Il dialetto nelle scuole. Cronaca di uno spot elettorale
Il Governo annuncia che lo studio del dialetto sarà obbligatorio nelle scuole, ma non lo scrive nella riforma. I dialetti fanno già parte del programma di italiano, ma nessuno lo ricorda. E la lega cresce nei sondaggi.
In cosa consiste, quindi, la nuova proposta del Ministero? Per il momento, nelle schede pubblicate dal Gruppo Tecnico di Lavoro del Ministero, previste dal d.P.R. del 15 marzo 2010, è contenuto soltanto un riferimento, nell’ambito delle «conoscenze relative agli aspetti essenziali dell’evoluzione della lingua nel tempo», al «rapporto con i dialetti». Non una parola di più. La proposta di affidare l’insegnamento dei dialetti a degli «insegnati specializzati» la cui competenza dev’essere verificata nei concorsi di accesso alla professione rimane soltanto propaganda.
Artefice di questa campagna politica, la Lega Nord, il cui leader, Umberto Bossi, aveva sostenuto lo scorso ferragosto che lo studio del dialetto dovrebbe essere obbligatorio e diffuso in tutta Italia. Venne subito accontentato dal Ministro per la Semplificazione Normativa, Roberto Calderoli, anch’egli leghista e convinto che «la lingua italiana è il dialetto romanesco che ci passa la Rai», che annunciò subito un disegno di legge per rendere obbligatorio l’insegnamento del dialetto già dalle scuole elementari.
Che l’insegnamento dei dialetti in rapporto alla lingua italiana debba essere parte integrante del percorso formativo di uno studente non è discusso. A cosa possa servire l’insegnamento sistematico di un dialetto specifico addirittura in modo simile «alla musica, al ritmo, ai modi di dire, a qualcosa che abbia una cadenza quasi musicale» (secondo la proposta della moglie di Bossi), non è ancora stato spiegato. In un liceo potrebbe un rappresentare un sovrappiù di cultura generale, ma l’utilità di una simile disciplina in una scuola professionalizzante rimane incomprensibile al punto che gli stessi alleati di Governo presero le distanze dalla proposta dei leghisti. «Con tutto il rispetto per i dialetti locali – disse il parlamentare del PdL Giuliano Cazzola, vice presidente della Commissione Lavoro della Camera – gli italiani (in particolare i giovani) hanno un handicap ben più serio: la scarsa confidenza con le principali lingue straniere e segnatamente con l’inglese che è ormai l’idioma del mondo. Non si trova lavoro in Europa parlando correntemente bergamasco».
Insegnare i dialetti agli insegnanti è problematico e costoso. Il motivo per cui uno stato che non ha risorse per aggiornarli sulle nuove tecnologie debba investire per istruirli sui dialetti rimane un mistero. La risposta, forse, va cercata nei sondaggi elettorali. I dati del Censis dimostrano che gli elettori leghisti, otto su dieci dei quali vive in piccoli comuni con meno di 30mila abitanti, contano la più bassa percentuale di laureati dopo quelli dell’UdC e dispongono, per la maggior parte, della sola licenzia media. È troppo facile chiedere l’isegnamento del dialetto a chi l’italiano lo ha studiato a malapena. Facile, eppure funziona. Grazie anche alla sparata sul dialetto, la Lega Nord ha guadagnato, da luglio a settembre, l’1,5 per cento di consensi. Approvare davvero la riforma non è servito, è bastato uno spot elettorale. Uno spot pubblicitario antiumanista e antiunitario che prosegue fino alla vigilia dei 150 anni dall’unità d’Italia. Se, come diceva Douglas, gli ideali di una nazione si riconoscono dalla sua pubblicità, dovremmo iniziare a porci qualche domanda. O potremmo svegliarci in Europa incapaci persino di vivere in Italia.
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