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Il dramma dell’indulgenza

Un fenomeno che fa largamente parte della cultura italiana, fortemente condizionata dallo stampo profondamente religioso-cattolico dell’istruzione e della nostra società. Un dramma, più che altro, perpetuato da secoli dai vertici di una religione che ha abbandonato Cristo da tempo, per credere nel dio "sbagliato".

Era il 31 Ottobre 1517 e sulla porta della Cattedrale di Wittenberg, con l'Elba a testimone, il monaco augustiniano Martin Lutero affise le sue 95 tesi, dando ufficialmente inizio alla Riforma Protestante. In quelle novantacinque teorie luterane c'era molto di più di quello che la storia ricorda sui libri scolastici, ma il fulcro attorno al quale nacquero i consensi della Riforma, fu la vendita delle indulgenze da parte della Sacra Romana Chiesa.

Quello che fece Lutero, ma anche Calvino, Muntzer, Melantone, Zwingli, tra i più importanti, fu creare le basi di una divisione culturale, ma ancor più educativa, che il mondo popolare non ha forse ancora scoperto del tutto.

E' indubbio che la vendita delle indulgenze fu un atto scuro nella storia della chiesa cattolica, un atto di puro mercimonio di uno dei più alti valori della cristianità: il perdono.

Eppure è proprio attorno al perdono che si forgia nel tempo quella differenza culturale che, a volte, fa sembrare il mondo anglosassone la pietra di riferimento di un'onestà che spesso si sente mancare nel nostro sistema.

Dice la tesi numero 20: Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende semplicemente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.

E la numero 21: Sbagliano pertanto quei predicatori d'indulgenze, i quali dicono che per le indulgenze papali l'uomo è sciolto e salvato da ogni pena.

Ovvero non c'è essere umano, secondo la Riforma, a poter cancellare i peccati al prossimo, quale che sia la sua posizione gerarchica. Come potrebbe, dopotutto, un essere umano, con la sola propria volontà e fede, per quanto alte siano, riparare ad un peccato commesso da altri, direttamente contro Dio? Sarebbe come se l'usciere della Banca potesse, col suo solo perdono e qualche parola di pentimento, assolverci da ogni debito con la Banca stessa.
Utopistico invero.

E indubbiamente poco credibile.

Ora, non si pensi a questa riflessione come ad una valutazione sulle varie religioni o su come esse agiscono; personalmente sono agnostico. Preferisco le filosofie alle religioni. Il preambolo di cui sopra è necessario esclusivamente per introdurre quello che segue.

L'abitudine all'indulgenza, al potere della confessione per la remissione totale dei propri peccati, in una società istruita per secoli direttamente ed esclusivamente dal clero, porta gradualmente alla consapevolezza che, seppur sia richiesta una condotta esemplare, esiste la possibilità di liberarsi dei propri pesi scaricandoli sul confessore, tramite una penitenza interiore. E la consapevolezza, ad ogni modo, che vi sarà una redenzione finale al momento della propria morte. Sempre che non si sia esagerato in vita ovviamente.

Questa è una delle ragioni storiche per cui il potere ha sempre mantenuto stretti rapporti con il clero, fosse questo potere legale (stato o nobiltà), o illegale (crimine organizzato, mafie). La detenzione di un potere, dopotutto, con la consapevolezza di una facile redenzione, rende molto meno gravoso il proprio compito, e ancor meno il fatto di commettere atti non propriamente cristiani, contando su uno dei sacramenti più importanti: la confessione salvatrice.

Si potrebbero perdere interi libri sul potere che questo sistema culturale ha ripagato indietro alla Chiesa, e spesso viene fatto in effetti. E spesso è fin troppo facile additare una parte politica al clero, supponendo erroneamente che questa sorta di concussione ecclesiastica sia prerogativa della sponda destra del parlamento. La realtà è che l'Italia è strettamente legata al proprio cattolicesimo, e lo sono sempre stati i suoi abitanti, al di là delle differenze ideologiche e religiose. I vecchi comunisti, quelli veri, sanno bene che i loro padri ideologici non erano certo atei.

A differenza, buona parte del mondo anglosassone, seguendo quelle 95 idee basilari di Lutero, crede fermamente in una responsabilità personale che travalica il perdono. Come appare non solo dalla cultura anglosassone fine a se stessa, ma anche da come questa abbia contagiato molte scelte, soprattutto in ambito penale, l'espiazione dei propri peccati inizia con la presa di coscienza di essi. Con la penitenza non solo interiore, ma pubblica, con il portare se stessi esempio dei propri errori e della volontà di ripararli.

La penitenza quindi, la redenzione, non viene da una consapevolezza delle proprie colpe, espiate in un rapporto con un tramite di Dio, in grado di cancellare in privato, segretamente, queste colpe. Bensì con l'ammissione delle stesse, con la volontà di prendere atto del peccato e del proprio bisogno di rimediare. Un'ammissione che non preclude la confessione del proprio difetto, ma che richiede di ripararvi in modo pratico, efficace. Di rispondere alle azioni con altre azioni.

Per dirla in modo semplicistico: ad un'azione cattiva si può riparare solo con un'azione buona.

Il frutto finale di questa differenza culturale tra l'accettazione delle proprie colpe come espiazione delle stesse, e la riparazione di queste con atti pratici, è palese ad esempio nel sistema penale americano: con la presenza delle ore di servizi socialmente utili.

La redenzione da un atto cattivo avviene con la pratica attività buona, socialmente utile. Ad una guida in stato di ebbrezza corrisponde un certo numero di ore di pulizia delle strade.

Il penitente non solo deve accogliere la propria pena, ma deve essere esempio al prossimo di come la condotta negativa possa essere pareggiata solo con la condotta positiva.

La condotta, le proprie azioni, sono il metro della propria anima, ciò che Dio valuterà.

L'incapacità di ammettere le proprie colpe, di trovare scuse e capri espiatori, di provare ad indicare le proprie azioni negative come "dettate da un pensiero positivo frainteso", la necessità atavica di stringere i rapporti con la Chiesa perché ci liberi l'anima. L'abitudine, quindi, ad un certo lassismo spirituale, scusato dalla possibilità di avere una facile redenzione, una semplice scusante, una via di fuga dalle proprie responsabilità.

La deresponsabilizzazione di se stessi è la grande piaga che il sistema culturale dell'indulgenza ha provocato, col tempo, col degrado culturale, all'intero popolo italiano.

Persino i mafiosi hanno diritto, in questo sistema indulgente e pigro, ad avere il loro confessore, un prete, un essere umano, che può redimerli dai delitti che hanno commesso nei confronti di Dio stesso.

Ma qual è il Dio che li sta perdonando? Che redime i malvagi con la sola richiesta di una litania in suo nome? Di offerte a volte.

Non c'è Cristo in quel Dio, e neanche il Creatore che il messia indicava come padre di tutti noi, credenti o meno.

E' una religione che adora un nuovo dio, un dio terreno, un dio umano, un dio che ha il potere di pulire l'anima di chiunque, anche dei più malvagi, in nome dell'inconfutabilità della parola papale, inconfutabile persino per Cristo. Che ha il potere di pulirla persino ai moribondi, nel momento in cui, secondo le tesi di Lutero, l'uomo era esterno ai canoni della confessione, già colpito dal fardello dei propri peccati di cui di lì a poco avrebbe dovuto rendere conto al Signore redentore. L'unico redentore.

Non servono le buone azioni, il pentimento espresso e dimostrato, basta quello riferito, autocertificato, per presentarsi spavaldamente di fronte al Creatore sicuri della propria sorte, come ad un giudice, con la fedina penale ripulita.

A volte sento dire "se esiste una giustizia divina..." e mi ritrovo a chiedermi di quale dio si parli, se del Creatore, che ci ha dato il libero arbitrio per valutare le nostre azioni, o se del Grande Indulgente, che ci ha dato un esercito pronto a scusarsi per noi, dei nostri peccati. E allora mi ricordo uno dei documenti più significativi che io abbia mai visto: l'intervista di Frost a Richard Nixon. La forza, il potere, delle parole di Nixon, che racchiude nelle sue parole ed espressioni tutto il profondo significato della parola responsabilità.

E allora credo che il Creatore sia l'unico giudice in grado di valutare ciò che realmente facciamo, da quello che diciamo di fare. E mi chiedo se riusciremo mai a invertire questo processo di deresponsabilizzazione, e se vedrò mai, prima di essere troppo vecchio, anche un uomo pubblico italiano, reo di innumerevoli peccati e reati, ammettere pubblicamente le proprie colpe, dimettersi, e fare una buona azione: farsi esempio delle azioni giuste, che sono le uniche a potersi contrapporre a quelle sbagliate.

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