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Il deterioramento della politica esaminato con Hirschman

Il deterioramento della politica esaminato con Hirschman

Molti concorderanno che la recente congiuntura politica del nostro Paese è principalmente riconducibile al tentativo di superare in maniera non traumatica una democrazia bloccata al centro sia per motivi ideologici (il riferimento è allo scontro DC/PCI durante la cosiddetta guerra fredda) sia per meccaniche elettorali (il riferimento è al sistema totalmente proporzionale post-bellico). Il passaggio ad un sistema che consenta l’alternanza è riuscito, ma il nuovo sistema appare in grave deterioramento perché non riesce a porre in essere le importanti riforme, di cui il Paese ha urgente bisogno.
 
Può essere interessante sottoporre a rigoroso esame scientifico questo stato di deterioramento del panorama politico del nostro Paese, esploso dopo la recente competizione elettorale amministrativa, utilizzando le teorie dell’economista/politologo Albert O. Hirschman.
 
Come è noto Hirschman racchiude e cataloga le reazioni dei clienti/consumatori di una qualsivoglia organizzazione dinanzi a fenomeni di deterioramento di quest’ultima, attraverso le due opzioni uscita e voce. La prima consiste nell’abbandono dell’organizzazione e nella rinunzia a servirsi di essa; la seconda consiste nella manifestazione della propria insoddisfazione al fine di sollecitare un rimedio alle cause del declino. Questo metodo è particolarmente efficace nell’esaminare le crisi dei partiti politici perché, come lo studioso rileva, «i partiti politici nelle poliarchie sono tra quelle rare organizzazioni in cui voce ed uscita hanno un ruolo importante e valido da svolgere.»
 
Nelle sue analisi sui partiti Hirschman si volge principalmente ad esaminare i sistemi politici bipolari di tipo anglosassone, sviluppando una critica al modello Hotelling-Downs, che non era riuscito a prevedere ed a spiegare né la candidatura repubblicana del 1964 di Barry Goldwater né quella democratica del 1972 di George McGovern. Queste scelte, diciamo così, estremistiche, erano destinate ad essere sconfitte nell’urna (ed in effetti lo sono state ampiamente) proprio per il loro allontanarsi da una più favorevole posizione di medianità, indicata invece come la più opportuna dal modello Hotelling-Downs.
 
La ragione a tutto questo Hirschman la trova nella politica di partito, che motiva particolarmente gli attivisti delle estreme perché per essi l’opzione uscita praticamente non esiste: non hanno nessun altro partito cui rivolgersi. Da ciò l’aumento esponenziale di importanza per loro dell’opzione residua, quella di voce. Ed è così che finiscono per pesare di più nelle scelte del partito e per fargli fare scelte che possono portare a perdere le elezioni.
 
Esaminando con gli stessi criteri di uscita e di voce la crisi dell’attuale polo di sinistra del nostro Paese, la prima cosa da rilevare è che la creazione del Partito Democratico è avvenuta senza i partiti minori della sinistra estrema, anzi in aperta opposizione ad essi. Mentre i socialisti sono stati caldamente esortati ad entrare nel nuovo soggetto politico, nessuno ha rivolto lo stesso invito ai neo-comunisti ed ai verdi. Poi la variata legge elettorale ha portato alla scomparsa di questi piccoli partiti dal Parlamento.
 
Nel frattempo i socialisti, pur esortati a farlo, non erano entrati a far parte del nuovo soggetto politico, dove evidentemente avevano paura di non riuscire a far sentire la loro voce. Ed questo punto, nel partito democratico quello che è mancata è stata proprio la voce; e la mancanza di voce ha avuto come esito l’utilizzo da parte di molti dell’opzione uscita, uscita verso l’IdV. Da ciò l’abnorme crescita del partito giustizialista, che in tanti hanno candidamente ammesso di aver scelto non perché attratti dalla sua scelta ideologica, ma perché le sapeva cantare bene a Berlusconi.
Le sconfitte elettorali sono state immediate ed hanno acuito ancor più il problema perché altri pezzi del partito lo hanno abbandonato (il riferimento è all’onorevole Rutelli). Infatti, a fianco dell’insoddisfazione ideologica, nei partiti politici esiste anche quella da insuccesso elettorale, come lo stesso Hirschman rileva.
 
Oggi, pur dopo una sostanziale tenuta alle recenti consultazioni elettorali amministrative (un risultato migliore non stava né in cielo né in terra), i Democratici si guardano in giro e pensano di trasformare il loro partito nella somma di più partituncoli regionali, dimostrando di non riuscire ad individuare i motivi reali della loro lontananza dalla voce della cittadinanza. Entrano in crisi quando pensano di dover dire qualcosa ai cittadini e non realizzano che quello che non sanno fare è ascoltarli. Perché la voce, in politica, conta molto più di quanto essi sono disposti ad ammettere. Non ammettono nemmeno di aver vinto laddove hanno meglio ascoltato la voce, ossia nella Puglia di Vendola.
 
E del polo di destra? Nulla da dire. Il “fenomeno Berlusconi” è una anomalia, come il “triangolo delle Bermude”: non rientra fra gli eventi classificabili ed analizzabili con le attuali metodologie del pensiero. Anche il PdL subisce l’uscita di elettori verso altri soggetti politici (i.e. la Lega Nord), anche il Pdl perde pezzi (i centristi cattolici innanzitutto, ed oggi anche la destra finiana è in subbuglio); eppure continua imperterrito ad accumulare consenso. Per lui Hirschman e le sue opzioni non valgono. O forse occorre pensare ad un nuovo modello, atteso che, secondo la massima di Streeten-Kuhn, citata e fatta propria da Hirschman, «un modello non è mai sconfitto dai fatti, per quanto lesivi, ma soltanto da un altro modello.»

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