragazze di Chibok, Boko Haram aveva tolto la vita a 22 ragazzi durante l’attacco ad una scuola. Da ben prima di Chibok, insomma, i cittadini del Nord della Nigeria assistono impotenti ad esazioni e attentati. Anche ora, nonostante i riflettori internazionali su Chibok e i rinforzi dell’intelligence americana, francese ed israeliana nel Nord della Nigeria, ma anche nel Nord del Cameroon, Boko Haram continua ad operare, prendendo indifferentemente di mira città e villaggi. Tra l’altro, l’estensione dello stato di emergenza significa anche mobilità ridotta per gli abitanti delle zone colpite dal provvedimento, difficoltà a raggiungere abitazioni e snodi logistici e difficoltà a reperire beni di prima necessità.

Che cos’è “Boko Haram” e perché massacra la popolazione inerme?

Boko Haram è un gruppo armato islamista che, con una definizione un po’ vaga, possiamo classificare come jihadista. È nato nel 2002, ma ha avuto una svolta di tipo marcatamente più terroristico solo a partire dal 2010, dopo essersi riorganizzato in seguito all’uccisione del suo primo leader, Mohammed Yussuf, avvenuta in prigione. A Yussuf è seguito Abubakar Shekau. Il gruppo ha probabilmente riformulato i suoi obiettivi: se nel 2009 si proponeva di estendere la sharia nel nord della Nigeria e di creare una sorta di stato islamico che si richiamasse alla creazione del califfato di Sokoto del 1800, oggi i suoi obiettivi sono meno evidenti. Il movimento, che in realtà possiede un nome ufficiale in arabo, deve il suo nome hausa “boko haram” (il libro/ l’educazione è proibita) alle azioni che ha intrapreso contro l’educazione secolare e di matrice occidentale. Boko Haram è legato ad altre organizzazioni di matrice islamista locali, tanto che alcuni analisti propendono per pensare che Abubakar Shekau sia in realtà un insieme di più persone. Sicuramente Boko Haram deve la sua esistenza a sostenitori all’interno dell’etnia Kanuri, che abita il Nord del paese e che vive in una situazione di grave sottosviluppo rispetto ad altre aree del paese. È insomma fra le parti della popolazione nigeriana si cui pesano le maggiori disuguaglianze. In una prima fase Boko Haram si è concentrato soprattutto su azioni simboliche contro le componenti militari ed i rappresentanti delle istituzioni statali “corrotte”, ma negli ultimi anni gli obiettivi civili sono nettamente aumentati. Questo cambiamento è probabilmente sintomo di una maggiore esigenza di visibilità da parte del movimento, di una accresciuta potenza di fuoco, e della necessità di compiere azioni esemplari (come il rapimento delle ragazze di Chibok). Potrebbe anche evidenziare però il fatto che la popolazione civile è sempre più in aperto dissenso con il gruppo armato.

Qual è il legame di Boko Haram con Al Qaida?

Boko Haram è senz’altro legato ad AQMI (Al Qaida nel Maghreb Islamico) che opera fra Algeria, Mauritania e Mali (e da cui avrebbe appreso le tecniche con cui è stata confezionata la bomba di Abuja del 2011). I suoi leader sono sempre stati aperti verso l’esterno, nonostante Boko Haram rimanga un gruppo che agisce a livello locale. Provare legami con Al Qaida, che paiono più che possibili, non è però cosa semplice. Quando è stata rapita una famiglia francese in Cameroon, estendendo la sua azione e schierandosi più apertamente contro l’occidente, si è parlato di una operazione in stile Al Qaida, però non è semplice capire se si tratti di imitazione-emulazione o di legami reali.

Che ruolo sta avendo il governo?

Il governo sta avendo ed ha avuto un ruolo molto discusso. L’esercito che dovrebbe neutralizzare Boko Haram è composto da truppe sottopagate e male armate e che per giunta si sono rese colpevoli di uccisioni ed esazioni ai danni della popolazione civile. In questi anni il governo ha oscillato fra una risposta dura, con controffensive armate e persecuzione degli appartenenti al movimento (retate, perquisizioni etc.) e promesse di amnistia. Jonathan ha via via perduto sia la sua credibilità a livello dell’opinione pubblica nazionale, sia l’opportunità di negoziare realmente con il movimento, tanto da dover accettare l’intervento di potenze esterne ed occidentali. Anche il ruolo di leadership della Nigeria nel continente africano è messo in discussione. D’altro canto Boko Haram gode del sostegno, anche finanziario, di uomini politici locali e rappresentanti politici a livello nazionale. Il governo federale è certamente chiamato a dare risposte migliori e più congrue agli abitanti del nord, specialmente riguardo la redistribuzione delle risorse e le possibilità concrete di sviluppo. Non bisogna dimenticare che anche i governatori locali hanno una buona parte di responsabilità: spesso i provvedimenti presi per fermare il terrorismo hanno ripercussioni negative sulla popolazione, ad esempio paralizzando le poche attività economiche che esistono. L’elite politica nigeriana, inoltre, sia che si tratti del governo che dell’opposizione, di musulmani o di cristiani, deve rispondere di casi di corruzione endemica ed eclatante. Il terrorismo è anche una risposta estrema e distorta nei confronti di una classe politica assente e autoreferenziale.

Che ruolo stanno avendo le organizzazioni internazionali?

Il rapporto con la Nigeria delle organizzazioni internazionali è per forza di cose ambiguo: la Nigeria è la prima potenza economica del continente africano, è membro dell’Opec e uno dei maggiori esportatori di petrolio ed è una delle nazioni più popolose del mondo, oltre ad essere certamente il paese leader dell’Africa occidentale. È tra i primi partner commerciali di molti paesi europei e l’espansione della sua classe media rappresenta l’allargamento di una importante fetta di mercato. Allo stesso tempo, l’ulteriore destabilizzazione della Nigeria finirebbe per fragilizzare ulteriormente l’equilibrio regionale, oltre a minacciare seriamente gli investimenti internazionali nel paese. Le potenze occidentali hanno utilizzato l’evento di Chibok come una porta d’entrata negli affari politici e della sicurezza nigeriana: apportare un sostegno non troppo invasivo, costringere Jonathan a ripensare la sua strategia nei confronti di Boko Haram e anche, in parte, continuare a garantire alla Nigeria la propria presenza, nel timore che Abuja, lasciata sola, si rivolga verso oriente.

Quale sorte è prevedibile per le 200 studentesse rapite a maggio?

È davvero difficile da prevedere. Recentemente l’esercito nigeriano ha affermato di conoscere il luogo dove si troverebbero le ragazze, ma di preferire la negoziazione all’intervento armato, che potrebbe concludersi in tragedia. È però arduo compito stabilire la veridicità e lo scopo reale delle dichiarazioni. Parliamo di una vicenda che si svolge in un’area remota e dai confini porosi, con un livello di militarizzazione molto alto e di difficile accesso.

È possibile arrivare a un compromesso politico?

I tentativi svolti fino ad ora (amnistia, commissioni nazionali per la pace e la riconciliazione etc.) non hanno sortito alcun esito positivo.

Quale futuro possiamo immaginare per la Nigeria?

Le elezioni presidenziali nigeriane sono previste per il 2015 e sicuramente la presenza di Boko Haram sarà utilizzata per fragilizzare Jonathan, già molto contestato. L’equilibrio politico nigeriano si basa inoltre su una assegnazione ponderata dei posti di rappresentanza a membri delle principali comunità religiose. Negoziare con l’estremismo islamico significherebbe sicuramente provocare forti dissapori all’interno della comunità cristiana (e probabilmente anche nella folta maggioranza dei musulmani sunniti che vede in Boko Haram un grave pericolo di radicalizzazione). La situazione è molto delicata. Dal canto nostro possiamo solo (e dobbiamo) tenere alta l’attenzione.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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