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Il coraggio di dire "Mafia"

Fino agli anni ’70, la Mafia non era riconosciuta come entità concreta e da combattere come organizzazione criminale. Era piuttosto una leggenda. Una storia raccontata sottovoce. Un dubbio. Una ipotesi da scartare.

Fino agli anni ’70, la Mafia non era riconosciuta come entità concreta e da combattere come organizzazione criminale. Era piuttosto una leggenda. Una storia raccontata sottovoce. Un dubbio. Una ipotesi da scartare.

Si è dovuto aspettare stragi su stragi ad opera di Riina e Provenzano, per ammettere persino nelle aule giudiziarie, l’esistenza di una organizzazione talmente grande e potente, che fino a quel punto nessuno voleva – o poteva – ammettere che esistesse.

Da quel momento in poi, storicamente, la Mafia è entrata a pieno titolo nelle cronache e nei tribunali. Ha decretato la sua presenza fermamente. Ha palesato la sua potenza. Ha fatto “outing”, come si dice oggi. Ma ciò non ha cambiato di molto le regole ed il potere assunto in anni di organizzazione capillare ed internazionale. Anzi. Come sempre accade, la nuova condizione che ammise l’esistenza della Mafia, operò subito a glorificare e rendere ancor più forte quella che un tempo era un muto patto d’onore e che le giovani leve degli anni ’50 pensarono bene di commutare in grande organizzazione votata al crimine a trecentosessanta gradi.

Negli ultimi trenta anni, sono tante le storie legate alla Mafia. Tanti i nomi ipotizzati di personaggi politici e pubblici ad essa affiliati. Tante le sentenze di condanna che non hanno mai sortito effetti pratici. Dal famoso e clamoroso caso Andreotti, prima assolto per mancanza di prove e poi condannato per associazione a delinquere a nove anni. Andreotti non fu condannato perché gli atti, all’epoca, erano caduti in prescrizione. Peraltro, i Media scelsero di non dare troppo rilievo alla cosa. E così in breve tempo, si finì persino di pensarci.

All’epoca, fu il Giudice Roberto Scarpinato a presiedere il giudizio. Non potè fare altro poi, nel 2008, che citare qualche passo della vicenda nel suo libro: “Il ritorno del Principe” dove parla di Mafia e di Palermo.


E c’è il caso di Marcello Dell’Utri. Ex segretario, poi cofondatore di Forza Italia e poi braccio destro di Berlusconi. Fu anche lui indagato a partire dal 1997 e poi condannato nel 2004 a nove anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (per un totale di 70.000 euro) al Comune ed alla Provincia di Palermo. mentre faceva la sua scalata di potere fra un incarico e l’altro. Dell’Utri non fece un solo giorno di carcere. E la sua scalata politica ed economica è continuata imperterrita pur essendo palesemente colluso con la Mafia.

La mafia quindi, alla sua fase di prima esternalizzazione, ha fatto seguire quello che si può chiamare una strategia mediatica. Messaggi trasversali inviati attraverso i Media, ora con una sparatoria. Ora con una azione eclatante. E con l’uccisione dei Giudici Falcone e Borsellino, nel 1992 e 1993. Con le stesse “consegne” alle Istituzioni: gli arresti “eccellenti” potrebbero comunque nascondere patti fra Mafia e Stato. Da un lato l’immagine del capo mafia o del mafioso arrestato, per mettere a tacere le coscenze, dall’altra la condizione di controllo e gestione della propria organizzazione anche dalla cella di un carcere.
Oggi di Mafia si può parlare. E se ne parla. Si può persino parlare di chi ne ha avuto a che fare, portando avanti i propri affari “grazie” al sostegno dell’organizzazione malavitosa.

La Mafia è divenuta una “s.p.a.” così come viene chiamata da molti. Una impresa che macina oltre cento miliardi di euro l’anno. Che è proprietaria di centinaia di immobili prestigiosi e terreni in tutta Italia ed all’Estero. Che ogni tanto subisce qualche contraccolpo: arresti, confische di beni.. ma che non conosce possibilità di arresto. Perché troppo grande è la sua penetrazione nel territorio. Troppo profonde le radici di una cultura – la nostra – da sempre basata sul clientelismo.

“Una mano lava l’altra”. E si va avanti. Ognuno col suo tornaconto. Ognuno chiuso nel segreto di un patto troppo serio per poter gettar giù dalla torre, nomi troppo importanti nel nostro paese, per farne scandalo.

Meglio tacere. Omertà. Così come si usa.

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